È una perdita di tempo pensare che l’uomo possa risolvere il dilemma della guerra studiando solo se stesso. Dovrebbe guardarsi intorno e studiare il conflitto negli animali per saperne di più. Né la scienza, né la filosofia ci hanno mai dato dei contributi efficaci per risolvere questo dilemma che è uno dei più antichi del mondo. La domanda fondamentale allora è: perché l’uomo risolve sempre i suoi conflitti con uno spargimento di sangue, quando sa, o dovrebbe sapere, che a tutto si può rimediare fuorché alla morte, perché la guerra è morte?
Predisposizione aggressiva dell’uomo
La guerra è il prodotto aberrante della predisposizione aggressiva e incontrollata dell’uomo. C’è in questo una radice culturale che sin dalle origini si basa, da un lato, sul rifiuto dell’estraneo, e dall’altro, sull’identità di gruppo che si consolida con una aggressività incontrollata da parte di chi crede di essere il più forte; le guerre, anche le ultime, ce l’hanno sempre dimostrato. L’unità del gruppo è funzionale a quello che due contendenti si prefiggono di raggiungere, cioè l’acquisizione di ricchezze e di un territorio più vasto che dopo la conquista vengono difesi con le unghie e con i denti dai conquistatori. Tutte le guerre coloniali dei secoli scorsi avevano questi scopi. In questo l’uomo assomiglia molto agli animali, ma allora qual è la differenza sostanziale tra noi e loro? La differenza sta nel tipo di strumenti, cioè le armi, che vengono utilizzati. Le armi più sofisticate consentono di eliminare o sconfiggere il nemico nel più breve tempo possibile o di metterlo con le spalle al muro senza possibilità di risollevarsi, come hanno dimostrato le sconfitte dei tedeschi, dei giapponesi e degli italiani, nella Seconda guerra mondiale. I perdenti, il minimo che hanno potuto fare è stato poi quello di allearsi con i vincitori. Infatti, le nazioni che hanno perso la Seconda guerra mondiale sono quelle che hanno scelto, o dovuto scegliere, questa strada.
L’aggressività collettiva degli ultimi secoli ha aggirato abilmente le inibizioni naturali della violenza per sopraffare il nemico. Il fatto è che dall’uso delle frecce e delle lance l’uomo è passato troppo velocemente all’uso di armi molto più aggressive e distruttive, in ultimo quello delle bombe atomiche. Il loro impiego a Nagasaki e Hiroshima ci ha insegnato che in questi casi non esiste più nessuna inibizione naturale all’aggressività umana di chi ordina una cosa così orribile per ripensarci e utilizzare altri strumenti per dissuadere il nemico dal continuare la guerra. In tutto questo non c’è solo da considerare la questione bellica in sé. Esiste una predisposizione o pseudo-speciazione culturale che spinge il più forte ad utilizzare qualsiasi mezzo a disposizione pur di raggiungere la vittoria finale.
Cos’è la pseudo-speciazione? È presto spiegato. Gli americani non hanno gettato le bombe atomiche sulla Germania nazista perché ancora non ne erano in possesso, ma forse non l’avrebbero mai fatto. Non hanno invece esitato a gettarle sul Giappone, oltre che per una ragione militare, compreso il pericolo che i russi potessero invadere il Giappone prima di loro, per una questione di pseudo-speciazione su cui spesso non riflettiamo e cioè che le norme culturali imponevano di uccidere il nemico soprattutto se diverso caratterialmente, culturalmente e anche fisicamente. Il conflitto in Vietnam, per esempio, aveva sullo sfondo una forte discriminante razziale, più che il pericolo che questo Paese si potesse unificare e diventare comunista. Il pericolo per gli americani, ma non solo (in Vietnam hanno combattuto anche soldati britannici, canadesi, australiani, filippini, pachistani, francesi e di altre nazionalità ancora), non era il comunismo in sé, ma il fatto che potesse prendere il sopravvento su una popolazione diversa da noi. Non è un caso che le forze alleate in Vietnam chiamassero i Viet-Cong, e in generale tutti gli asiatici, musi gialli con gli occhi a mandorla, quando sappiamo benissimo che gli asiatici non sono gialli e non hanno nemmeno gli occhi a mandorla. Questi stereotipi sono sempre esistiti tra i soldati, sono sempre stati funzionali all’uccisione senza riguardi del nemico, facendoli sentire moralmente nel giusto.
In Vietnam, oltre alla guerra vera e propria, c’è stata una contesa tra due mondi, quello occidentale contro quello orientale, in cui il secondo era, e sotto molti aspetti lo è anche oggi, ritenuto inferiore. Il fatto non da meno è che gli orientali, soprattutto i giapponesi, durante la Seconda guerra mondiale, ritenessero gli occidentali nemici inferiori e che come tali dovessero essere trattati. Non dobbiamo dimenticare che lo shock più grande per il Giappone razzista e militarizzato non furono tanto le conseguenze delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, ma il fatto di vedere tra gli “invasori” dei soldati afro-americani! In ultimo, se i giapponesi avessero avuto la bomba atomica prima degli americani, non avrebbero esitato nemmeno un secondo a gettarla su Los Angeles o San Francisco e così avrebbero fatto i tedeschi gettandola su Londra.
Insegnamenti dagli animali
Gli animali hanno molto spesso, più di noi umani, un modo molto rapido per dare un valore positivo o negativo a tutto ciò che capita loro intorno. Lo fanno istintivamente: per esempio, non esitano quando hanno da un lato una bella preda da cacciare e dall’altro lato un nemico pericoloso da evitare. Alla base di questo c’è una spiegazione. Gli animali (ma anche gli uomini) hanno nel cervello delle reti neurali, i nuclei basali, soprattutto lo striato ventrale, che possono elaborare istantaneamente queste differenze. Lo fanno e lo facciamo noi uomini senza esserne coscienti. In questi casi i circuiti superiori del cervello, quelli corticali dei lobi, negli uomini si attivano invece solo parzialmente e dopo che l’azione è stata eseguita.
Gli istinti sono meccanismi subliminali e inconsci. Sono la nostra salvezza perché ci mettono in guardia istantaneamente di fronte a delle scelte che se sbagliate potrebbero mettere in pericolo la nostra vita. Questi fenomeni sono noti tra gli psicologi che, in questo caso, parlano di appraisal schematico e appraisal concettuale. Il primo è un’attivazione neurovegetativa veloce e automatica indipendente dalla volontà. Il secondo consiste nell’attribuzione cognitiva di uno stato di attivazione di fronte a un pericolo; non è quindi pre-attentivo, è lento e lineare. Include i ricordi e le aspettative e ci rende coscienti dopo un pericolo appena corso. