Io fui Alessandro e mostro in questa storia.
C’ho ’l mondo in mano e non sanza cagione.
Chè combattendo in ver’ Settentrione.
Di tutto l’universo ebbi vittoria.(Giovanni da Firenze, Sonetti degli Uomini Illustri)
Possiamo definire “mitogonico” ciò che si esprime dall’intersecazione dell’eredità mitografica di una terra con le potenzialità e propensioni “agoniche”, cioè i carismi proiettivi, identitari e comunitari. Se esiste un Mito quale insieme di racconti antichi, immaginari, retaggi, allora si dà anche una dimensione agonico-performativa di tale patrimonio vivo, non poche volte vivo anche nell’inconsapevolezza dei più. Il “genius loci” come pure “l’archetipo” non vanno visti solo in una prospettiva statica, formale, rigida, propria degli studi accademici specialistici ma siamo in presenza di una “materia viva” come la foresta spessa e viva del Paradiso terrestre dantesco che nessun studioso può controllare né gestire se non vi partecipa.
Il concetto di “terra sacra” o “terra di mezzo” è un carisma mitogonico proprio di molte narrazioni ancestrali. Per quanto riguarda il Mito greco la prima terra sacra è quella degli Iperborei, i più antichi di cui i Greci stessi abbiamo memoria. Abbiamo poi quelle “terre sacre” che sono i santuari, a loro volta istituzionalizzazioni di genius loci spesso ctoni come lo stesso Delfi e la già pelasgica Dodona. Luoghi sacri a Gea prima d’esser d’Apollo-Dioniso e di Zeus.
L’Egitto è la terra sacra archetipale per tutti i Greci come è dimostrato mitograficamente dall’origine egizia della stirpe di Danao, dal tema del ritorno in Egitto di Io ed Hermes e dal racconto della fuga in Egitto di tutti gli dei dell’Olimpo greco di fronte all’assalto terribile di Tifone, il più potente gigante creato da Gea per ripristinare il suo dominio. Ma nel Mito greco abbiamo anche una terra sacra e “di mezzo” già euroasiatica da individuarsi nel Caucaso e nella pianura che va dal Mar Nero al Mar Caspio, detta mitograficamente la “pianura amazzonica”, ovvero la Scizia. Il “fiume amazzonico” è il Termodonte, identificabile con il Don o con il Dnepr, cui veniva Pentesilea, l’unico guerriero che sta alla pari di Achille, il quale secondo il Mito viene sepolta nella sacra e misteriosa Isola Bianca, sul Mar Nero, sulla soglia fra Europa e Asia. La Scizia: una regione tanto sacra da far sì che i suoi guerrieri dovessero sacrificare ad Artemide gli stranieri che vi entrassero, come ricorda tra i molti Euripide nella sua Ifigenia in Tauride.
Un tabù simile lo ritroviamo solo nel sacro Regno del Tibet, a cui pochissimi occidentali venivano ammessi nei secoli passati. Le Amazzoni, popolazione sacra ad Ares, appartenevano a quella costellazione di popoli che già Erodoto chiama complessivamente Sciti e che fa derivare dall’unione di Heracle con una sirenica donna-serpente.
Pochi ma illuminanti i tratti identitari degli Sciti: la virtus guerresca, tanto da vincere l’invasione persiana di Dario anche con una guerriglia persino notturna, l’abilità nella lavorazione dei metalli e specialmente dell’oro (di cui Erodoto ricorda una sorta di culto di un oro tellurico-magmatico), i celebri corni potori, ancora oggi in uso in Georgia nelle ritualità conviviali, il culto, anche sciamanico, del cavallo.
Le popolazioni chiamate scitiche erano variegate: andavano dagli Sciti della Crimea, in parte ellenizzati, come la figura di Anacarsi dimostra, uno dei sette Savi della Grecia, fino ai Tauri degli Urali, ai feroci Massageti e ai bellicosi Issedoni, celebri per i loro cavalli e per la loro vicinanza artica agli Iperborei.
Queste terre, oggi russe, ucraine, caucasiche e uraliche, venivano considerate dai Greci come sacre ad Ares e ad Artemide. Il segno di Artemide è la Luna, venerata dagli Iperborei e non a caso lo scudo delle Amazzoni era a forma di mezzaluna. Molte imprese mitiche proprie dei racconti greci appaiono ambientate tra gli Sciti, via eletta verso gli ancora più nobili Iperborei: la cattura della cerva dalle corna d’oro da parte di Heracle, il viaggio di Perseo verso le Gorgoni e di Heracle tra gli Iperborei, e lo scontro di tutti i più grandi eroi greci proprio con le Amazzoni. Sembra una prova eroica quasi obbligata: Teseo, Heracle, Achille combattono contro le Amazzoni e lo stesso Bellerofonte affronta donne orgiastiche e bellicose in Frigia che molto le ricordano.
Non si chiama “Andromaca” la sposa di Ettore, cioè “colei che combatte come un uomo”? Un nome-epiteto che ne tradisce la discendenza amazzonica. E l’Impero di Ilio, probabile ultimo Impero ittita, appare secondo il racconto dell’Iliade chiaramente euroasiatico in quanto si estende cosmicamente nei suoi alleati dalla Macedonia alla persiana Susa, dagli Etiopi alle Amazzoni. Nelle Dionisiache di Nonno di Panopoli sia all’andata che al ritorno della grande eroica spedizione di Dioniso contro gli Indiani, per diffondere i suoi Misteri in Oriente, Dioniso stesso affronta le Amazzoni e le sconfigge.
