Al mattino, appena sveglia, ma ancora assopita, accendo la luce, controllo l'ora sperando che non siano le quattro -a volte capita- se invece l'ora supera anche di poco le sei prendo la prima pillola del giorno: l'Eutirox, per i noduli alla tiroide. Qui devo ringraziare o il vento del post Chernobyl che ha trovato la via per adagiarsi nella sabbia di Marina Romea mentre a piedi nudi, riprendevo contatto con il mare, o l'aria ravennate satura di polveri sottili. Quando andai al primo controllo all'ospedale di Cesena, il medico mi disse "Ma venite tutte da Ravenna!"
Eutirox ha, come tutti i medicinali, oltre agli effetti collaterali, diversi dosaggi, così il giovedì e la domenica dovrei prendere un dosaggio di 50 microgrammi e nelle altre albe, 75 microgrammi. Dico dovrei perché in realtà mi confondo, allora il giovedì diventa il venerdì e la domenica di conseguenza diventa il lunedì. Poi si materializza una specie di miracolo, ma lo so, commetto un ulteriore errore e i 50 microgrammi ritorno a prenderli il giovedì e la domenica.
Inoltre il mio è un sonno disturbato, devo impormi questi risvegli e, nonostante sia da decine di anni un appuntamento quotidiano, mi trovo ancora del tutto impreparata ad ingoiare la prima compressa della giornata. Nella maggioranza dei casi rimango con il dubbio "l'ho presa o non l'ho presa?" Mi aggrappo a Rai radio tre e mentre ascolto le prime notizie della giornata, faccio la più bella dormita della giornata. Naturalmente l'Eutirox non è la sola medicina quotidiana; il colesterolo, la pressione, il diabete, ne richiedono altre. Potrei passare tutta la giornata in attesa della pillola seguente e siccome noi umani ci abituiamo, pur di sopravvivere, alle situazioni anche le più disumane, questa è normale routine. Magari visti i tempi, sono pure una donna fortunata.
C'è poi l'eccezione, come sta accadendomi ora; quel mese di riassestamento che segue un intervento alla cataratta.
Il cristallino
Alle otto e alle otto e dieci devo inocularmi due colliri. L'oculista ha scritto -da come scrive è un medico d'hoc, anche i numeri sono capovolti, scherzo, si è sparsa la voce che è molto bravo e sotto certi aspetti è un guaio- Netildex collirio, una goccia h. 8-12-16-20 (x 8 giorni), Komorebi, collirio una goccia h.8.10-14.10- 20.10 (x 30 giorni).
Qui i problemi aumentano anche se questa volta per la seconda cataratta i colliri sono solo due. Ho iniziato subito ad entrare in crisi per quei 10 minuti, per "1 goccia" e per la fascia di orari 12, 14-10, 16. Mi sono informata per capire qual'è la posizione migliore per usare il collirio; un'amico mi ha consigliato di stendermi sul letto. Ha ragione. Ho iniziato rimanendo seduta, ma il dubbio rimaneva: poco o troppo? Una goccia esatta, come l'orario, mi sono difficilissimi da gestire.
Mi è venuto in soccorso Federico mettendo in funzione la sveglia dello smartphone: dopo un giorno trascorso in attesa del suono e a volte non sapendolo neanche far tacere, l'ho tolto e ho continuato a sbagliare orario.
Tra me e il tempo c'è sempre stato qualche cosa di non risolto. Non siamo in sintonia. Anzi aumento: ci separa un abisso insormontabile. I tempi sono tanti e per qualche fine pensatore il tempo non esiste. Non fa niente. Io sto parlando di quel tempo che in un batter d'ali divora le nostre vite e regolarmente sconquassa le mie giornate. Lui passa troppo velocemente e io lo perdo sempre di vista.
Ma i problemi non finiscono qui.
In questa fase post operatoria per quindici giorni non posso chinare la testa, non posso piegarmi e tantomeno non posso sollevare pesi. Non posso andare in bicicletta e per un mese non posso andare al mare.
Non posso, non posso, non posso fare nulla, che come libera scelta, è sempre stata la mia vocazione, se imposta, invece, perde il suo senso logico.
