Sara vive a Venezia da 18 anni. Io ce ne ho vissuti 10. E insieme, ve la raccontiamo un po’...
Venezia è ancora lì. Non affonda. Me lo conferma la mia amica Sara che ci vive da 18 anni, per scelta. Ve lo confermo io che ci ho vissuto dal 1998 al 2008, e in 10 anni non l’ho vista affondare (certo, “sprofondare” di tanto in tanto, ma poi tornarsene su a galla, più forte di prima).
Venezia, sarà anche un pesce, vista dall’alto, ma, vissuta dal basso, a contatto con calli e fondamenta, per me che l’ho calpestata a lungo, Venezia è un’esperienza corporea (me lo conferma anche Tiziano Scarpa, nel suo noto romanzo Venezia è un pesce, dove esplora la città con le varie parti del corpo, a formare i vari capitoli).
Un’esperienza, questa città sull’acqua, che ti si incide nel corpo: negli occhi, per la bellezza continua che ti ritrovi davanti, per i riflessi e i giochi di luce creati dal cielo e dalle acque dei canali. Un’esperienza che senti nei piedi, soprattutto: a Venezia, o cammini, o prendi il vaporetto (detto più comunemente “battello”). Motivo per cui, a Venezia ti ritrovi a fare particolarmente attenzione, alle scarpe che indossi.
A Venezia, non corri per rintanarti in auto col riscaldamento, nelle gelide giornate invernali, o ad accendere l’aria condizionata nelle afose giornate estive. No, a Venezia l’auto non esiste, per cui ci impari a convivere, con le temperature estreme quotidiane. Le senti tutte su di te, giorno dopo giorno, passo dopo passo, tra i capelli, nelle guance, nelle mani. Venezia, insomma, te la vivi tutta per bene sulla pelle e nel corpo. Un’esperienza olistica, si direbbe oggi!
Sara condivide con me la sua visione di Venezia. Lei la vede come un grande scenario dell’invisibile, dove è facile “leggere” chi la popola: “Tutte le persone che abitano a Venezia, malgrado la maschera sociale che indossano, è come se passeggiassero nude sui masegni, i tipici blocchi di pietra, lungo le fondamenta”. Poi si spiega meglio, con toni che si fanno soffusi, quasi poetici: “Il ritmo del passo svela l’età, la salute, lo stato d’animo, la musica che racchiudono nell’anima. Io li vedo e mi vedo, vedo ogni giorno come cambia il nostro modo di attraversare un ponte: alle volte la fretta ci mangia il tempo e gli sguardi, altre invece il passo lento ci permette di incrociare un sorriso, lanciare uno sguardo oltre l’orizzonte e vedere un tramonto su una chiesa, la Luna che si specchia sul canale. Ed è già vacanza. Ecco, Venezia per me è una concreta utopia, una vacanza dalla vita nella vita”.
Questa “vacanza dalla vita” che è Venezia, io mi rendo conto di non averla scelta, all’epoca: è Venezia ad avere scelto me. Ci sono arrivata per un corso di formazione nel 1998, a 24 anni. Avrei dovuto restarci per tre mesi, il tempo di un tirocinio in un albergo. Ma dopo dieci anni, ero ancora lì.
Sara mi racconta la sua, di scelta, consapevole: “Ho scelto Venezia perché, da bambina, ogni volta che scendevo dal treno e arrivavo ai gradini della stazione di Santa Lucia, mi sentivo più bella. Le cellule del mio corpo si spostavano e si mettevano in assetto di bellezza per essere all’altezza della bellezza della città che andava a incontrare. Poi, lungo il tragitto che facevo a piedi per raggiungere Piazza san Marco, la bellezza dei palazzi, degli scorci sui canali e gli sguardi dei passanti eleganti mi facevano sentire vista, amata e importante”.
Quante volte torna la parola “bellezza”, nei ricordi di Sara. In effetti, Venezia è una città che si associa d’istinto a un atto di contemplazione estetica. “Il bello della città l’ho scoperto a Venezia”, mi confida a un certo punto Sara, “andare a lavorare al mattino passando per Piazza San Marco deserta e vedere i mosaici dorati e i cavalli che sono lì solo per te, è diverso che attraversare in macchina due paesi lungo la statale per raggiungere una città dove ti aspetta il lavoro”.
Venezia, oltre alla bellezza, possiede altri punti di forza, magari un po’ più nascosti. Per esempio, osserva Sara, “l’umanità che alla fine lega i pochi superstiti in questa città. Venezia è capace di mescolare le carte in tavola e rifare i giochi. Ai corsi di tango o ai comizi in campo contro le grandi navi puoi trovare di tutto: stranieri, pescatori, avvocati, gondolieri, filibustieri, intellettuali”.
Ma Venezia ha anche qualche punto debole, aggiunge Sara: “Venezia sta perdendo i suoi fan romantici degli anni ’60-’70-‘80 per lasciare spazio ai nuovi yuppies della globalizzazione, un po’più attaccati all’apparenza che alla sostanza”.