Le stesse Baccanti e Menadi che combattono per lui in un grande corteo danzante vengono spesso paragonate e assimilate alle Amazzoni e sempre dal Caucaso si muove Dioniso verso l’India e dal Caucaso giunge Attis inviato in sacra ambasciata dalla frigia Rea, di cui Dioniso è campione e adepto. La spedizione indiana viene raffigurata quale lotta spirituale delle potenze alleate con Dioniso (Eros, Afrodite, Aiòn, Rea e Zeus) contro gli Indiani visti quali tracotanti giganti espressione di una terra ctonia e ribelle al Cielo. In mezzo la virtus di Ares, contesa da entrambi gli schieramenti. Le stesse donne iniziatiche amate da Dioniso, cioè le frigie Aura e Nicea, vengono narrate come simili ad Artemide nelle loro capacità guerresche e venatorie e nel loro sfuggente e misterioso fascino.
Nelle Dionisiache il Caucaso appare come l’Ida di Zeus e di Afrodite nell’Iliade. Il tema orientale-indiano di sovranità mistico-cosmico della Ruota già compare nella frigia Rea-Cibele come pure nell’ancestrale iconografia di Nemesi-Ananke dalla corona di corna di cervo a cui si associa mitograficamente la frusta, la mela e la ruota, per poi tornare nel culto egizio di Aiòn quale matrice di generazione e nume “che gira la ruota dei tempi” come lo qualifica Nonno di Panopoli.
Tema quindi euroasiatico e squarci di analoga geopolitica spirituale compaiono più volte nel Mito greco come nell’epopea di Cadmo e nella promessa di Hera a Paride nel celebre giudizio delle tre dee: il dominio dell’Asia! Non dimentichiamo che Toante re dei Tauri, adepti di Artemide, era narrato come figlio di Dioniso ed Arianna. Non aiutò Arianna l’iperborea l’eroe amazzonico Teseo con la sua collana di luce, dono di Hefesto ad Artemide, nella prova eroica del labirinto? Questo ruolo di geopolitica sacrale, centrale tra occidente ed oriente, ritorna con l’ultimo mito antico, che già influenza le Dionisiache, cioè quello di Alessandro Magno quale eroe che si divinizza giungendo ai confini del mondo con la fondazione di Alessandria Eskate, oggi in Tagikistan.
Il mito di Alessandro furoreggia nel medioevo con le numerose varianti del “Romanzo di Alessandro”, dove compaiono temi edenici come l’immagine fascinosa “dell’albero del Sole e della Luna” che il re macedone incontra in Asia centrale. La stessa idea di un Alessandro che eleva o scopre delle mura di ferro che difendono il mondo dal dilagare di “Gog e Magog” non solo dimostra un interessante incrocio tra temi biblici con temi mitici greco-orientali ma pure svela una biforcazione già antichissima tra “Sciti buoni” e “Sciti selvaggi e feroci”.
La tenacia identitaria scitica, che trasla nell’anima tellurica del popolo russo, risuona nei secoli costanti come dimostra l’analisi dello studioso Alessandro Coscia che mostra un’importante isomorfismo simbolico-costruttivo tra la struttura decagonale delle tende circolari asiatiche (le jurte, tende mobili già a detta di Anacarsi, come evocato da Luciano di Samosata nell’omonimo dialogo) e l’analoga struttura circolare-decagonale del Mausoleo del re gotico Teodorico, in Ravenna (Alessandro Coscia, Sergio Coppola, Storie segrete sulla Via della Seta, Mimesis).
Ci dimentichiamo l’origine asiatica dei Goti e di tutte le popolazioni che fecero l’Europa pensando solo alla loro successiva evoluzione “germanizzante”. L’archetipo ambivalente del sole e della luna appare ancora oggi presente nelle bandiere degli Stati dell’Asia centrale che alternano il sole (Kazakistan, Kirghizistan) alla luna (Turkmenistan, Uzbekistan). Il vessillo del Tagikistan è da considerarsi solare in quanto le stelle sono disposte ad arco aurorale. Sembrano dettagli di poco conto e invece la recente araldica di questi Stati così importanti geopoliticamente appare illuminante proprio perché da pochi anni usciti dall’annichilimento sovietico delle identità popolari ed etnico-nazionali. Il carisma spirituale ancestrale evocato talismanicamente dall’araldica tradizionale, ripresa dai vessilli citati, indirizza inconsciamente la futura geopolitica asiatica. Se guardiamo al rapporto sempre più problematico fra l’espansionismo della Cina verso la Siberia e l’irrinunciabile ruolo asiatico della Russia ne troviamo spiegazione nell’antitesi fra il blasone igneo del San Giorgio russo che vince il drago e l’igneo dragone della Cina, suo vessillo profondo. Il futuro dei nuovi assetti e di una nuova pace passa per la splendida bandiera della Mongolia, che unisce il fuoco all’equilibrio fra Sole e Luna?