Il nuovo avvincente album del poliedrico compositore. Jackson Pollock, Paul Klee e Lucio Battisti in un crossover concettuale dalla pittura al Modern-Classical. Special guest Luca Aquino.
A quattro anni di distanza da Mother Moonlight torni con Ritmico non ritmico. Cosa si cela in questo titolo di contrasti?
Ritmico non ritmico è procedere senza categorie. Il mondo e il suo rovescio. Lo specchio in cui si riflette l'assenza. Il non identico necessario che completa la formula dell'essere.
Il titolo nasce da una parafrasi di Ritmicamente, uno dei quadri di Paul Klee in cui è rappresentata una scacchiera disegnata a mano. Parliamo di geometrie, quindi. Ritmico come disposizione architettonica degli elementi che realizzano una forma; non ritmico di dimensioni musicali che nascono da elementi fluttuanti, continuum sonori che si espandono liberamente: liquidi, gas, nuvole e poi su fino allo spirito e all'ascesi (mi viene in mente quella stanza senza pareti del Nirvana di Bill Evans).
Ritmico come pulsazione costante, dei suoni ribattuti sui tasti di un pianoforte o ripetuti tra soffio e lingua nel tubo di un flicorno; e anche di una non ritmica sospensione: il beat assente, il passo che non trova appoggio, la sensazione del vuoto. Stop. L'elenco è infinito, ognuno ha il suo andare oscillante: l'artista che mi interessa è un funambolo il cui passo successivo non ha riuscita certa.
In Mother Moonlight lo spunto iniziale era musicale: Ravel e un giardino d'infanzia. Ora l'elemento scatenante è pittorico, o artistico in senso lato?
La musica ha una sua sintassi, perciò, anche se è applicata ad un'infinità di contesti come il cinema, significa solo se stessa e infatti non ha bisogno che nessuno la spieghi, a volerla spiegare si può parlare solo di come è fatta.
L'osservazione di altre forme estetiche ci permette di trasporre strutture in un senso molto lato ma una melodia rimane tale e non ha un corrispettivo in nulla tranne che, forse, nel canto di alcuni uccelli. Così come un accordo di do maggiore preso sul pianoforte. Pur accogliendo la musica del Novecento tutte le forme del suono possibili, da quelle acustiche come il rumore a quelle prodotte con dispositivi elettrici ed elettronici, essa rimane suono organizzato, con le sue relazioni tra alto e basso, forte e piano, densità, timbri ecc. In Ritmico non Ritmico ho pensato per analogia: siccome, ad esempio, i primi tre brani, Number 1, 3 e 5, esplorano, partendo da pattern percussivi di matrice africana, le possibilità di costruire musica usando le risorse del ribattuto, mi sono venuti in mente gli esperimenti di Pollock dei Number in cui il pittore, colando direttamente il colore su una tela disposta per terra, sgocciola misture cromatiche formando punti e intrecci di linee usando il dripping come uno sciamano intento a gestire e controllare il caos derivante dal caso.
Nei miei Number o in Trame (track #6) ho proceduto proprio così, dati alcuni elementi di partenza come, ad esempio, un materiale sonoro piuttosto limitato, una formula ritmica, e ho cercato di tenere sotto controllo il processo improvvisativo derivato dalla variazione continua dei pochi elementi dandogli una forma musicale comprensibile.
È facile e immediato pensare alla musica ispirata dall'arte. Altro è, invece, operare come tu hai fatto, ossia immaginare un dialogo tra tecniche e modi compositivi. Come hai proceduto nella trasposizione?
Questa del trasporre non è per nulla una novità: Morton Feldman, Paul Klee, Debussy, le cui battute del Prelude coincidono coi versi dell'omonimo poema di Mallarmé, hanno appoggiato il pensiero artistico in divenire a qualche forma preesistente sapendo che l'uomo pensa per contrasti, per gruppi, per differenze e similitudini, concetti che si trovano dappertutto. Il difficile per un musicista è creare qualcosa che non esisteva prima o che esisteva almeno solo in parte.
