Susanna Fioretti è paragonabile a una Pandora dell’era moderna, una donna straordinaria che ha avuto la forza di sperimentare il bene e il male dell’essere umano e della nostra realtà, ancorata al bene della speranza. Non una speranza passiva, ma un’acquisizione di conoscenze messe a servizio del bene collettivo e dell’evoluzione.
Susanna negli ultimi 20 anni ha lavorato con il Ministero degli Affari Esteri, la Croce Rossa Italiana e la Croce Rossa Internazionale in Paesi difficili afflitti dalle piaghe peggiori. Ha affrontato battaglie apparentemente impossibili da vincere, dalla malnutrizione infantile in Mauritania alla lotta per l’autodeterminazione delle donne in Afghanistan, passando attraverso infinite realtà ferite fra India, Yemen, Mozambico, Grecia e naturalmente Italia.
Il rischio è di venire sopraffatti dall’urgenza o meglio dall’emergenza. “Nella mia esperienza ho capito che la possibilità di autodeterminazione di un popolo risiede nell’accesso all’educazione e alla formazione. Nel 2012 ho fondato Nove Onlus, per portare avanti progetti di sviluppo ancorati alla cultura locale, studiati per affondare le radici nel territorio e dare progressivamente vita al cambiamento”, dice Susanna.
I soci di Nove Onlus condividono un intento e una propensione interiore comune, “caring humans”, quell’avere a cuore l’essere umano in tutti i suoi aspetti e il suo futuro. Hanno tutti dedicato la loro vita “dalla parte degli altri” lavorando nella cooperazione internazionale. Una sorta di sistema immunitario che non smette mai di lavorare per il bene dell’ecosistema umano, con discrezione, competenza e costanza. Fra i soci anche Alberto Cairo, che lavora da oltre trent’anni in Afghanistan con ICRC.
“Sono andata a Kabul la prima volta nel 2002 - racconta Fioretti - quando i talebani avevano da poco perso il potere, il prezzo pagato dalle donne è una delle piaghe più profonde inflitte al mondo femminile. Le realtà più vulnerabili sono al centro del nostro operato, le attività di sostegno alle donne hanno acquisito una forte priorità in questi dieci anni. A Kabul abbiamo creato WiBh, un hub al femminile che ha permesso l’accesso all’educazione, la formazione e l’avvio al lavoro a migliaia di donne. Abbiamo lavorato al problema della mobilità con i corsi gratuiti di patente di guida e con il Pink Shuttle, il primo servizio di trasporto con autiste per il trasporto delle donne destinato a diventare un’impresa femminile autonoma.”
Cosa ha significato il ritorno talebano al potere?
Una catastrofe umanitaria senza precedenti. Sta per avverarsi la previsione delle agenzie internazionali: il 97% della popolazione afgana sotto la soglia di povertà. Dopo aver collaborato con il Governo italiano all’evacuazione di agosto 2021 per portare in salvo i collaboratori in pericolo di vita, abbiamo attivato il Programma di Emergenza LifeLine per fornire i beni essenziali, cibo, assistenza sanitaria, sostegno alle famiglie e ai bambini degli orfanotrofi. Ma le esigenze sono in continuo aumento.
Con ritorno del regime talebano le donne si ritrovano spogliate della propria identità rivestita di un pesante velo che le oscura e le nega.
Alle donne afghane restano solo gli occhi come spiraglio sul mondo. Nessuna attività a contatto con il pubblico, corpo e viso tumulati in un’hijab, interdizione alla scuola secondaria e divieto di circolare se non accompagnate da un mahram, un tutore maschio. Resta da capire come i milioni di donne rimaste vedove e prive di familiari maschi adulti, possano accedere all’assistenza sanitaria e agli approvvigionamenti, sfuggire a situazioni di violenza domestica, cercare lavoro, sopravvivere.
Dall’agosto del 2021 quando il regime talebano ha fatto nuovamente il suo ingresso in Afghanistan, la vita delle donne è precipitata nel passato, dopo anni in cui si erano fatti degli importanti progressi. Ma l’attività di Nove Onlus e la determinazione di Fioretti non si arrendono.
Un altro grande problema legato alla crisi è la pratica dei matrimoni precoci in preoccupante aumento, ed espone anche bambine molto piccole al rischio di essere vendute in cambio di soldi per poter sfamare il resto della famiglia – aggiunge la presidente di Nove – per questo abbiamo ampliato anche il progetto Dignity, che garantisce supporto diretto a bambini e famiglie in stato di grave necessità. Avendo fondi limitati siamo costretti a scegliere chi aiutare.
L’inserimento dei beneficiari è una scelta molto difficile, questa una delle tante testimonianze raccolte da Susanna a Kabul.
F., ha ventisette anni, il marito è morto in un’esplosione due anni prima, hanno cercato il corpo senza trovarne nemmeno un pezzo e da allora è rimasta sola con tre figli piccoli. Ha chiesto invano aiuto ai vicini, al capo distretto. Dovrebbe risposarsi per mettere al sicuro sé stessa e i figli. F. ha rifiutato la proposta di matrimonio di un parente del marito. Le fa orrore il pensiero di sposarlo, ha quasi settant’anni e non è una brava persona. Lui è tornato con due uomini armati a minacciarla: se non lo sposa le porterà via il figlio minore. “Volevo venderlo io mio figlio, per avere un po’ di soldi e scappare con gli altri due. Ma il mio cuore non me lo fa fare. L’unica soluzione è morire. Vedi quel legno sul soffitto? Mi impicco lì”, mi ha detto quando l’ho incontrata. Nove Onlus è una delle poche Ong italiane che continua ad avere una presenza sul territorio. Non ha mai smesso di operare al fine di fronteggiare la crisi umanitaria e contribuire la lotta per i diritti umani in particolare quelli femminili. E la presidente Fioretti è sempre in prima linea.