E' ricco sfondato. Addirittura quasi o forse più di quanto non lo fossero gli zar di Russia. La sua collana di oro e di argento mette in fila smeraldi e zaffiri grandi come noci e, giusto per dare un'idea, possiede un 'cappello' in argento dorato tappezzato di 3326 diamanti, 168 rubini, 198 smeraldi e svariati granati. Neanche la Corona inglese può offrire così tanto alla sua regina. Eppure chi lo indossa, almeno nelle grandi occasioni, non è un principe ma soltanto un santo. E non si pensi che tutti questi gioielli gli siano stati 'prestati' dalla Chiesa che ha servito fino al martirio. No, è un tesoro solo suo, accumulato nei secoli grazie alla sua diligenza, alla sua clemenza e misericordia e anche, magari, a un po' di superstizioni. Perché San Gennaro, lo sanno tutti, dispensa favori ai napoletani, che lo ricambiano da sempre con grande generosità: cibori, croci d'altare, calici, busti, collane, ostensori, vasi, reliquiari, mitrie e decine e decine di altri oggetti preziosi forgiati nel corso dei secoli dagli orafi napoletani e offerti sia dalle classi più nobili che da quelle più umili. Certo, anche regnanti di vari tempi e varie dinastie passando da Napoli hanno lasciato i loro doni personali e preziosi.
Perché non si sa mai...San Gennaro è sempre meglio averlo amico e potergli chiedere qualche piacere quando ce n' è bisogno...Così Carlo di Borbone volle regalare al santo una croce, Carlo II d'Angiò la preziosa mitria, Gioacchino Murat un sontuoso ostensorio, Vittorio Emanuele di Savoia, una spilla di diamanti e lo stesso Papa Pio IX un calice in oro massiccio. Si narra anche che Maria Josè, moglie di Umberto II di Savoia, in visita alla cappella di San Gennaro senza aver portato alcun dono, si sia sfilato l'anello che portava al dito e lo abbia offerto al patrono in cambio della sua benevolenza.
Questa è una storia cominciata parecchi secoli fa, esattamente nel 305, quando Gennaro, allora vescovo di Benevento, venne condannato a morte nel corso delle persecuzioni contro i cristiani ordinate da Diocleziano. La notte successiva all'esecuzione una parente prossima di nome Eusebia raccolse il suo sangue in alcune ampolle e lo depose vicino al suo corpo. Per qualche secolo si perdono le notizie dei suoi resti, riscoperti nel 1480 e portati a Napoli, dove il culto di San Gennaro era già nato e cresciuto, il 13 gennaio 1497. Erano anni difficili per il popolo partenopeo, con la peste che imperversava e il Vesuvio che ribolliva, eruttando lava e provocando fino a trenta terremoti al giorno. Fu così che i napoletani chiesero aiuto al loro patrono, facendo il voto di costruire per lui una nuova e sontuosa cappella. Ma non si fidarono fino in fondo. A Gennarino, morto 1200 anni prima, chiesero l'impegno formale a proteggerli dalle eruzioni e dalle epidemie. Fu così che il 13 gennaio 1527, davanti a un notaio, venne stipulato un vero e proprio contratto tra Napoli e San Gennaro, in cui, in cambio della venerazione, lui, il santo, rappresentato da cinque giuristi, assicurava protezione dalle pestilenze e dal quel pazzo pericoloso del Vesuvio. Affare fatto. La cappella, con tanto di affreschi e decori, fu iniziata a costruire e poi consacrata nel 1646. Nel frattempo, nel 1631, un'eruzione del Vesuvio provocò la morte di migliaia di abitanti dei villaggi sul fianco sud-est del vulcano, ma non toccò Napoli. Dunque San Gennaro era affidabile e manteneva le promesse. Da quel momento in poi sempre più doni arrivarono nella sua cappella. Ma siccome Napoli è una città assai inguaiata, ci si rese conto che San Gennaro non poteva fare tutto da solo. Così gli furono assegnati una serie di fidati collaboratori, una cinquantina per l'esattezza, da Sant'Irene a Sant'Emidio, tutti insigniti con effigie d'oro e d'argento. Oggi il Tesoro conta 21.613 capolavori, ma nessuno fino ad ora è riuscito a calcolarne il valore, che è talmente alto da essere, appunto, inestimabile. Una sorta di mistero profano che si unisce a quello spirituale dello scioglimento del sangue nelle ampolle. Non si sa infatti come e perché avvenga la liquefazione. Un 'miracolo', mai riconosciuto dalla Chiesa, che avviene tre volte l'anno davanti a una folla esaltata che prega e incita il santo a fare il suo dovere, ma anche lo insulta e lo minaccia se tarda a compierlo. Attenzione, però, perché le ingiurie sono permesse solo a chi può fregiarsi del titolo di 'parente'....Tutto questo succede il sabato precedente la prima domenica di maggio, il 19 settembre, giorno del martirio del santo, e il 16 dicembre, anniversario dell'eruzione del Vesuvio che aveva risparmiato Napoli, nel 1631. Così è. Inutile tirare in ballo la scienza. E' solo questione di fede. Anzi, di fede partenopea.
Certo, invece, e senza alcuna possibilità di dubbio neanche futuro, è che la Cappella e il suo Tesoro non appartengono né alla Chiesa, né allo Stato, bensì solo ai napoletani. Lo stabilisce il solito atto del 1527, con cui si affida ad una deputazione laica, formata dai cittadini, il compito di custodire e tutelare tutto: reliquie, doni e culto. E niente da allora è mai cambiato. Per la verità un decreto di Renzi ed Alfano aveva provato a consentire l'ingresso della Curia nella scelta dei componenti della Deputazione. Ma la fiera opposizione dei napoletani ha impedito che il progetto andasse in porto e il tesoro è rimasto proprietà dei soli cittadini. C'è da dire che nessun altra istituzione, pubblica, privata, ecclesiastica o laica, ha gestito con tanta passione e attenzione il patrimonio affidato, arricchendolo anno dopo anno e chiamando pittori, artisti e artigiani a decorare la Cappella, oggi ricca di capolavori. Guerre, carestie, pestilenze e eruzioni del Vesuvio si sono succedute, ma niente ha toccato il Tesoro di San Gennaro, nè mai un pezzo è stato ceduto o venduto - fatto raro per qualsiasi altra organizzazione. Persino i ladri sono stati lontani da quei metalli preziosi, guardandosi bene dal fare un dispetto al caro Gennarino. Solo quei burloni di Totò e Manfredi ci avevano provato in un lontano film, ma tutti sappiamo com'è andata a finire.
Il museo del Tesoro, che accompagna i visitatori attraverso sette secoli di arte e di fede a Napoli, è stato inaugurato nel 2003 e oggi ha arricchito la collezione con un'audioguida in cui voci di attori e artisti contemporanei raccontano la storia di un santo, di una città e dei suoi abitanti, accompagnati da musiche composte da Antonio Fresa. , confessa il compositore. .
Vero è che le clausole del contratto impegnano il santo solo per la città di Napoli, ma, visti i tempi che corrono, magari potesse fare uno strappo alla regola.... .