Il primo segno che qualcosa stesse cambiando radicalmente è stato l’interesse della scienza per il vuoto, che ci ha portati a stabilire che vuoto non è. Che lo “spazio tra le cose” è significativo e pieno di energia. Il momento in cui l’immateriale ha iniziato ad essere interessante per le menti logiche, razionali e calcolatrici, si è finalmente aperto un varco ai mondi sottili, alle diverse dimensioni dell’esistenza, alle qualità energetiche, al peso specifico delle emozioni, insomma a tutto ciò che per secoli è stato bistrattato, e in modo sistemico etichettato come “roba da femmine”, femminucce o streghe… a seconda del periodo storico.
Sempre rimanendo fedeli al sistema di riferimento dominante ancora oggi, possiamo dire che il secondo passo lo hanno fatto gli scienziati che di fronte al collasso degli ecosistemi planetari ammettono che informazione, conoscenza e tecnologie non sono in grado di invertire la tendenza autodistruttiva innescata dal sistema stesso, e richiamano l’attenzione sull’evidente la necessità di mettere in campo la filosofia, la fede e la spiritualità se si vuole davvero rieducare l’umanità alla sopravvivenza e convivenza sulla Terra.
Un nuovo segnale di un movimento destabilizzante della cultura dominante (quella che detiene il potere) è la constatazione dell’intensificarsi di articoli, webinar, interviste, dalle fonti più diverse, che riconoscono ciò che viene molto genericamente definito “un risveglio del femminile”. Ma cosa significa? Sicuramente la prima cosa da comprendere è che femminile non significa “delle donne”. Ciò di cui parlo non ha nulla a che a fare con il femminismo, con la lotta sociale, con la parità di genere, proprio perchè questi movimenti si sono sempre mossi all’interno di quello che un po’ grossolanamente, ma per agevolare il discorso, definirò “sistema maschile”. Per capire: se le donne chiedono gli stessi diritti degli uomini vuol dire che stanno usando il sistema maschile dominante come riferimento, e che quella è la “qualità” che ambiscono a conquistare. La grande rivoluzione invece, e di cui con immenso piacere riconosco qui e là luminose fiammelle, è l’apertura di cantieri di un nuovo modo di vivere che cambi sistema di riferimento. Insomma, tutto ciò che gli uomini negli ultimi secoli hanno definito puerile, inutile, sciocco, fantasioso, irreale, debole, ridicolo e femminile, è esattamente quello di cui tutti abbiamo bisogno.
In cosa consiste allora questa rivoluzione? Per comprenderla, e anche per sostenerla, ci facciamo aiutare dalle parole. E già questo è parte della rivoluzione. Le parole sono strumenti la cui varietà, quantità, bellezza, potere e ricchezza stiamo colpevolmente dimenticando o sottovalutando. Esattamente come abbiamo fatto per tutte le altre diversità, abbiamo perseguito semplificazione, standardizzazione, uniformità, omologazione, con conseguente impoverimento, dal punto di vista più materiale fino a quello spirituale.
La rivoluzione passa quindi attraverso il ri-conoscimento dell’immenso valore della diversità, e la pratica di un nuovo lessico. La prima parola, quella più importante forse, quella più strumentalizzata in assoluto nella storia è uguaglianza. L’estenuante lavoro di desiderare, considerare, valutare uguali cose diverse ha portato controsensi e ingiustizie di ogni genere. Le scelte, le divisioni, le ricompense, non dovrebbero essere uguali, bensì eque. Una legge uguale per tutti è ingiusta per definizione visto che tutti non sono uguali, e tutti lo sanno. La legge dovrebbe essere equa. La bellezza della parola equo sta nella qualità che i latini hanno voluto aggiungere alla definizione di uguale: equo significa uguale e giusto. Definisce ciò che è buono e positivo nell’essere pari, piano e allo stesso livello. Etimologicamente infatti fa riferimento, ad una qualità che veniva data al paesaggio, al panorama, alla forma pianeggiante, limpida, quieta. Specifica uno stato naturale delle cose che tende all’equilibrio e dona pace.
Altra parola alla quale è stato dato un enorme potere dal sistema maschile ed è servita a strutturare il mondo e il modo in cui viviamo, con le drammatiche conseguenze che sono ormai non più camuffabili, è competizione. Se ad un sistema maschile competitivo per sua natura, la natura femminile riuscisse a rispondere con la collaborazione, avremmo qualche chance di non estinguerci. Non solo perché significherebbe collaborare tra esseri umani, ma anche creare reti di connessione e scambio con tutto il sistema dell’organismo pianeta, e mutualità, interdipendenza, sostegno, conoscenza e rispetto che si manifesterebbero attraverso la partecipazione attiva e propositiva, attraverso l’attitudine ad essere di contributo ad un obiettivo.
