È comparso ultimamente un simpatico oggetto qua e là nelle case un po’ di tutti, complice il maggior tempo libero dovuto ai lockdown che ha spinto molte persone a ritrovarsi bricolage-dipendenti.
Questo misterioso e onnipresente utensile è il “soffiatore da giardino”. Attrezzo indispensabile per giardinieri professionisti e addetti alla pulizia delle nostre città, serve ad ammassare foglie e detriti di vario genere lasciati a terra, sospingendoli verso un contenitore che poi li raccoglierà per gettarli.
Marchingegno un tempo ad uso solo delle esperte mani di giardinieri ora risiede nei box e nei garage di moltissimi italiani che lo usano in modi assai creativi.
A metà tra un grande phon per capelli e un fucile giocattolo, si imbraccia tenendolo appeso alle spalle con una cinghia e ci si sente subito un moderno Indiana Jones alla ricerca della foglia perduta.
Il soffiatore: acerrimo nemico di qualunque pezzetto di carta, legnetto, fogliolina secca, erbaccia, che individua e soffia via lontanissimo - spesso giù dal marciapiede, spesso lontano dal proprio ingresso, dal proprio cancello, dal “proprio” insomma - verso la strada, verso l’ingresso di qualcun’altro o se è possibile ancora i più lontano, così che prima o poi qualche altro soffiatore se ne occupi o che ci pensi il vento a finire il lavoro.
Il soffiatore (attenzione non l’aspiratore) individua detriti e sporcizia ma non le risucchia, semplicemente le spinge via lontano dalla vista.
Il soffiatore è una filosofia di vita.
E il suo attuale successo mi fa riflettere (e rabbrividire).
Il soffiatore sposta ma non raccoglie.
Il soffiatore muove ma non elimina.
Il soffiatore fa tantissimo rumore (e odore) ma non porta un reale risultato.
Il soffiatore vede il problema ma lo allontana perché ci pensi qualcun altro.
Tutto questo mi ha fatto ricordare la mia nonna, che per raccogliere foglie e cartacce e sporcizia da terra aveva disposizione solo quattro cose: l’olio di gomito, un rastrello, una paletta e mio nonno con la sua carriola sgangherata.
La “Filosofia del Rastrello” è l’esatto contrario della “Filosofia del Soffiatore”.
Con il rastrello (o la scopa di saggina) nonna raccoglieva la sporcizia da terra, la accumulava in ordinati mucchietti sparsi qua e là nel giardino o in strada (quando puliva per tutti), dopodiché quando aveva finito il lavoro - sperando che il vento non avesse scombinato tutto - con olio di gomito e fatica della schiena passava a raccogliere con le sue belle manine tutto ciò che aveva raggranellato.
Usava un altro strumento straordinario, primitivo in verità, ma ancora reperibile in molti supermercati anche al giorno d’oggi: la paletta.
Riempita la paletta, camminava, camminava fino a gettarne il contenuto all’interno di un contenitore strano e altrettanto antiquato, ritrovabile ancora in qualche scantinato, ma sostituibile oggi con un normale catino: era la mitica carriola, attrezzo semovente di latta o ferro su una ruota che poteva contenere davvero molto ciarpame.
Una volta riempita, subentrava mio nonno che sollevava la carriola per le maniglie mettendola così in movimento e camminando, camminando arrivava ad un campo incolto vicino a casa dove lasciava solo ciò che era naturale - come foglie ed erbacce - che avrebbero potuto decomporsi e diventare nutrimento per la terra; il resto lo portava nella famosa e per noi bimbi misteriosa “Discarica Comunale”.
Mi manca la Filosofia del Rastrello.
Mi mancano i valori che ci sono dentro: quel senso di cura, di responsabilità, di educazione civica, di rispetto dell’ambiente e dell’altro, quella connessione con la terra, con l’essenza e non solo con l’apparenza, quell’occuparsi delle proprie cose senza buttarle addosso agli altri, quel fare fatica sano.
Quella cura del proprio sporco, reale o simbolico che sia, che è davvero fare pulizia e non solo spostare la polvere altrove o nasconderla sotto il tappeto o lasciare che se ne occupi qualcun altro.
Mi manca quel mondo. Ma io l’ho vissuto, l’ho respirato, ci sono cresciuta e ce l’ho dentro, come molti di noi. Ed è così che posso ancora portarlo avanti, raccontarlo e insegnarlo ai miei figli perché quel mondo lo tengano in vita.