Viviamo in società malate, in un clima di paura creato artatamente da una parte dell’informazione: notizie sempre più terrorizzanti colpiscono mente e cuore della gente, dai giornali, dagli schermi, dai pixel luminescenti del multiverso che entra nelle cellule delle persone influenzando gusti, bisogni, pensieri, preferenze, spingendo i vecchi alla disperazione, gli adulti al disorientamento, gli adolescenti a un mondo senza speranze, i bambini a un’infanzia senza protezione.
Gli ideali, uccisi dalla propaganda, vengono sostituiti da semplici slogan che forniscono all’uomo medio, superficiale e ancorato soltanto ai bisogni materiali della specie, il pretesto per giustificare la sua totale mancanza di spirito critico.
Ma a cosa porteranno la distruzione di relazioni e legami sociali, i conflitti tra gruppi di individui, tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra fratelli carnali e popoli fratelli?
In una società “sana”, adulti e adolescenti con fiducia in se stessi, bambini cresciuti in famiglie stabili, con genitori amorevoli, non svilupperanno aggressività verso se stessi e gli altri. Ma se l’ambiente familiare è caratterizzato da negligenza, trascuratezza, abuso, violenza, sia di tipo psicologico che fisico, in un mondo permeato da odio, violenza verbale, instabilità, non ci sono più i presupposti per quella “base sicura” necessaria al bambino per autoregolamentare le sue emozioni.
Verso quale futuro ci stiamo dunque dirigendo? Lo chiediamo ad un esperto, Claudio Monzio Compagnoni, criminologo, medico legale ASL RM 2, esperto di disabilità e tossicodipendenza, scrittore e regista cinematografico e teatrale.
Chi commette un crimine oggigiorno?
A partire dall’età della ragione, tutti possono commetterlo coscientemente: si tratta di un atto, una serie di comportamenti, infatti, che si discostano da quella che potremmo chiamare “la via maestra”. Chi esce da quel solco tracciato, praticamente commette un crimine. Il problema vero, è capire chi, perché, come, quando, abbandoni la retta via. Bisogna anche comprendere se oggi abbia senso parlare di crimine, oppure di un modo di agire, comunque reiterato, di persone nemmeno consapevoli di commettere crimini. E nemmeno indirizzate a non commetterli.
In che senso?
Nei canali ufficiali della comunicazione, mentre si racconta un fatto, una serie di opinionisti si schierano subito su due fronti, quello del vero o del falso, determinando una visione manichea della vita reale. La disinformazione sui grandi eventi è sempre esistita, ma questo comportamento ha subito un’accelerazione: oggi più che mai, i media invece che informare, disinformano, manipolando le notizie, oppure le informazioni sono parziali perché il sistema intende veicolare alcune notizie e non parlare di altre.
Quindi, la manipolazione ha inizio dagli stessi che forniscono le notizie?
Non solo, da chiunque fornisca un’informazione mirata a sostenere un sistema o un altro a seconda della convenienza di chi la trasmette. L’informazione non è mai neutrale, essa è sempre filtrata dal proprio passato, dalle proprie esperienze, da scelte personali che poi determinano il modo mediante il quale l’informazione viene fornita. L’informazione non è mai pura, già il bambino assume comportamenti determinati dall’ambiente in cui nasce, c’è un imprinting dovuto al padre, alla madre, ai nonni, ai caratteri genetici.
Viene influenzato anche dai suoi antenati?
Non solo, ma anche da un cervello tripartito secondo MacLean, che si comporta in modo primitivo. L’uomo, prima di evolversi al cervello superiore, passa attraverso una serie di fasi evolutive, partendo dalla sopravvivenza della specie: il comportamento del primitivo era mangiare, difendersi dai pericoli per la sopravvivenza, praticare il sesso ai fini della procreazione, insomma, si preoccupava della continuazione della specie e basta. Forse stiamo recuperando quel tipo di incoscienza o di coscienza.
Il crimine era legato alla sopravvivenza. E oggi?
In criminologia, chiunque commetta un crimine, lo fa per una sola ragione: un guadagno. Non solo in termini di denaro, ma di possesso di terre, di persone, o di potere, un guadagno fisico, simbolico, spirituale, di possesso di beni che prima non gli appartenevano.
Qual è lo stato psicologico del criminale “abituale”?
È una domanda complessa, per la giustizia si tratta della “capacità di intendere e di volere”. Per gli specialisti di questa materia è il momento in cui da un pensiero normale si passa a un pensiero “altro”. Tutta una serie di passaggi, tutta una serie di informazioni, tutta una serie di mediatori chimico-fisici all’interno del cervello possono far emergere un comportamento criminale.
