Alla fine del'800 si fece conoscere nel mondo dell'arte parigina una pittrice, Suzanne Valadon, che nonostante fosse povera e autodidatta, riuscì a raggiungere i riconoscimenti che molte artiste fino a quel momento non avevano ottenuto: per trarre questo risultato dovette sfruttare la propria bellezza e l'intraprendenza che poche altre artiste ebbero a quei tempi.
Essere cresciuta nella famosa “Butte” di Montmartre, un quartiere semi-rurale di Parigi, dove si rifugiavano gli artisti più squattrinati, le permise di conoscerne le abitudini e soprattutto di imparare da loro l'arte del disegno e della pittura. Ma per far ciò dovette diventare, giovanissima, la loro amante, entrando nel giro delle modelle a soli 15 anni, sfruttando la propria bellezza, la sfrontatezza e la voglia di vivere. Il dono della capacità di disegnare non si impara, Suzanne fin da bambina amava disegnare: quindi era attratta dal lavoro dei pittori, anche perchè a lei, donna, era inibito l'accesso alle Accademie, inoltre, la povertà la costringeva a lavorare duramente per sopravvivere, dal momento che la madre era un'abituale bevitrice, domestica in case borghesi, che faticava non poco a tirare avanti. Suzanne divenne l'amante di parecchi artisti, alcuni più noti, come Pierre Puvis de Chavanne, Pierre-Auguste Renoir, Henri Toulouse-Lautrec, Federico Zandomenghi, altri meno noti: a quei tempi le modelle dovevano essere disponibili sessualmente per l'artista per i quali posavano nude, la retribuzione delle modelle senza abiti era tre volte superiore. Suzanne fu una generosa elargitrice di sé a tal punto che all'età di 18 anni fu resa madre da un artista catalano, Miquel Utrillo, che riconobbe come suo il piccolo Maurice, parecchi anni dopo. Maurice Valadon divenne Maurice Utrillo e divenne più famoso della madre come pittore di paesaggi. Ma non è affatto sicuro che sia stato figlio di questo pittore, Suzanne si intratteneva anche con altri.
Era nata come Clémentine Marie Valadon, figlia di Madeleine Valadon, una vedova che era stata moglie di un maniscalco, in seguito arrestato e deceduto durante i lavori forzati. La donna viveva in una piccola città vicino a Limoges: incinta di un uomo rimasto sconosciuto, già madre di altre due figlie, si rifugiò a Parigi lasciando ai parenti le due figlie maggiori, per evitare lo scandalo della sua gravidanza.
Solo nella Butte, luogo disagiato e a poco prezzo, trovò un'abitazione per sé e per la piccola che nacque, trovando lavoro come domestica, affidando alla portinaia la piccola Marie-Clémentine, il suo vero nome. La piccola si faceva già notare per la vivacità, per cui Madeleine fu costretta ad affidarla alla figlia maggiore a Nantes. Ma dopo poco anche la sorella non la volle più con sé, Marie tornò a Parigi, fu iscritta in un istituto di suore, ove apprese, senza troppo successo, a leggere e scrivere: lei detestava la scuola e le regole che le venivano imposte, per cui la frequentò poco e iniziò a lavorare, poco più che bambina, prima come staffiere in una scuderia, quindi venditrice in un mercato all'aperto, in seguito come commessa sottopagata.
La ragazza detestava questi miserevoli lavori che era costretta ad accettare ed era sempre alla ricerca di qualcosa di meglio: colse con gioia l'opportunità di entrare nel circo itinerante Mollier, dove si adattò ad esercizi diversi cimentandosi anche come cavallerizza e acrobata. L'estrema giovinezza, la poca esperienza e la temerarietà, le procurarono una caduta dal trapezio, che le impedì di continuare quelle prestazioni, che tanto l'avevano entusiasmata. Infatti, l'attività frenetica del circo soddisfaceva il suo innato bisogno di attivismo. Fu così costretta a tornare nella Butte dalla madre, ormai aveva quindici anni e il suo corpo, nonostante la piccola statura, si stava sviluppando velocemente e armoniosamente, la sua bellezza era notevole ed aveva incantevoli occhi blu. Conosceva i pittori che risiedevano nella Butte e, spregiudicata com'era, accettò di posare nuda per loro, accettandone anche i favori. Fu una lunga carriera da modella se a 28 anni posava ancora.
