Nella straordinaria e suggestiva realtà offertaci dall’incontro del Colle Palatino e del Colle Celio a Roma, a non più di trecento metri dal Colosseo da una parte e dal Circo Massimo dall’altra, si ergono, in prossimità della Basilica di San Gregorio Magno, tre antiche chiese, chiamate anche Oratori, di Santa Barbara, Sant’Andrea e Santa Silvia. È questo un magnifico complesso monumentale giunto fino ai nostri giorni grazie alla fattiva volontà di illustri personaggi del passato: Papa Gregorio Magno che qui risiedeva, i cardinali Cesare Baronio e Scipione Borghese.
Gli oratori nel 1602
Il giorno 21 aprile dell’anno 1602 il pontefice Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini) concedeva al cardinale Cesare Baronio la “commenda” dell’Abbazia di San Gregorio al Celio. Il nuovo commendatario, nel recarsi in Visita Canonica all’Abbazia il 15 giugno successivo, si rese ben presto conto del grave stato di abbandono cui versava l’intero complesso architettonico. Questa era la situazione.
Triclinium Pauperum e Tavola Marmorea
A quella data non esisteva ancora l’Oratorio di Santa Barbara, mentre sin dal 1400 l’ambiente veniva denominato Triclinium Pauperum, luogo considerato “sacro” e, come tale, meta di pellegrinaggio per i credenti residenti o di passaggio per l’Urbe.
All’interno vi era, ed è ancora oggi presente, una tavola di marmo bianco sorretta da due sostegni che, databili al III secolo d.C., sono decorati da due grifoni con al centro una palma.
Il marmo, intorno al quale, secondo la tradizione sedevano dodici poveri, giornalmente rifocillati da San Gregorio e da sua madre Santa Silvia, presenta inciso il distico:
BISSENOS HIC GREGORIUS PASCEBAT EGENTES
ANGELUS ET DECIMUS TERTIUS ACCUBUIT
(Qui Gregorio nutriva dodici poveri e un angelo sedette come tredicesimo)
allusivo al miracolo dell’apparizione dell’Angelo come tredicesimo commensale. Lungo tutto il perimetro esterno sono incise dodici croci, una per ogni convitato; una tredicesima è invece posta in corrispondenza del suo centro a ricordo dell’Angelo.
Oratorio di Sant’Andrea e i suoi restauri
Alla destra del Triclinium si trovava l’Oratorio di Sant’Andrea, inizialmente con ingresso rivolto sul Clivus Scauri e un’abside nella parete di fondo, con affreschi alle pareti del X-XI secolo.
Nel 1602 iniziarono i lavori di restauro e rifacimento dell’Oratorio di Sant’Andrea, contemporaneamente a quelli del vicino Triclinium. Il Baronio fece capovolgere l’intero orientamento architettonico della chiesa, perché stava certamente dando inizio ad un piano complesso e innovativo.
Dopo i restauri della chiesa dei Santi Nereo ed Achilleo (1596-1602), di cui era titolare, e di quella di San Cesareo (1600-1603), quanto stava per accadere al Celio, sarebbe certamente stato il più ambizioso dei programmi di restauro finalizzato a riaprire al culto i luoghi sacri che nel tempo erano caduti in un inesorabile oblio. Trascorso poco più di un anno dall’inizio dei lavori di muratura, la nuova pianta architettonica che se ne ottenne, ebbe la forma di una semplice aula rettangolare, priva di qualsiasi articolazione architettonica.
Nel luglio del 1602 venne commissionata al pittore Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio (1552-1626), la pala dell’altare ancora oggi ben visibile sulla parete di fondo della chiesa. Formatosi a Firenze e Siena, il Roncalli giunse a Roma intorno al 1578 gravitando intorno alla cerchia degli artisti che frequentavano l’Oratorio dei Filippini, ove ebbe modo di conoscere e farsi apprezzare dal cardinale Baronio, che dell’Oratorio, oltre ad essere un assiduo frequentatore, era anche assistente culturale ed artistico. Al servizio di molti personaggi e mecenati della nobiltà romana sempre legati all’Oratorio, negli anni a cavallo tra il XVI e il XVII secolo lavorò in San Pietro.
