Ruttodromo è un bruttissimo neologismo che si sta affermando con preoccupante successo e probabilmente tra non molto i programmi di scrittura dei computer lo acquisiranno smettendo di sottolineare in rosso la parola, che adesso non riconoscono. E forse anche qualche dizionario della lingua italiana ne dovrà prendere nota. Per analogia con velodromo, ippodromo, autodromo, la parola potrebbe far pensare a un luogo nel quale si gareggia a chi esterna in maniera più roboante e prolungata “l’aria emessa rumorosamente e bruscamente dalla bocca” (si cita la definizione di un dizionario d’italiano).
Impossibile non pensare a qualche goliardata scollacciata durante cene trash tra studenti in vena di trasgressione, o a infantili marachelle nelle quali si pratica di nascosto tutto ciò che è vietato dai precetti educativi dei rispettivi genitori, traendone maliziosamente divertimento e riso. Ma non è proprio così.
Il neologismo incriminato è stato recentemente adoperato da Massimo Gramellini in un suo editoriale sul Corriere della sera, facendone una metafora della volgarità e dell’odio e indicandone l’ambiente nel quale questa competizione a colpi di versacci e di turpiloquio è più abusato: le sedi dell’attuale dibattito politico in corso.
“Noi odiamo tutti” è la scritta cubitale apparsa tempo fa su uno striscione della tifoseria di una squadra e di una città che non ci piace ricordare. Roba da stadio, si intende, esagerata e pittoresca quanto si vuole, ma sufficiente a dare la misura di come un luogo di svago, di divertimento, di passione sportiva sia diventato palestra di pratica della malevolenza.
E la forza perversa della rete e di internet ripropone continuamente questa minacciosa dichiarazione corale, gridata a caratteri cubitali, alimentando umori e sentimenti non certo di amicizia e di solidarietà. Ma se a sventolare questi striscioni e a inneggiare al loro messaggio bellicoso sono giovani forse troppo eccitati dalla passione calcistica, forse dal carattere esuberante e intemperante, forse anche un po’ scostumati e aggressivi, forse annoiati in cerca di sballo, non si può negare che i modelli con i quali essi sono cresciuti e continuano a crescere siano quelli imposti dai media, soprattutto dalla televisione, dai social e dall’ipnotico magnetismo dei telefonini.
In tivvù, però, la corsa da Ruttodromo non è esclusiva del dibattito politico avvelenato e del talk show sbracato, che diversamente ma implacabilmente si nutrono, l’uno e l’altro, d’odio, palese o malcelato che sia. Questo particolarissimo circuito della perversione, infatti, è attraversato anche dai partecipanti ai numerosi reality spesso brutali e scollacciati e a certi quiz, nel corso dei quali pur di apparire sullo schermo, i concorrenti si sottopongono a tutte le torture più sadiche immaginate dall’autore della trasmissione e a tutte le contumelie, le offese, gli sberleffi le battutacce che taluni presentatori indirizzano loro.
Ruttodromo, stando dunque all’articolo come sempre brillante e trascinante di Massimo Gramellini, è dunque lo spazio di esercizio e di esternazione delle volgarità e delle cattiverie alle quali siamo ormai abituati. Compresa la vigliaccheria proditoria di chi, nascosto dalla protezione di un nickname, semina infamia e zizzania sui social, o di chi gira col cellulare in mano alla ricerca dello scoop, magari riprendendo a tradimento un uomo importante che ha la debolezza, credendosi inosservato, di abbandonarsi a un gesto apotropaico o scaramantico, per sbeffeggiarlo e screditarlo in rete. Per non dire della crudele indifferenza di chi assiste a un incidente, a una rissa, a una rapina e attiva il cellulare, piuttosto che per chiamare soccorso o forze dell’ordine, per filmare e poi postare.
Si può obiettare che è sempre stato così; che l’odio è sempre stato più diffuso dall’amore; che il contesto umano è stato visto da Dante come l‘ “aiuola che ci fa tanto crudeli”; che il mondo non è altro, come versificò Pascoli, che “un atomo opaco del male”; che ogni uomo è sempre stato lupo per l’altro uomo, come recitava un vecchio proverbio latino riferito da Plauto nella sua Asinaria e ripreso poi dal filosofo Hobbes per sintetizzare nell’ efficace espressione, “homo homini lupus” il rapporto di ostilità esistente tra gli uomini da mutare in “homo homini deus”.
Quello che oggi sgomenta davvero di più è che la pratica dell’insulto, dell’offesa, dell’odio, della violenza, non solo verbale ma anche fisica da parte dei succubi dei media, esercitata disinvoltamente in questa corsa collettiva lungo il Ruttodromo, è diventata abitudinaria ed è esternata quotidianamente e disinvoltamente attraverso tutti i mezzi di comunicazione che reti e cellulari mettono a disposizione pur con la pigra e fredda consapevolezza del male che si fa e del dolore che si infligge.
Come si fa a fermarsi e a uscire dal Ruttodromo?