Così come alla parola competizione si lega spesso il termine ambizione dando origine al nefasto “mors tua vita mea”, se associamo l’ambizione alla collaborazione diamo un impulso espansivo e contagioso di condivisione della ricchezza, dell’energia, delle opportunità.
L’evoluzione della specie che si attua attraverso il passaggio da una generazione all’altra di informazioni (fisiche e metafisiche) sarebbe immensamente più produttiva, proficuo, proattivo, nonché bidirezionale, se invece che essere incentrato sull’istruzione fosse veicolato attraverso l’educazione. La differenza sarebbe passare da una società di adulti che cerca con la forza di “mettere dentro” i ragazzi delle informazioni, ad una invece che riconosce nei giovani il potenziale delle nuove possibilità, nuove opportunità, e li stimola a manifestarsi nelle proprie caratteristiche peculiari, nei propri punti di forza, nei propri specifici talenti, affinché ognuno possa dare il meglio di sè, per sé stesso e per gli altri. Educare significa tirare fuori. E anche in questo caso, non si può prescindere dal prerequisito del riconoscimento del valore della diversità: è necessario che la società, la cultura, la comunità riconosca nella molteplicità delle forme e delle intensità con la quale un individuo può manifestare i propri talenti, la sua inesauribile e incalcolabile e rinnovabile ricchezza. Il sistema maschile che sostiene la supremazia dell’intelligenza logico-matematica su qualunque altra dote impoverisce l’umanità intera, annichilisce la meravigliosa e caleidoscopica varietà delle intelligenze, delle virtù, delle abilità e sensibilità di cui giovani uomini e giovani donne sono naturalmente dotati. Lo svilimento perpetrato ai danni delle arti tutte, delle capacità relazionali, delle abilità creative e di tutte quelle manifestazioni delle caratteristiche femminili è ciò che ha portato l’aridità nello spazio condiviso dagli esseri umani, e spesso nell’essenza degli individui stessi.
A questo punto quindi credo meriti uno spazio proprio ciò che definiamo “distinzione di genere”. Come per ogni altro tema affrontato, anche qui il valore della diversità fa la differenza. Per poter celebrare l’abbondanza della ricchezza costituita dall’umanità stessa è necessario accogliere le diverse forme con cui il genere di un’individuo si manifesta. Non solo quindi ridimensionare l’egemonia del maschio eterosessuale, ma anche interrompere l’eterno conflitto del dualismo uomo-donna, conflitto originario, primordiale, ormai stereotipato. Mi sono sempre chiesta quante incomprensioni le società avrebbero potuto appianare, quanti contenziosi, quanta violenza, quanta sofferenza l’umanità si sarebbe risparmiata, se l’esperienza di individui dai generi sfumati, doppi, multipli, mutevoli, interscambiabili, fosse diventata fonte di conoscenza, riconosciuta e rispettata come qualcosa di infinitamente prezioso. Le specifiche doti e sensibilità percettive degli individui che sono dotati di una proporzione tra mascolinità e femminilità non convenzionale dovrebbero essere consultate in ogni qualsivoglia ambito, visto e considerato quanto la distinzione di genere condiziona ogni aspetto della vita sociale e personale. Il punto di vista privilegiato dello spazio di mezzo, quello che troppo spesso ci manca, per avere una percezione più completa e verosimile della realtà. Anche dal punto di vista scientifico sappiamo che per comprendere e rappresentare ciò che ci circonda sono necessarie almeno tre dimensioni. Le tecnologie avanzate raccolgono immagini da tantissimi punti di vista per comporre un’immagine che sia il più rispondente possibile alla verità del reale, e maggiori sono i punti di vista, più accurata sarà la rappresentazione. Quindi la rivoluzione deve necessariamente passare attraverso la consapevolezza che è esattamente nella combinazione dei molti punti di vista, accolti senza giudizio e senza gerarchia, che risiede l’unica possibilità di conoscere il mondo in cui siamo immersi, e tentare di capirci qualcosa! Accoglienza è un’altra parola del paradigma femminile che la rivoluzione può introdurre, per sostituirla a giudizio.
Come abbiamo impoverito il nostro lessico riducendo il numero delle parole che usiamo, allo stesso modo, a dispetto di tutto ciò che avremmo (o avevamo!) a nostra disposizione, sono pochissimi i tipi di pesci che ci piace mangiare, i muscoli del manzo che commercializziamo per alimentazione umana, sono sempre gli stessi gli alberi che piantiamo, i cereali che seminiamo. La biodiversità sul pianeta si riduce e il nostro mondo si inaridisce. Come il nostro lessico, così si impoverisce la varietà dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, degli strumenti per l’immaginazione, di ispirazioni per la creatività. La rivoluzione è già in atto.