L’altare al Celio venne consacrato il 23 novembre 1603, giorno della ricorrenza di Sant’Andrea Apostolo. Nell’occasione il cardinale fece incidere sulla mensa l’epigrafe:
SACRIS RITIBVS DEO CONSECRATVM IN MEMORIAM S. DEI GENITRICIS VIRGINIS MARIAE SANCTI ANDREAE APOSTOLI ET SANCTI GREGORII PP. AN. DOM. M. DC. III.
Edificazione dell’Oratorio di Santa Silvia
Delle tre fabbriche, l’unica a non avere origini medioevali, fatta interamente edificare dal Baronio in onore di Santa Silvia, madre di San Gregorio, di cui si era persa nel tempo ogni memoria.
Posta la prima pietra della nuova struttura il 15 marzo 1604 dall’Abate P. Desiderio, l’edificio fu realizzato in posizione speculare a quello del Triclinium, del quale tuttavia riprendeva sia la pianta generale che l’impostazione architettonica della facciata.
È opinione diffusa tra gli storici dell’architettura, che la costruzione dell’oratorio ebbe inizio dalla parete absidata di fondo, sulla quale venne addossato un altare con edicola classica realizzata in marmi policromi. La struttura di quest’ultima, formata da due colonne di porfido e da due paraste in alabastro fiorito con basi e capitelli in bronzo, sorreggeva un timpano triangolare.
L’edicola era stata edificata con la finalità di contenere una statua di Santa Silvia, opera che il Baronio commissionò a Nicolas Cordier (1567-1612) già nell’agosto del 1603. Semplicemente abbozzata sul retro la statua fu eseguita in marmo bianco di Carrara, direttamente acquistato dal Cordier.
La santa è raffigurata con tunica a largo panneggio e capo coperto da un velo. Nella mano sinistra sostiene un libro aperto sulle cui pagine è inciso un verso del Salmo 118. Sulla base della statua è incisa l’epigrafe:
S. SILVIAE S. GREGORII MAGNI PP. MATRI /
CAES. BAR. S. R. E. PRESB. CARD. P.
ed ancora:
SILVIA NOBIS ROMANA GORDIANI INTER
SENATORES URBIS CLARISSIMA UXOR
Scipione Borghese Abbate Commendatario dal 1607 al 1633
Portato a conoscenza della morte del cardinale Baronio, Paolo V, eleggeva ad Abate Commendatario di San Gregorio al Celio il cardinale Scipione Borghese.
Ricevuto l’atto di nomina a Commendatario, una volta presa coscienza dello stato dei lavori iniziati dal suo predecessore presso il complesso del Celio, il Borghese diede immediatamente avvio alla loro prosecuzione sotto la direzione di Flaminio Ponzio (1560-1613).
Architetto milanese, precisamente di Viggiù, giunse a Roma nell’ultimo decennio del XVI secolo entrando in contatto con la famiglia Borghese già dal 1596. Nominato da Clemente VIII “Architetto di Sua Santità e di Palazzo”, ottenne conferma del prestigioso ed ambito incarico anche da Paolo V. Inserito in quell’ambito da artisti lombardi che continuarono a mantenere contatti con la madre patria, rielaborò, in seno all’architettura romana, gli elementi propri di quella settentrionale.
Contemporaneamente ai lavori di completamento del porticato, il Borghese ordinava al Ponzio la realizzazione di un portale d’ingresso lungo il Clivo di Scauro da poter essere utilizzato dalla gente per la visita alle Chiese.
Ciclo delle decorazioni pittoriche in Sant’Andrea
Le diverse ipotesi su quella che potrebbe essere l’esatta cronologia dello sviluppo del ciclo pittorico eseguito presso l’oratorio di Sant’Andrea, hanno dato luogo a pareri non sempre concordi che sono andati tuttavia mitigandosi con il ritrovamento di nuovi documenti negli archivi di Casa Borghese.
Sembra quindi che il cardinale Borghese desiderasse affidare l’intero ciclo pittorico ad Annibale Carracci (1560-1609), ma le precarie condizioni di salute cui versava l’artista bolognese, indussero il mecenate ad affidare l’opera a Guido Reni (1575-1642) e Domenico Zampieri detto Domenichino (1581-1641).
Qualunque sia l’ipotesi che più di ogni altra si avvicini alla realtà dei fatti, è dato inconfutabile che entrando in Sant’Andrea, ci si trovi ad ammirare due capolavori che, posizionati sulle pareti laterali della sala, l’una di fronte all’altra, descrivono con grazia e dovizia di particolari, alcune storie della vita del Santo Apostolo.
Con la prima storia, l’Andata al Martirio di Sant’Andrea, il Reni traduce nel linguaggio della pittura il significato profondo della fede verso il Signore. La pittura della parete di fronte, quella di destra guardando l’altare, venne affidata al talento del giovane Domenichino, che realizzò la Flagellazione di Sant’Andrea.
I due grandi affreschi del Reni e del Domenichino, inquadrati entro un gioco decorativo di finte architetture di cui è coperta l’intera superficie muraria dell’oratorio, sono entrambi proposti su due finti arazzi appesi a dei ganci e tenuti da nastri rossi. Tutt’intorno una fine e ricca bordatura in azzurro e oro nella quale si evidenziano gli elementi araldici della famiglia committente.
Ad enfatizzare il sistema simmetrico del ciclo pittorico impostato sulle finte architetture, vengono inserite quattro diverse sculture a monocromo, San Pietro e San Paolo ai lati dell’altare, per mano del Reni, San Gregorio Magno e Santa Silvia, sulla parete opposta, per mano di Giovanni Lanfranco (1582-1647). Quest’ultimo è anche l’autore dello stemma della famiglia Borghese sopra l’iscrizione commemorativa:
SCIPIO. S. CHRYSOGONI PRESB. CARD. BVRGHESIVS
MONASTERII COMMENDATARIVS ORATORIVM
A. S. GREGORIO EXTRVCTVM FVNDAMENTIS
RESTITVTIS SERVAVIT VARIISQ. ORNAMENTIS
ILLVSTRAVIT A. MDCVIII
Ciclo delle decorazioni pittoriche in Santa Silvia
Con la morte del cardinale Baronio vennero meno i presupposti relativi al ciclo delle decorazioni pittoriche cui doveva essere sottoposto l’Oratorio di Santa Silvia. Il progetto cui egli tanto teneva, raffigurare, entro singole nicchie, le figure di tutti i santi appartenuti alla famiglia di San Gregorio Magno, con la venuta di Borghese rimase lettera morta.
Il nuovo commendatario, infatti, si limitò a commissionare a Guido Reni la decorazione del catino absidale e la realizzazione dei Profeti Davide ed Isaia da porre ai lati dell’edicola contenente la statua marmorea di Santa Silvia.
Quantunque il tema del Coro degli Angeli nel catino sia alquanto ricorrente nell’ambito iconografico, il Reni, grazie alle profonde conoscenze musicali, acquisite in età giovanile dal padre, musicante presso la Signoria di Bologna, apporta un qualcosa di nuovo che caratterizza l’insieme, solo un conoscitore poteva infatti coordinare così bene le disposizioni armoniche degli strumenti.
L’epoca dei restauri e la proprietà alla Basilica di Santa Maria Maggiore
La prima fase documentata di restauri condotti sugli affreschi presenti presso gli Oratori di San Gregorio al Celio, si attesta a cavallo degli anni 1665-1670, ed è opera del pittore e restauratore Carlo Maratta (1625-1713). Rappresentando per il suo tempo uno spirito di innovazione nel campo del restauro, il ciclo di interventi dell’artista erano in generale rivolti non solo alla conservazione delle opere trattate, quanto piuttosto alla loro valorizzazione. Con il sostegno dello storico dell’arte Giovan Pietro Bellori (1613-1696), si vennero ad affermare una serie di nuove norme che traevano origini nelle caratteristiche della pittura ad olio; è questo il motivo per il quale negli interventi di restauro operati sugli affreschi, la tecnica dell’encausto fosse la più utilizzata, in modo che, a lavoro ultimato, l’opera murale fosse maggiormente somigliante ad un dipinto ad olio.