La ragazza decise in seguito, su suggerimento di Toulouse-Lautrec, che aveva collegato la facilità con cui lei si intratteneva con anziani artisti, e il celebre soggetto Susanna e i vecchioni, di chiamarsi Suzanne, adottando questo nuovo nome.
Fin da bambina amava disegnare, quindi osservò con grande interesse gli artisti all'opera, si fece donare i materiali necessari, chiese consigli, iniziò ad esercitarsi con costanza nel disegno, approfittando dell'ambiente artistico e delle opportunità che le offriva. Fu fin da subito una perfezionista nel suo lavoro.
La sua bellezza giovane e prorompente la fece apprezzare anche da artisti più conosciuti per cui andò migliorando le condizioni di vita con i doni e le elargizioni che riceveva dai ricchi amanti, tra cui il musicista Eric Satie. Gli artisti la chiamavano “la tremenda Maria” per la sua esuberanza.
Quando nacque il piccolo Maurice lo affidò alla madre, che continuava a lavorare come domestica, ma il piccolo era soggetto a terribili attacchi epilettici che la nonna curava col vino. I suoi compagni perciò lo chiamavano “Litrillo”.
Il ragazzo era intemperante e ribelle, la nonna lo chiudeva sconsideratamente in cantina con una serie di cartoline che doveva copiare, somministrandogli vino per tenerlo tranquillo, avviandolo fin dall'infanzia alla dipendenza.
Le incertezze economiche terminarono quando, Suzanne, nel 1896, sposò il ricco agente di cambio Paul Moussis. Per parecchi anni, fino al 1909, condusse una vita piacevole, teneva il figlio e la madre presso di sé, il marito le aveva procurato uno studio in cui poteva esercitarsi nella pittura. Gli amici artisti apprezzavano i suoi lavori e ben presto Edgar Degas si interessò a lei acquistando i suoi primi disegni, i due divennero amici anche se il pittore non le chiese mai di posare per lui: fu l'unico vero amico che ebbe.
Suzanne, riuscì ad esporre cinque disegni di bambini al Salon della Société Nationale des Beaux Arts, prima artista autodidatta che ottenne questo privilegio, il Salon accettava anche artisti autodidatti.
Il figlio frequentava la scuola con scarso interesse e mostrava sempre più i segni dell'alcolismo, in seguito al quale ebbe disturbi psichici tali da dover essere internato in manicomio per le continue intemperanze, che creavano a lei dissidi col marito, che invano aveva cercato per il giovane un lavoro in banca: Maurice era poco affidabile.
Suzanne riuscì a vendere i suoi lavori al celebre gallerista Ambroise Vollard nel 1909, in un tempo in cui le altre artiste non riuscivano ad affermarsi; tuttavia, era sempre più scontenta e quando conobbe, casualmente, perchè aveva riportato a casa Maurice in preda all'alcol, André Utter, un giovane amico del figlio, che iniziava a farsi conoscere come pittore di paesaggi, ebbe l'occasione di cambiare vita.
Se ne innamorò, ricambiata, nonostante la differenza di età e approfittò di questa amicizia per fuggire dal marito e tornare col figlio e con l'amante a Montmartre, ove prese in affitto un piccolo locale e uno studio per poter dipingere. A quel tempo aveva 44 anni e Utter 23. Questo fatto fu molto disapprovato e fu uno dei motivi per cui non raggiungeva successo di pubblico.
Utter, per un certo periodo ebbe un'influenza benefica su di lei, la incoraggiò a dipingere altri soggetti, oltre ai bambini.
