Le mie giornate sono piene di parole prigioniere della mente, non trovano riposo e governano le mie azioni quotidiane. Cerco di liberarle attraverso la scrittura, ma ne arrivano sempre di nuove. Oggi tira il maestrale e le foglie del mio albero, appena nate, si danno al vento. Penso allo studio che avrà preso il volo. Seguo i movimenti di danza delle foglie, le fotografo. Intanto la città è avvolta da un tramonto d'oro d'argento e di rosso corallo.
Prendo tempo perché è un male difficile da raccontare di tutta questa gente che vuole spostarsi più in là e più in qua e non trova mai un posto di pace nel mondo.
Rimando. No, proprio ora e inizio da lontano.
Sono nata il 13 settembre del 1941. Alle prime doglie mio babbo caricò mia mamma sul cannone della bicicletta e la portò all'ospedale, e così attraversai le strade della guerra ancor prima di nascere. I primi ricordi sono file interminabili di persone in cammino verso un rifugio e io, con la mia famiglia, in mezzo a loro, voglio stare esclusivamente in braccio a mia mamma. Altrimenti urlo disperata.
Mi sentivo sicura e protetta esclusivamente tra le sue braccia. Aggrappata a lei, al suo corpo, a quell'odore che conoscevo ancor prima di venire al mondo, spariva la paura delle bombe e delle divise dei militari. Era il solo luogo nel quale mi sentivo aiutata e consolata; a lei mi consegnavo senza riserve e senza difese. Era già in atto la passione, l'assoluto - voglio stare solo con te.
Una passione così potente, però, è sempre rischiosa e conduce a smarrimenti. Fin da subito, mentre la guerra infuriava, non volevo mettere i piedi a terra. Desideravo trovarmi all'altezza dell'unica persona in grado di condurmi via dall'inferno della guerra. Un giorno il mio babbo mi fece una fotografia in mezzo ad un campo di grano e quando la vidi, dissi piangendo: "Perché mi avete lasciata sola?".
Sarà per la memoria degli inizi così ben radicati in tutta la mia persona che mi è rimasta la passione per la bicicletta - rappresenta ancora l'ultimo viaggio nel luogo protetto e continuerò ad andarci fino a quando mi sarà possibile e anche oltre - e la paura della guerra che vedo esclusivamente come lo sfondo opaco di una tensione paranoide fatta di distruzione, violenza e morte e mi prevede solo come vittima.
E intanto tutta la gioventù dell'Ucraina è, per necessità, l'esercito della nazione.
Sarà per la memoria degli inizi che mi ritrovo in quel bimbo ucraino ripreso in un brevissimo video, mentre piange disperato, solo, nella strada della guerra. Conosco la sua disperazione, la sua perdita, ma neanche dimentico i disegni delle bambine e dei bambini curdi di ritorno dalle prigioni dell'Isis. Non dimentico loro, non dimentico neanche la ragazza di Kobane che è andata incontro ai soldati dell'Isis e lì si è fatta saltare in aria.
E non dimentico le sessanta guerre in atto oggi - proprio mentre scrivo - perché altrimenti dimenticherei me stessa.
Le guerre dall'inizio dei secoli sono il risultato di azioni patriarcali e sono tutte uguali: odore di morte, distruzione di città e di sogni, violenze, stupri, torture, perché questo è il compito della guerra, annientare il nemico con ogni mezzo. E ora anche l'umanità intera, e la vita sulla terra. Non solo l'umanità quindi, ma tutto quello che la circonda e la comprende.
E intanto tutta la gioventù dell'Ucraina è, per necessità, l'esercito della nazione.
Sarà per la memoria della mia venuta al mondo bambina mentre parenti e amici erano tutti in attesa del bambino - sono la terza figlia - che fin da subito ho provato un disagio profondo e l'ho manifestato diffusamente, rendendo la vita difficile soprattutto ai miei genitori.
Sarà per la memoria di tutti questi inizi così intricati tra di loro e che hanno richiesto, fin da subito difese, la disubbidienza, per me, è stata ed è una questione naturale.
E anche ora non mi ritrovo nei dibattiti che ascolto e che vedo e negli articoli che leggo. Non mi ritrovo in questi assoluti dove si è passati dalla pandemia globale a tempo pieno, alla guerra in Ucraina che pure lei forse rischia di diventare globale - soprattutto è già un crimine dell'umanità - il tutto avvolto in una commozione che corre il rischio di divenire "la folkloristica commozione".
E intanto tutta la gioventù dell'Ucraina è, per necessità, l'esercito della nazione.
No, il mio è un altro sguardo. È lo sguardo di Cilla, la giovane schiava quando dice a Pentesilea che "tra uccidere e morire c'è una terza via: vivere". Aggiungo che vivere è già di suo una cosa complicata.
Non sono sola.