È come una sorta di raptus di follia?
Non precisamente. Prendiamo in considerazione la guerra: essa non avviene in un momento solo, ma si perpetua nel tempo e nello spazio. Bene o male noi abbiamo avuto un mondo sempre in guerra, o in una regione o nell’altra, l’uomo è solito scontrarsi per contendersi “un guadagno”. Nella carriera criminale si verifica sempre un’escalation: si inizia con un furtarello, per passare alla vera rapina, fino alla strage. Si comincia con un atto che poi dà l’idea di poter fare un passo successivo, perché conviene e porta un “guadagno”. E, passo dopo passo, si vuole sempre di più.
Un atto narcisistico per attrarre l’attenzione?
Il criminale è sempre narcisista o non ha avuto i giusti strumenti per crescere fisicamente e psichicamente. Anche l’ambiente in cui si vive è importante, ma non è detto. La carriera criminale può essere fortunata, ossia nelle azioni compiute le cose vanno lisce, il soggetto progredisce e poi arriva a sentirsi onnipotente tanto da voler sfidare il mondo. Per avere sempre che cosa? Ogni atto criminale è fatto per guadagno, non è soltanto un fatto economico ma è soprattutto una questione di soddisfazione profonda, un desiderio narcisistico che necessita di essere appagato proprio commettendo l’atto criminale.
Come si può riconoscere un criminale pericoloso?
Rispondo con un esempio: tempo fa, a Treviglio, vicino Bergamo, una ambulante di 71 anni, Silvana Erzemberger, con una pistola regolarmente detenuta, ha sparato a due vicini di casa, uccidendo l’uomo, e ferendo gravemente la moglie. Si è trattato di omicidio volontario aggravato e tentato omicidio. Il tutto è avvenuto per uno screzio, il cagnolino della coppia abbaiava troppo forte. La donna è andata dritta verso i malcapitati e ha esploso con la massima naturalezza tre colpi di pistola. Il movente? Un odio covato da tempo, un desiderio represso, cosicché questa anziana compiva l’assassinio senza ripensamenti e con una freddezza e lucidità che ho visto poche volte.
Perché accadono questi fatti?
Perché tutti quelli che ci sono intorno, cittadini, forze dell’ordine, non hanno le forze per intervenire. Queste tragedie avvengono perché non esiste più una coscienza dei cittadini, quel senso di collaborazione in grado di percepire il malessere altrui: ognuno vive nella celletta dell’alveare e non vuole vedere altro.
Come nasce, invece un serial killer?
In criminologia una serie di studi affermano che, se accadono determinate cose nell’ambito familiare, se vengono agiti dei comportamenti nei confronti dei bambini, che servono solo a far loro del male o a procurare del dolore, oppure a isolarli dagli altri contesti, una serie di accadimenti codificati, quasi sicuramente nascerà quel comportamento.
Quali comportamenti sono codificati?
Svariati, tra cui enuresi notturna anche in età adulta; uccidere, senza provare coinvolgimento, animaletti prima, come lucertole, grandi animali dopo - impiccagione di un cane o di un gatto -, anche godendo del dolore prodotto a questi.
Quali atti genitoriali stimolano questo tipo criminale?
Abusi sessuali, da parte di padre e madre, lui alcolizzato e lei che prende botte davanti al figlio; padri o madri particolarmente severi che ne combinano di tutti i colori, punendo i ragazzini per un nonnulla.
Che differenza c’è tra chi commette un crimine e il mandante?
Son criminali tutti e due. Sono però differenti: uno possiede il carisma, che è sempre una cosa positiva, un capobanda ha una impostazione particolare verso cui tutti si rivolgono. Bisognerebbe specificare anche il tipo reato, se c’è un mandante e anche chi lo compie. Da una parte c’è un atteggiamento di sottomissione nei confronti del mandante. Il succube è attratto dal capo: non ha il coraggio di farlo, necessita di una spinta, è sempre qualcosa che gli manca da quando è piccolo. Ci si arriva da grandi perché ci si sente inadeguati rispetto agli altri e si cerca di mettersi in mostra affermando di possedere le qualità di un capo.
Qual è lo stato mentale di chi ordina assassinii di massa?
Può trattarsi di criminali come Hitler e Pol Pot, oppure come chi utilizza la violenza come ultimo mezzo per risolvere una situazione: quanti rivoluzionari hanno creduto di essere giustizieri per le malefatte di alcuni e poi si sono comportati peggio di costoro, come nella Rivoluzione Francese? C’è un gusto per la violenza? Sì, sempre, in un caso e pure nell’altro.