Per quanto mi riguarda la cosa più interessante è riuscire a trovare una voce personale. In questa visione dell'arte tutto può essere utile a fornire una interpretazione nuova delle cose. John Lennon a un certo punto, ispirato dalla poetica psichedelica e surreale di molti suoi testi e del contesto in cui si muoveva, chiedeva sempre a George Martin che la sua voce fosse trattata, deformata come la realtà vista attraverso il fondo di una bottiglia, o una cipolla di vetro.
Musica in formazione e in movimento, la tua. Non c'è però soltanto una grammatica dello spazio, ma anche una consapevolezza del tempo. Tempo e ritmo solo interiori?
Vorrei dire di no, sì, forse, ma se penso alle ore impiegate per decidere quale fosse il giusto tempo per ogni esperienza sonora direi che qualsiasi cosa abbiamo eseguito è stata realizzata attraverso un solo respiro collettivo, quello infine scelto e non un altro. Magari domani espanderemo, contrarremo ma il tempo con cui sono realizzati i nove brani del disco sono quelli giusti oggi. Ovvero completamente soggettivi e irriproducibili domani (d'altronde che senso avrebbe una copia?). Il tempo, inteso come passo, andamento, dà il senso all'esperienza.
Ancora una volta hai contato su musicisti affidabili. Che tipo di relazione si innesta con questi colleghi?
Enzo Oliva al piano Steinway e al Fender Rhodes (in Trame #6), Pasquale Capobianco alla chitarra elettrica, Eleonora Amato al violino, Silvano Fusco al cello, Luca Martingano al corno, Giulio Costanzo alla marimba: musicisti dal suono originale, dal tocco personale, che riescono a sublimare una partitura ricavandone un mondo che è puro suono.
In particolare, con Enzo e Pasquale, due musicisti straordinari, portiamo i lavori in giro da diversi anni e nella realizzazione di Ritmico, o anche nei precedenti lavori, rappresentano una parte importante di quel collettivo che ascolta, osserva, suggerisce direzioni e distrugge convinzioni. Insomma, è il benefico preludio al caos interpretativo che ogni lavoro incontra quando supera le mura di casa.
Spicca il nome di Luca Aquino, che hai coinvolto come ospite in due brani. Che tipo di contributo ha offerto il popolare trombettista?
Da quando ho ascoltato Luca, che è anche mio conterraneo, sanniti entrambi, mi ha sempre affascinato quel suo suono intenso, morbido, dalla gamma espressiva ampia e anche uno stile nelle improvvisazioni assolutamente personale. Spesso mi capita di abbinare un brano, un'idea, a un musicista, al suono del suo strumento. Quando ho deciso di inserire il tema che poi è diventato A Lucio B. non riuscivo a sottrarmi al fascino che una tromba o un flicorno potevano aggiungere al brano. E naturalmente se pensavo a questo timbro, a questo colore, mi veniva in mente Luca. Una volta fornitogli il tema, l'input del materiale sonoro, è partito volando vertiginosamente e atterrando poi lievemente con un assolo degno del volo di Icaro.
Una battuta su A Lucio B. Una dedica a Battisti, quasi un complemento al tuo amore per i Beatles (mosso sempre da conoscenza della materia musicale e non da fanatismo). Quale elemento della scrittura battistiana ti ha ispirato?
Lucio Battisti è stato un artista straordinario, fa così parte del nostro immaginario che ho pensato di far emergere il motivo del pianoforte da un field recording catturato in una metropolitana, luogo sonoro che rappresenta in questo caso la metafora dell'inconscio collettivo: il parlato della gente, i soffietti delle porte che si aprono, il ritmo delle rotaie, le variazioni di velocità che sono variazioni di altezza del suono, ecc. Anche qui, come per i Number, il titolo viene cogliendo delle analogie: questa volta tra il motivo improvvisato allora, quando ancora ero un ragazzo, e un tema di Battisti che amo. Ho notato nei due brani delle similitudini nella costruzione delle frasi e nell'uso di certe armonie e ho pensato che ognuno ha i suoi maestri, impliciti ed espliciti, ed è bene non dimenticarlo.