Purtroppo i litigi, tra lei, il figlio e Utter erano assi frequenti, soprattutto a causa dell'alcol che tutti e tre consumavano, facendosi conoscere in ogni locale che frequentavano come “i tre abbandonati”, come venivano chiamati. Maurice era quello che accusava maggiori conseguenze, spesso doveva ancora essere ricoverato per le crisi di aggressività, nonostante fosse il più conosciuto dei tre come pittore, con crescenti successi, anche di vendite.
Suzanne continuò a dipingere con trasporto, cercando luoghi ameni per dipingere en plein air con Maurice e Utter, insieme ai quali viaggiava molto. Visitarono la Bretagna, la Corsica e molti altri luoghi adatti ad essere dipinti attorno a Parigi.
Suzanne intanto esponeva nuovamente al Salon e a Monaco ed era finalmente considerata un'artista professionista che esponeva nella Galleria di Berthe Weil, molto conosciuta.
Nel 1914 Utter venne arruolato quando scoppiò la Prima guerra mondiale, mentre Utrillo veniva riformato a causa dell'alcolismo.
Utter, prima di partire decise di sposare Suzanne: nel 1917 fu ferito e Suzanne lo raggiunse all'ospedale in cui era ricoverato, curandolo amorevolmente. Alla fine della guerra il pittore tornò a casa e i tre ripresero la loro strana vita: Utrillo era sempre più famoso e guadagnava bene, anche per l'abile direzione di Utter, che considerava Suzanne e Maurice “due tremendi bambini, privi di qualsiasi senso pratico”. Infatti, l'alcol che assumevano, faceva sì che spesso, nei locali pubblici, perdessero il controllo, causando problemi a tutti. La Valadon in particolare aveva un rapporto irresponsabile nei confronti del denaro, spendeva senza preoccuparsi se c'erano i fondi, mentre il figlio viveva in funzione della prossima bevuta, spesso doveva essere disintossicato.
Utter cercava di controllare la situazione, ormai Suzanne era diventata una donna anziana, mentre lui era nel fiore dell'età, per cui aveva relazioni con giovani donne: la pittrice era terribilmente gelosa, scoppiavano liti furibonde, poiché lui non faceva nulla per nasconderle.
Il lavoro di Suzanne ad ogni modo non subiva alcun contraccolpo da questa sua vita sregolata, da artista pignola com'era, impiegava anche un anno a terminare un'opera, mentre suo figlio diventava sempre più famoso: Utter soffriva di invidia nei suoi confronti, poiché si riteneva un buon pittore, ma non riusciva ad affermarsi.
I tre “disperati”, continuavano a viaggiare, erano seguiti dalla stampa che spesso riportava le loro gesta.
Nel 1922 acquistarono, con le rendite delle opere di Maurice, il castello di Saint Bernard e da quel momento divisero il loro tempo tra le visite al castello e la vita di Montmartre.
Intanto anche la fama di Suzanne Valadon aumentava e cominciava a farsi conoscere e vendere i suoi lavori: tuttavia i rapporti tra i due coniugi peggioravano sempre più, Utrillo spariva spesso e veniva ritrovato in squallidi locali in stato di ebbrezza: madre e figlio, nonostante i successi artistici e i riconoscimenti internazionali, intrattenevano un tenore di vita disordinato e al di sopra delle proprie possibilità. Suzanne andava sempre di meno a trovare Utter al castello.
Nel 1929 espose un centinaio di opere presso la Galleria di Berthe Weil, in un'importante personale, ma era sempre più amareggiata per la separazione dal marito e preoccupata per la sorte del figlio.
Esponeva anche in diverse gallerie parigine, a Praga, a Bruxelles, a Ginevra. Queste mostre ottenevano ottime recensioni, si facevano però sentire gli effetti di una vita tanto disordinata, fu colpita dal diabete.
Utter non se la cavava meglio e le chiedeva continuamente di aiutarlo finanziariamente, non potendo più attingere ai proventi di Maurice: tutta la vita continuò a scriverle scongiurandola di aiutarlo.
