Qualcuno ha detto che la musica si potrebbe considerare come un mazzo di carte da rimescolare per poi iniziare una nuova partita: le carte sono sempre le stesse, ma ogni volta il gioco è diverso. Una situazione consona all’esperto violinista Luca Ciarla, che ha fatto della duttilità la base creativa di una solida carriera, che lo ha visto spesso protagonista all’estero. Il suo ultimo singolo, appena rilasciato si chiama Cantata Walk: una serie di sue improvvisazioni sovrapposte a una partitura di Bach. Un benaugurante nuovo inizio dopo il periodo difficile imposto dalla pandemia: “Si è trattato di un momento drammatico – ribadisce - la dimensione su scala mondiale del problema avrebbe dovuto farci comprendere, finalmente, l’importanza di prendersi cura del pianeta, in toto, tutti insieme. Eppure, non sembra che l'umanità voglia imparare la lezione e cambiar rotta, anzi, ci ritroviamo ad assistere ad una guerra assurda e a pochi chilometri dai nostri confini. A parte queste considerazioni, decisamente più grandi di ognuno di noi, nel mio piccolo sono stato fortunato e non mi sono quasi mai fermato. Anche durante il lockdown. Con i concerti online per il Melbourne Jazz Festival e varie altre istituzioni internazionali, ho sperimentato nuove forme di espressione, dando sempre più peso alla parte visiva del racconto. Chiaramente il concerto dal vivo batte quello online di parecchie lunghezze, ma qualcosa di positivo credo sia rimasto. Ricordo con grandissimo piacere il concerto alle Isole Tremiti trasmesso poi dall’Istituto Italiano di Cultura di New York.
Che tipo di musica ti fa vibrare e che tipo di musicista invece sei?
Ho sempre amato tutta la musica, senza fare grandi distinzioni. Da ragazzo sono cresciuto ascoltando Johann Sebastian Bach, Keith Jarrett, Thelonious Monk, Egberto Gismonti e poi durante l’adolescenza ho adorato le musiche dei Balcani, la tradizione classica indiana, i Beatles, i Police e tanto altro. È sempre stato difficile per me darmi una collocazione precisa e non ho mai sentito la necessità di farlo. Probabilmente questa mia indole libera mi ha penalizzato nel rapporto con il pubblico, spiazzandolo a volte con le mie scelte ma è percorso di vita, non una scelta.
Hai sempre nutrito una certa varietà progettuale, portando il tuo violino in svariati contesti: a quale altezza la tua formazione classica si è incontrata con le altre musiche o con l’improvvisazione?
Ho iniziato sin da piccolo a praticare l'improvvisazione, fondamentalmente al piano e poi negli anni successivi al violino. Non credo si possa farne a meno onestamente; è la parte più affascinante, più avvincente dell’essere musicista ed è un po’ come uno star gate che ti può portarti in mondi lontani, sconosciuti. Intorno ai 15-16 anni ho iniziato anche a suonare musica popolare arbëreshë. Da lì in poi oltre ai miei studi classici ho cercato di studiare jazz, ascoltare e suonare tradizioni popolari di ogni tipo fino poi a far confluire il tutto nelle mie composizioni.
Come si è verificato questo rendez-vous?
Non credo si possa amare veramente la musica senza esserne tremendamente curiosi. Quando sono nei Paesi arabi e sento il muezzin, per esempio, mi è capitato a volte di trovarne di assolutamente straordinari, capaci di ipnotizzarmi con il loro quarti di tono oppure con configurazioni ritmiche complesse. Ci sarebbe da chiedersi cosa accadrebbe se nel mondo occidentale, ci si fermasse cinque volte al giorno, per ascoltare negli altoparlanti Paolo Fresu, Mina o Sting. Proviamoci.
Sei stato uno dei primi a sperimentare con altre possibilità di espressione artistica, tipo la danza o la pittura, qual è la dimensione che ritieni quella a te maggiormente congeniale?