Ricordo un episodio degli anni Trenta: lo “Stupro di Nanchino” alla fine della Seconda guerra sino-giapponese. Con oltre 14 milioni di vittime nella sola Cina, i giapponesi avevano stravinto, eppure entrarono a Nanchino e trucidarono 300 mila persone, stuprando oltre 20 mila donne, anziane, madri e bambine. Gli abusi delle truppe non furono solo di carattere sessuale, ma furono atrocità come: versare acido sui prigionieri; cannibalismo; decapitazioni; infanticidi; famiglie costrette all'incesto e alla necrofilia, sepolte con il busto fuori per essere bruciate vive o attaccate dai cani.
Certe volte gli uomini hanno impulsi interiori che li spingono a commettere atti che mai avrebbero commesso se non fossero stati in quel contesto dove un crimine tira l’altro.
Le classi agiate, già ricche e potenti, che cosa guadagnano ad avere di più?
È un fattore insito nell’uomo. Come dice il proverbio: “L’erba del vicino è sempre più verde”. I proverbi non sono da sottovalutare, affermano sempre delle verità sui comportamenti umani. L’uomo vuole avere sempre di più, perché è insoddisfatto: una mente non attrezzata, se l’altro ha una bella moglie, vuole una bella moglie. Non è nemmeno un problema di elevazione di coscienza… la parte animale che all’inizio desiderava avere una femmina per il perpetuarsi della specie, man mano si trasforma e sviluppa il senso del possesso. Perché in realtà si fa una guerra? Perché ci si vuole impossessare di tutti quei beni che non si possiedono. Il primo movens è sempre quello del guadagno.
Quali sono dal punto di vista medico le motivazioni di un crimine?
Il male, la malattia, una rispecchia l’altra. Il male, per la medicina, è un’anormalità dello stato di salute, in questo caso bisogna stabilire da quale punto di vista si approccia questo tipo di malato: psicologico, psichiatrico, fisico. La lesione del lobo frontale del cervello, per esempio, inibisce tutte le paure, conduce uno stato di spregiudicatezza. Come nel caso della perizia effettuata sul serial killer Stevanin che aveva un ferro dentro la scatola cranica. Quest’uomo faceva delle cose fuori da ogni regola, era malvagio, senza senso della misura, privo di compassione. Quando gli hanno estratto il ferro si è trasformato acquisendo una personalità più umana.
Ci sono casi che ti hanno colpito particolarmente?
Per quanto noi vogliamo informarci, i tribunali del mondo sono pieni di cose “fuori dal mondo”, che uno non riesce proprio ad immaginare, si sa che accadono ma non si vuole ammetterlo: ci sono stati bambini prelevati da famiglie, più o meno in difficoltà, mediante organizzazioni istituzionali, togliendoli volutamente ai genitori per mandarli in case-famiglia, in un ambiente trascurato e sporco, tenendoli in una sorta di prigionia.
In un paese della Campania, una madre ha tenuto una bambina incatenata, come i cani, dentro casa, affinché non si muovesse, perché portava il nome della suocera, che lei odiava. Il lavoro nostro va oltre ogni immaginazione.
Come si può vivere senza rimorsi dopo un atto criminale?
Perché diventa un fatto normale: Pol Pot, uno dei più spietati dittatori del Novecento, che governò la Cambogia fino al 1979, fu responsabile della tortura e il massacro di un milione e mezzo di persone, a causa del lavoro forzato, della malnutrizione, della scarsa assistenza medica… ed era un intellettuale, laureato in un luogo democratico come Parigi.
Quando ti ha colpito il modo di commettere un reato?
C’è stato un massacro in Vietnam nel 1968, la strage di Mỹ Lai; il tenente Calley, ordinò di sterminare un intero villaggio: morirono 350 persone inermi per mano dell'esercito statunitense. "Andate e sparate, i vietnamiti non sono umani", affermò un fotografo testimone di quella mattanza. Le sue immagini costrinsero l'America a interrogarsi di fronte all'orrore di quei corpi e a guardare le sue mani sporche di sangue.
Ci sarà in futuro un incremento di comportamenti criminali?
Abbiamo troppi telefonini, troppi computer, per non parlare di quanto si dice sul sistema 5 G. Bisognerebbe che tutti leggessero il romanzo di Orwell, 1984, un libro-verità sulle tecniche di controllo della popolazione. Un futuro color del piombo e del sangue.
Come medico legale mi piacerebbe ritornare indietro nel tempo, in cui centrale era la famiglia, dopo la scuola, poi il lavoro, ecc. Era tutto stabilito nelle famiglie primitive, il resto è noia.