Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Cinzia Ceccarelli (Torino, 1974).
Cinzia Ceccarelli è un’artista torinese che usa prevalentemente il corpo per comunicare. Il linguaggio del corpo, del gesto e della mimica, concorrono all’elaborazione di progetti sempre finalizzati a scuotere le coscienze su temi come l’attesa, la solitudine, il trauma, la dipendenza affettiva, l’ossessione e la paura dell’abbandono.
La Performance Art è un linguaggio che Cinzia integra o alterna al video, alla fotografia e all’installazione. L’obiettivo finale è sempre lo stesso: provocare riflessioni su temi spesso ruvidi e quindi difficili. Ma il compito di un artista è farsi mezzo per un più alto fine. Cinzia Ceccarelli vive e lavora a Torino. E questa è la sua voce creativa per voi.
Chi è Cinzia?
Partiamo subito con una domanda complessa. Chi sono io? Mi piacerebbe scoprirlo ma nel corso degli anni ho acquisito la consapevolezza che coesistano più persone nel mio corpo. Qualcuno potrebbe definirlo un disturbo della personalità, c'è chi parla di personalità poliedrica e qualcun'altro mi descrive come un condominio dove abitano più persone. Un giorno mi sveglio piuma e il giorno seguente cemento armato. Esiste però una costante in tutte le mie varianti, un'artista proteiforme che sviluppa il suo lavoro in azioni performative, installazioni, audio-installazioni, video e fotografie.
Dove ti rifugi quando hai bisogno di silenzio e raccoglimento?
Con frequenza cerco il silenzio e mi rifugio in casa, tra le mura domestiche; diversamente passeggio, adoro camminare a lungo senza meta e in totale solitudine. Mi piacerebbe potermi isolare e raccogliere in riva al mare e a tale proposito sto valutando l'ipotesi di cambiare città.
L’arte è vocazione o aspirazione?
Vocazione.
Qual è stata la tua formazione?
Ho conseguito la maturità artistica presso il "primo" Liceo artistico di Torino nel 1995 e in quegli anni non avevo le idee molto chiare. Mi sarebbe piaciuto intraprendere gli studi presso la facoltà di Medicina, nutro questa passione da sempre e volevo diventare un medico legale così come avrei voluto continuare gli studi di danza classica poiché all'epoca studiavo con un noto coreografo del Teatro Regio di Torino. Alla fine dell'estate, con leggerezza e senza starci a pensare più di tanto, mi sono iscritta all'Accademia delle Belle Arti di Torino dove ho conseguito una laurea quadriennale in Pittura e successivamente una laurea specialistica in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo. Attualmente lavoro in qualità di docente presso le scuole Statali di Torino.
E come ti sei avvicinata alla Performance Art?
Sicuramente dopo aver sperimentato più mezzi di comunicazione come la pittura, l'installazione e la fotografia ma devo attribuire l'iniziazione alla performance grazie agli insegnamenti del professore e regista Peader Kirk, un artista inglese con cui ebbi l'opportunità di frequentare diversi workshop condotti da lui sulle tecniche e sul metodo performativo.
Esiste un luogo che ti ispira, che fa fiorire nuove idee e visioni nella tua mente?
Non ho un luogo specifico. Raccolgo sensazioni, emozioni, fotografo immagini nella mente e lo faccio in qualsiasi momento della giornata, poi elaboro nel tempo, ovunque.
Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?
La memoria non ha un ruolo di rilievo nel mio lavoro; gli elementi onnipresenti sono il trauma, il dolore, le ossessioni, l'assenza intesa come eterna presenza, il vuoto, l'attesa…
Il corpo è prigione o veicolo?
Il corpo è veicolo.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?
Per quanto concerne la mia produzione artistica sì, posso definire il mio lavoro totalmente autobiografico ma credo che l'origine remota del lavoro di ogni artista sia soggettiva. Non sono così certa che la scaturigine di un'opera sia sempre autobiografica.
Una tua azione che vorresti ripetere e perchè?
Vorrei ripetere la performance Lasciami entrare proposta per la prima volta a settembre del 2021 e realizzata con Gigi Piana. È un'azione che ho maturato nel tempo e da cui si evince la mia più grande debolezza, dove manifesto la paura dell'abbandono, il costante bisogno di amore. Credo sia uno dei lavori che mi rappresenta di più.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
No, nessuna lettura in particolare. L'ispirazione arriva sempre dal mio vissuto, dal mio stato d'animo.
Scegli un paio delle tue performance, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.
Lasciami entrare 2021.
Un’azione performativa che coinvolge due soggetti, un uomo e una donna; un corpo, desideroso d’amore, tenta di entrare con tutti i mezzi all’interno di un corpo che lo respinge e si oppone. Una lotta tra desiderio, volontà di essere amati e rifiuto.
T S O 2014.
È una denuncia riguardo quelle che dovrebbero essere le cure o le terapie obbligatorie messe a disposizione dell'odierna psichiatria.
Gina Pane o Regina Josè Galindo?
Il tema della sopportazione del dolore fisico è costante in ogni performance di Gina Pane, il suo è un corpo che soffre mentre quello di Regina José Galindo è un corpo che denuncia. Stimo il lavoro di entrambe le artiste, sebbene mi senta più vicina alla poetica e alla drammaticità di Galindo.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Non ho mai desiderato essere qualcun'altro, però mi sarebbe piaciuto possedere la genialità di Marcel Duchamp, la provocazione ironica di Maurizio Cattelan e la poetica di Damien Hirst.
Un artista con cui avresti voluto performare.
Marina Abramovich. Apprezzo buona parte della sua produzione artistica, soprattutto quella risalente ai primi decenni, quando lavorava in coppia con Ulay e non c'era così tanta spettacolarizzazione intorno a lei. Ma non è l'unica, potrei farti un lungo elenco di artiste o artisti più o meno noti nel panorama artistico.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Gli artisti comunicano e si esprimono attraverso il linguaggio delle immagini, a proprio rischio e pericolo e credo che il loro compito, indipendentemente dal sesso a cui appartengono, sia quello di sensibilizzare le masse, fare luce sulle zone in ombra. Una missione? Sì.
Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?
Lea Vergine. Ma anche Teresa Macrì, Angela Vettese, Francesca Alfano Miglietti… Mi sarebbe inoltre piaciuto disquisire a lungo con Jean Clair, Walter Benjamin, Rosalind Krauss, Greenberg, Schapiro.
Un curatore o una curatrice con cui vorresti collaborare?
Potrei scrivere svariati nomi e cognomi ma nessuno in particolare, vorrei poter continuare a lavorare con artisti, curatori e gallerie che credono in me e stimano il mio lavoro.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Non ho una bella opinione. Non aggiungo altro.
La paura che sfidi ogni giorno.
Ho paura della solitudine e della morte. Ne sono quasi ossessionata.
Work in progress e progetti per il futuro.
Sto portando avanti il progetto dal titolo (Mai) Per sempre, composto da una serie di lavori che realizzo dal 2016 attraverso più mezzi e strumenti come la performance, l'installazione e la fotografia. Di recente ho iniziato a lavorare su un nuovo progetto: una mattina trovai una libellula morta sul mio balcone, la presi in mano con delicatezza e osservai a lungo le sue ali. Non sto a raccontarti l'infinità di immagini o pensieri che mi passarono per la mente ma in pochi minuti mi fu tutto chiaro; presi carta e biro e appuntai velocemente tre o quattro concetti chiave e da quel momento iniziai a lavorare.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
Non ho nessun motto.