Suzanne era ancora piena di vita, nonostante gli acciacchi, a 69 anni si infatuò del giovane artista Gazi, che l'aiutò ad occuparsi dei suoi beni, essendo lei incapace di gestirsi.
Maurice dal canto suo inaspettatamente, dopo una vita di eccessi, incontrò la ricca vedova Lucie Valore, più anziana di lui, che gli diede la serenità di cui aveva bisogno e lo aiutò a disintossicarsi. Maurice decise di abbandonare la madre, da cui non si era mai separato, ebbe una tremenda lite con lei, in seguito alla quale andò a vivere con la vedova che sposò. Aveva 52 anni, ed era ormai un artista famoso, benché molto malato.
Suzanne, sollevata dalla riabilitazione del figlio, fu molto addolorata per la perdita della sua vicinanza e, sempre più malata, con problemi alla vista, visse gli ultimi anni in solitudine, dipingendo quadri di fiori che poi regalava agli amici.
Nei suoi primi lavori la Valadon disegnò cani, gatti e animali e poi suo figlio, i bambini che conosceva e le persone che vivevano accanto a lei: erano esseri che mostravano le difficoltà della loro vita, goffi, soli, rassegnati nella loro solitudine. Il suo era un desolato, crudo realismo che metteva a nudo non solo il corpo delle persone, ma anche la loro anima. Riflettevano la condizione di indigenza e di precarietà in cui era vissuta e in cui viveva anche lei. Al riguardo, in seguito ebbe a dire: “Non bisognerebbe mai mettere la sofferenza nei disegni, ma tuttavia non si crea nulla senza dolore. L'arte è qui per rendere eterna questa vita che noi odiamo”.
I bambini ed i giovani non erano mai stati rappresentati così, le sue opere non trovavano riscontri nell'arte francese, le sue immagini turbavano perchè era chiaro il disadattamento e la richiesta d'aiuto che i personaggi suggerivano.
Il vivere a Montmartre, nella Butte a contatto con tanti artisti, offrì a Suzanne l'opportunità di diventare col tempo una di loro: a quei tempi vi vivevano circa 2.500 artisti!
Anche se non aveva ricevuto insegnamenti sugli elementi fondamentali della pittura, seppe apprendere il mestiere, forte anche del fatto che alla pittura e al disegno non si richiedevano più né la precisione, né le regole accademiche, anzi, si evitavano.
L'incontro con Degas, che acquistò e ammirò i suoi disegni, la incoraggiarono a continuare. Degas la influenzò anche nella scelta dei soggetti, nella tecnica, nello stile e nelle composizioni. Degas definiva con precisione i contorni dei suoi soggetti e Suzanne non lo scordò mai.
Mancando di una preparazione accademica, l'artista cominciò a dipingere in modo molto personale, istintivo, prima di qualsiasi altra artista nella sua epoca. Costruì il realismo psicologico attraverso le sue attente osservazioni dei soggetti che non mise mai in posa, preferendo osservarli nella naturalezza dei loro movimenti.
La pittrice si rifiutava di seguire le tendenze artistiche del suo tempo. Le sue linee erano decise, i colori audaci.
Raggiunse una maturità pittorica nell'espressionismo, sviluppando una semplicità che caratterizzò tutta la sua opera, usò i colori puri, imprigionando la forma in pesanti e scuri contorni, favorendo le linee, le strutture ed i colori, sempre utilizzati a strati. Assorbì, forse senza volerlo, i più disparati stimoli artistici, dei Fauves come di Matisse, di Toulouse-Lautrec, di Cezanne e soprattutto di Degas.
Dipinse diversi autoritratti, registrando con fermezza e senza concessioni il trascorrere degli anni. Riflettevano, nelle opere giovanili, il vuoto psicologico e la solitudine dei suoi primi anni.