Quando la terra era ancora tenera le mie antenate erano portatrici di un'inquietudine sana. In perfetto accordo con la natura e con le altre creature del mondo hanno tracciato vie minori, hanno coltivato la buona pianta e mantenuto in vita la vita.
Al di là dei fatti, delle tesi e dei sistemi aggressivi e violenti eretti dagli uomini; il loro/mio luogo risiede nello spazio della contingenza, dell'intenzione, del senso della nostra esistenza. Non abbiamo avuto condottieri, ma abbiamo avuto energia, pensiero, coraggio, dedizione, attenzione, senso, follia. Noi donne disubbidienti siamo tante ma tante che potremmo fermare la Storia del patriarca e lasciarlo solo nella voragine delle immani sciagure che così coscienziosamente hanno segnato la sua storia e così, finalmente muto, potrà vedere le ceneri delle sue guerre, causate da solitudine, e da paura.
E intanto tutta la gioventù dell'Ucraina è, per necessità, l'esercito della nazione.
No, il mio è un altro sguardo e come i gamberi si volge all'indietro, e vede nel corpo del mondo una piaga che tutto divora.
Sono i meccanismi dei grandi della terra che fin dalle origini dettano le leggi della guerra a un numero incredibile di uomini.
E gli invasori, i combattenti tutti, dopo aver ucciso, torturato, sventrato sconosciuti o fratelli e dopo aver seviziato il corpo delle donne, delle bambine e dei bambini del nemico, cosa fanno da sempre, se non vengono a loro volta uccisi? Ritornano in famiglia senza cicatrici nell'anima. Ritornano ai loro cari senza sensi di colpa perché le guerre tutte giustificano ogni forma di violenza.
E inaudita è anche la circostanza che agli uomini la guerra piace. I soldati - gli uomini - eseguono gli ordini e lì si fermano senza porsi domande; li muove la banalità del male. Nessun dubbio. Anzi un eccesso di violenza gratuita pare li renda più orgogliosi, perché la distruzione e le macerie delle città entrano nelle loro menti e recano altri danni alle persone disarmate.
In luoghi diversi comportamenti diversi.
Tutti scissi e accecati se ne vanno a far la guerra al diverso, ma anche al simile, al fratello, alla natura, a chi si difende, ma anche alle persone indifese: ai cittadini e alle cittadine inermi. E si divertono pure, ignari di decretare anche la loro fine.
Gli ordini e le leggi che conducono allo scontro, alla violenza e alla guerra devono essere ben motivati e costruiti nel tempo.
Perciò fin dalle origini la Storia, quella che, come valore assoluto, si studia a scuola e invece appartiene solo agli uomini, rimanda le sue litanie di sangue. La sua lettura è solo la propaganda di immani e crudeli macchinazioni.
Per educazione ricevuta ecco che prendono corpo valori inesistenti come Nemico, Patria, Coraggio virile, Eroe, Onore. Qui il tiranno e i suoi oligarchi, là gli islamisti e per tutti, produzione di armi, e ricatti. I temi del nemico, della patria, dell'eroe, della religione, devono essere coltivati fin dalla tenera età. Sono solo menzogne che non richiedono l'uso del pensiero, della ragione, della condivisione. Vanno veloci, in superficie e con loro il mondo se ne va a pezzi.
E intanto tutta la gioventù dell'Ucraina è, per necessità, l'esercito della nazione.
Non ne posso veramente più. Tutte le volte che scoppia una guerra - soprattutto quelle vicine - partono le trattative senza risolvere niente perché la guerra vuole un vincitore e un vinto.
La mia mente e il mio corpo oscillano tra rabbia, disperazione, compassione. Ma non perdo lo sguardo bendisposto, quello che vede l'altra e l'altro da sé come esseri unici e irripetibili, in carne e spirito, corpo e mente. Non solo gli esseri umani, ma tutte le cose che esistono sono cosa buona a vedersi.
In realtà c'è anche un'altra storia.
È la storia delle donne, quella che emerge per frammenti e non si studia a scuola. Non la riceviamo per educazione e potrebbe invece aprire la via della pace. La si dovrebbe studiare a scuola; fin dalle primarie insieme alla musica, all'arte, a tutte quelle vie che portano all'esperienza diretta di grazia e di bellezza. Ma è un percorso che richiede tempi lunghi.
Ora invece credo sia necessario spegnere la televisione - se continuiamo ad attendere le soluzioni dell'ONU finisce anche lei, insieme a noi, bottino di guerra - alzarsi da poltrone o divani e uscire. Riprendere il cammino delle nostre antenate ribelli e disubbidienti in compagnia del giovane che rinuncia all'esercito, all'eroismo e alla virilità tossica.
Ma dobbiamo essere in tant* ma tant* da riportare in vita quelle grandi migrazioni mitiche, di quelle che quando partono gli ultimi va a capire dove si trovano i primi.