Amo particolarmente la danza contemporanea e le arti visive mentre forse sono leggermente meno attratto dalla poesia e dalla letteratura (ma poco meno!). Negli ultimi anni, con la mia compagna Keziat, straordinaria artista visiva pugliese, abbiamo dato vita ad una performance multidisciplinare, Music for your Eyes, che ci ha dato tante soddisfazioni e che abbiamo portato ovunque, anche a Johannesburg al The Center for the Less Good Idea di William Kentridge, uno dei più grandi artisti visivi dei nostri tempi. Il 25 settembre saremo al MassMoCA, uno dei musei più importanti degli Stati Uniti. Sono contento poi di aver collaborato con la compagnia di danza sudafricana Darkroom Contemporary per il brano Des/Aria, un’improvvisazione totale venuta fuori proprio durante il concerto per il Melbourne Jazz Festival.
Sai che Charlie Parker era interessato alla musica di Edgard Varese e Igor Stravinsky, compositori a lui contemporanei? Che ne pensi?
Difficile trovare un grande musicista del passato che non amasse tutto della musica, senza steccati. Per questo trovo assurdo che in questa fase delle nostre vite i grandi del passato siano a volte celebrati con assoluta intransigenza stilistica. Se Mozart tornasse ora sulla terra non suonerebbe Mozart ma farebbe ciò che ha fatto durante il suo tempo, creare musiche guardando avanti, non indietro.
Viste le numerose tournée che hai condotto, qual è la percezione della musica italiana all'estero e quale ritieni sia stata la maggiore soddisfazione della tua carriera? Al di fuori delle tue situazioni abituali, con chi ti piacerebbe collaborare?
Io credo che la musica italiana o una concezione italiana e mediterranea della musica siano più rispettate all’estero che in Italia, dove spesso sono fuori dai cartelloni nostrani. Nel jazz italiano poi chi attinge alla propria tradizione è spesso visto con sospetto eppure in Brasile, in Danimarca o in Israele non fanno altro o quasi. Per quanto riguarda me, avendo suonato in 70 Paesi al mondo ho veramente tanti ricordi, difficile scegliere! A parte i festival bellissimi come il Montreal Jazz Festival o il DC Jazz Festival a Washington, ricordo con immenso piacere il tour in Centro America da Panama a Città del Messico, con stop in Nicaragua e Costa Rica, terra fantastica; un giro pazzesco. A settembre sarò nuovamente in tour negli Stati Uniti con più di 15 concerti e non vedo l’ora, suonerò per la prima volta in Alaska. Se dovessi esprimere un sogno, allora mi piacerebbe suonare con Pat Metheny, ma alzi la mano a chi non piacerebbe.
Invece cos'è che proprio non funziona dalle nostre parti per la promozione della cultura in generale e della musica in particolare? Quale modello dovremmo seguire?
Negli ultimi anni, nonostante tutto, la situazione credo sia migliorata. Ho trovato positivo che nascessero associazioni di categoria per proteggerci. Ecco forse però è arrivato anche il momento di assicurare, nei cartelloni, un tot di concerti con artisti italiani. È una forma di protezionismo inevitabile sfortunatamente, esiste già in Norvegia, Francia, Spagna, Australia.
Sei anche un didatta: secondo te chi ha questo ruolo, cosa dovrebbe assolutamente comunicare ai propri allievi? Come potrebbe farli crescere dal punto di vista artistico?
L’amore per la musica e la costante ricerca della propria creatività. "La verità è dentro di te ma è sbagliata”, disse il grande Corrado Guzzanti in tempi non sospetti. Pazienza, aggiungerei, ma almeno è la mia, e poi nel jazz le note sbagliate non esistono!
Cosa ti aspetta da qui alla fine dell’anno? Chi è un musicista contemporaneo da tenere d’occhio?
Tanti concerti estivi, con il mio progetto solOrkestra e con varie formazioni, al fianco di musicisti straordinari come Peppe Voltarelli, Antonio Forcione, Mike del Ferro e Max de Aloe, un tour meraviglioso negli Stati Uniti a settembre e poi Barcellona e tanto altro. È appena uscito un nuovo singolo, una mia versione di Lascia Ch’io Pianga di Händel e spero presto anche un nuovo disco. Tra quelli attuali trovo assolutamente travolgenti Jacob Collier, Giovanni Sollima e il sottoscritto che però in quanto ad umiltà evidentemente deve ancora imparare qualcosa!