Progredendo nella ricerca artistica e migliorando le condizioni di vita, si dedicò, spinta da Utter al nudo femminile, spogliando le modelle della bellezza classica a favore del realismo naturale.
Dipinse anche soggetti maschili, mostrando audacemente modelli nudi e introducendo un'iconografia proibita a quel tempo alle donne artiste, sulla base della ipocrita scusa delle caratteristiche sessuali.
Dipinse entrambi i soggetti, maschili o femminili, senza partecipazione erotica e con immagini di sfida alle restrizioni artistiche, alle convenzioni sociali e all'asservimento femminile dell'epoca.
Dopo il 1910, su sollecitazione di Utter, dipinse la natura che amava tanto, en plein air, catturando ciò che vedeva, evitando i grandi paesaggi a favore di scorci limitati. I suoi paesaggi non includevano solo alberi, cielo e acqua, ma anche città e abitazioni. Con entusiasmo e vero fervore ricreava sulla tela i luoghi che amava di più, tra cui l'amata Montmartre.
Si cimentò con successo anche con le nature morte, lasciandoci alcuni magnifici esempi del genere.
Era incantata dalla tavolozza degli impressionisti e volle mantenere la sua gamma di colori il più semplice possibile.
Infine, si dedicò ai fiori, scelti in base alle forme ed ai colori: ne dipinse centinaia. Nelle nature morte abbandonò le presentazioni rigorose e convenzionali tradizionali, cercando disperatamente la bellezza unitaria di forma e colore. I fiori raggiunsero la maggior delicatezza rispetto ad altri soggetti.
Era stata una grande osservatrice, dotata di insaziabile curiosità per qualsiasi cosa la circondasse e questo è evidente nelle sue opere.
Raggiunta la maturità artistica rifiutò i mezzi decorativi e i dettagli poco importanti dei primi lavori per catturare l'essenza dei soggetti.
Il suo motto era “dare, amare, dipingere”: fu una donna libera perchè priva dell'educazione rigida che veniva imposta alle fanciulle a quei tempi. Conobbe la solitudine, la povertà, l'indigenza, il vizio.
Comprese molto presto, ancora bambina, che doveva lavorare per sopravvivere e volle con accanimento migliorare le proprie condizioni di vita, si buttò a capofitto nelle passioni, non ebbe mai timore di essere giudicata nelle tante relazioni amorose. Scoprì ben presto la sua passione per l'arte, che crebbe e praticò cercando di acquisire sempre migliori risultati, conscia di non avere avuto una vera educazione artistica.
Non aveva ricevuto la dolcezza e la tenerezza e non seppe donarle al figlio, né educarlo, nonostante lo amasse per quello che era, permettendogli tuttavia di diventare un grande artista.
Suzanne, vittima della sua istintualità, non seppe gestire neppure i momenti di benessere: la sua vita era stata vissuta con leggerezza e incoscienza: fu rigorosa soltanto nei confronti dell'arte in cui aveva realizzato maggiormente i suoi sogni e ottenuto riconoscimenti e a cui aveva dedicato buona parte del suo tempo.
Nel 1928 ottenne dallo Stato francese il titolo di cavaliere della Legione d'onore. Ma ormai il suo tempo volgeva al termine.
Quando morì, nel 1938 a causa di un colpo apoplettico, che in poco tempo la portò alla morte, aveva 73 anni: al suo funerale partecipò tutta Montmartre e tutti i grandi artisti parigini, tra cui Picasso, Max Jacob, Derain, Francis Carco, André Salmon. Edouard Herriot lesse il necrologio con molte lodi per lei. Fu sepolta accanto alla madre nel cimitero di Saint Ouen.
È stata un esempio importante per l'affermarsi delle donne artiste: dopo di lei è stato più facile per loro dedicarsi all'arte ed esserne apprezzate.
Di sé disse:
Ho avuto grandi maestri, da cui ho preso il meglio: i loro insegnamenti e i loro esempi. Ho trovato me stessa, anzi ho creato me stessa e ho detto ciò che avevo da dire.