Il nulla per me coincide con la contemplazione dello spettacolo sempre diverso dell’argine del fiume o delle correnti marine al punto tale che io stessa, in compagnia della bicicletta divento acqua, prato, ghiaia. Divento strada.
Ora, invece, il non fare niente è per vederci meglio che è già una gran cosa, ma per via del sapersi adattare, mi ero abituata a vedere anche immagini sfumate.
Inavvertitamente, anche qui, compio errori e i sensi di colpa e l'angoscia che possa capitare qualche cosa di irreparabile al cristallino -nulla è irreparabile per la teoria di cui sopra- aumenta il mio disagio. Chi, durante la giornata non apre il frigorifero o la lavastoviglie, o un armadio e quel che cerca si trova nell'ultimo ripiano in basso? Chi non si china per infilarsi biancheria intima, o pantaloni, o gonne, o scarpe? Sono gesti di routine quotidiana e se la schiena continua a sostenerci li compiamo senza porci tante domande. Inoltre non posso neanche raccogliere gli oggetti che inavvertitamente mi cadono. Per 15 giorni lo sguardo deve rimanere frontale altrimenti il cristallino se ne va fuori sede. Praticamente una sfinge. I proprietari di questo appartamento, inoltre, sono gli oggetti e come tali ne dominano tutti gli spazi e si animano: cambiano di posto a mia insaputa, si nascondono nei luoghi più impensati, hanno le loro simpatie e soprattutto "mi prendono in giro". Quando come ora, mi trovo in difficoltà, si scatenano.
Un esempio
Di notte, non ne conosco la ragione, devo mettere sopra all'occhio operato, una conchiglia trasparente. Durante il giorno riposa, ben protetta, vicino al letto. Ieri sera nel tragitto stanza da letto bagno è sparita. Si è nascosta, avvolta in un salvietta bianca, nell'ultima stanza, sul tavolo bianco da lavoro, sotto altri fazzoletti bianchi: un gioco di volumi bianchi e di trasparenze; anche il cellulare, nero, lo ritrovo sempre, su fondali neri. Nel gioco seguono quei criteri di bellezza e di armonia che noi umani da tempo abbiamo perduto di vista, appunto.
Avvertiti, inoltre, di questa mia temporanea immobilità, sono scivolati tutti a terra. I più furbi però se ne stanno al loro posto, ma appena li prendo mi cadono dalle mani e anche loro precipitano. Il pavimento dell'appartamento si è trasformato così in un tappeto variegato pieno di inciampi. Nei momenti di pericolo anch'io metto in campo difese e così mi è venuto in mente il numero infinito di piegamenti eseguiti a scuola nelle ore di educazione fisica. Incredibile. Erano utili al cristallino. La realtà, come al solito, supera di gran lunga l'immaginazione. Ecco a cosa servivano; a non piegare mai la testa. Mi riescono ancora e la lotta tra me, gli oggetti e il cristallino è vinta. Forse.
Non è detto, perché oltre all'orario dei colliri, ai pesi, alla testa sempre dritta, insomma, una sfinge, non posso andare in bicicletta e non posso andare al mare. Ovvie conseguenze, naturalmente. Invece io sono di erba che si dà al vento, di piccoli sassi e di acqua marina.
L'intervento è avvenuto il 6 giugno, il mio mese preferito per il profumo dei tigli alla sera, per le lunghe giornate di luce e per i bagni marini dall'acqua un po' fredda, ma limpida e trasparente. Con i mutamenti climatici in atto, in questo mese il caldo ha superato i valori normali, le giornate sono limpide, l'aria al tramonto prende toni rosati anche qui in città e chi può se ne va al mare.
Ora che ci vedo molto meglio, priva della visione del fiume e del mare, mi sento cieca. E guardo dalla stanza l'albero qui difronte; è carico di una luce intensa che gli crea una sorta di aura. Possiede la luce dei dipinti della Madonna nelle chiese, al mese di maggio, quando ero bambina. In realtà oggi gli alberi sono la nostra salvezza, sono sacri.
E così, nell'assenza, vedo la Madonna, come nel Medioevo le murate vive. Ancora non levito, ho i piedi ben ancorati a terra. Forse per poco. Ma ora guardo il mio albero madonna e in compagnia della scrittura e della lettura è, per ora, l'unica possibilità di sopravvivenza.