E se provassimo a rivederla un po’ noi, questa Venezia, con gli occhi da fan romantici del passato? Per esempio, con lo sguardo di un suo grande fan scomparso, il poeta Diego Valeri. Che, nella sua opera Guida sentimentale di Venezia (Passigli Editori, 2009), ne descrive le zone e i monumenti principali, per poi narrarne il cuore più autentico e quotidiano, nella sezione “L’altra Venezia” (pp. 99-101):
E poi c’è tutta l’altra Venezia: quella interna, delle calli, dei campi, dei rii, delle rive remote: quella che forma il gran corpo della città. Città sempre un poco strana e segreta […] che non si lascia comprendere intera neanche da chi ne abbia la labirintica topografia stampata nella testa e sotto la pianta dei piedi. […] Venezia è inafferrabile, appunto come la sua acqua natale, che sembra stagnare e invece non è mai ferma, mai la stessa, che attira senza posa i nostri occhi e il nostro cuore, quasi dovesse rivelarci il perché della vita, e intanto fugge via, furtiva, silenziosa, limpida e impenetrabile… E allora […] ci si appaga di cogliere la bellezza degli aspetti esterni, e di spiare come in essa traluca l’intimo spirito creatore. Altra Venezia, altra bellezza.
E qual è, “l’altra” Venezia, per Sara, quella in cui ama andare a rifugiarsi, lontano dai posti noti? “A me piace andare alla biblioteca Querini a leggere o studiare, o semplicemente a sentire lo scricchiolio del pavimento di legno”, mi confida. “Mi piace bere uno prosecco a Ca’ Giustinain, fuori nel terrazzino, guardando il Canal Grande e la Punta della Salute. Mi piace bere un caffè al bar Ai Artisti in Campo San Barnaba, vicino al Ponte dei Pugni, mentre i bambini giocano sul pozzo, oppure in Campo Santa Maria Nova vicino alla Chiesa dei Miracoli, andare a fare l’aperitivo anche d’inverno con una coperta rossa sulla panchina fuori, come se fossi in montagna”.
Con i suoi luoghi del cuore, Sara mi conferma che Venezia è uno spazio da esplorare e gustare all’aperto. Anche io ho ne ho qualcuno, di luogo “speciale”. Nelle giornate più miti dei miei giorni veneziani, spesso, quando avevo un momento libero, andavo a rifugiarmi a scrivere, con quadernino e matita, nei luoghi all’aperto attorno a Ca’ Rezzonico (palazzo che racchiude il museo del Settecento Veneziano), non lontano da Campo Santa Margherita, luogo della movida giovanile. In realtà, l’accesso al giardino di Ca’ Rezzonico è consentito solo a chi visita il museo, ma all’epoca c’erano delle panchine accessibili a tutti, in una zona attigua al giardino. O ancora, ho passato momenti calmi e ispirati, sempre con quadernino e matita, sulle panchine rosse a Sant’Elena, nel sestiere di Castello (non lontano dai Giardini dove si svolge la Biennale d’Arte), sotto le fronde di altissimi pini marittimi, dentro un verde splendente, e con lo spettacolo mutevole e splendido, davanti agli occhi, della Laguna.
C’è poi un percorso che sento come “magico”, che faccio ogni volta che la vita mi riporta a Venezia: imbocco Via Garibaldi (l’unica a chiamarsi “via”, a Venezia, le altre sono calli), sempre in zona Giardini della Biennale. Un viale piuttosto lungo e ampio, costellato da bar e ristoranti, le poste, il supermercato. Un micro-universo dentro l’universo veneziano, ancora piuttosto genuino, popolato soprattutto da gente locale. Dopo neanche due minuti, sulla destra mi appare un grande cancello, aperto, che conduce verso un monumento, la statua di bronzo di Garibaldi, non a caso. Da lì, parte un viale alberato, costeggiato da file di casine variopinte. Percorrere quel viale per me ha il sapore di “ritorno” sui luoghi cari. Gli alberi sono alti e slanciati e profumano di buono, in primavera, per colorarsi dei toni del fuoco e delle arance, in autunno. A un certo punto, poi, sulla sinistra, compare una grande serra, che è stata trasformata, negli ultimi anni, in un locale, con spazi interni tra le piante, ed esterni in un bel giardino verdeggiante, La Serra dei Giardini. È dove amavo rifugiarmi davanti a una fetta di torta fatta in casa e un cappuccino. Alla fine di questo viale alberato, si intravede la Laguna: uno spettacolo per gli occhi, ogni volta, coi suoi riverberi, il luccichio che mi accoglie, mi schiude le sue braccia liquide, come a sussurrarmi: “Sono sempre qui, con le mie acque, i miei colori, le gioie e i dolori. Bentornata”.