Negli interventi effettuati dal Maratta sugli affreschi del Domenichino e del Reni in Sant’Andrea, venne sfruttata una particolare tecnica di restauro facente uso di una invenzione elaborata dal suo aiutante Gianfranco Rossi. La novità apportata era quella di intervenire contro il distacco degli intonaci attraverso l’impiego di chiodi a forma di T o di L. Una volta applicati i chiodi venivano coperti con stucco e ridipinture di tipo integrative.
Il restauro del Maratta non convinse tuttavia la grande maggioranza di esperti e critici dell’arte, come testimoniano le dure critiche espresse negli anni a venire da Giovanni Gaetano Bottari nel 1730, dal Canonico Crespi nel 1756 e da Tommaso Costagini nel 1834.
Dopo la morte del cardinale Francesco Albani avvenuta nel 1803, ultimo commendatario di Sant’Andrea, gli oratori passarono sotto il diretto controllo della Congregazione degli Spogli. Dopo venticinque anni, il 5 ottobre 1828, con Bolla Impensissimo, papa Leone XII soppresse definitivamente la Commenda ed Abbazia dei Santi Andrea e Gregorio stabilendo che i tre oratori passassero sotto la proprietà del Capitolo della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore. Il rogito venne redatto dal Notaio Monti di Roma e controfirmato dall’Abate Gerardo Maria Segredo in rappresentanza dei Monaci Camaldolesi e dal Monsignor Giacomo Sinibaldi in rappresentanza del Capitolo Liberiano.
Nel 1953 l’Istituto Centrale del Restauro (ICR) intervenne con una serie di attività conservative che si replicarono anche nel 1960. Nel 1971, la Soprintendenza alle Gallerie del Lazio su proposta della studiosa Ilaria Toesca, avviò un ciclo di restauri che interessarono gli affreschi medievali presenti nel sottotetto della cappella di Sant’Andrea eseguiti dal restauratore Professor Augusto Cecconi.
Tra il 1979 e il 1983, si diede inizio ad un ciclo di poderosi interventi di restauro architettonico curati sia dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Lazio, che dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Roma. I lavori ebbero inizio con interventi diretti sulla muratura perimetrale della Cappella di Santa Barbara attraverso iniezioni di resina epossidica finalizzata ad arginare l’umidità di risalita dal terreno che era causa di deterioramento della pellicola pittorica delle decorazioni interne.
La successiva fase di lavori interessò direttamente il rifacimento globale della copertura degli Oratori di Santa Barbara e Sant’Andrea in modo da garantire ed assicurare la salvaguardia delle pregevoli decorazioni parietali che presentavano notevoli ed evidenti segni di deperimento per infiltrazione di acqua piovana. Per quanto attiene al cassettonato ligneo presente nei suddetti oratori, si dovette intervenire energicamente viste le precarie condizioni cui soffriva quasi all’estremo del collasso.
Il 7 luglio 1995, l’Arciprete della Patriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, cardinale Ugo Poletti, riapriva al culto le tre chiese di San Gregorio al Celio restaurate dal Ministero dei Beni Culturali ed Ambientali.
Entrato in possesso dell’intero complesso artistico e archeologico, il Capitolo poté quindi dare inizio alla fase definitiva di sistemazione degli ambienti in modo da renderli agibili al pubblico sia sotto il profilo del culto, sia sotto il profilo della fruibilità dell’arte.
Mentre i tre Oratori al Celio venivano nuovamente aperti al culto e all’arte, la Soprintendenza Archeologica di Roma, tramite interventi finanziati con i fondi del Giubileo 2000, dava inizio ai restauri delle Taberne Romane e della Biblioteca di Agapito presenti all’interno del Complesso monumentale.
Nominato Rettore degli Oratori il Canonico di Santa Maria Maggiore Monsignor Granito Tavanti, lo stesso affidava la direzione del complesso degli Oratori al Celio, delle Taberne Romane del II secolo d.C. e della Biblioteca di Papa Agapito I al Prof. Francesco Maria Amato, mentre alla Prof.ssa Djana Isufaj veniva affidato il coordinamento organizzativo; ai due studiosi si devono specifiche e scientifiche pubblicazioni.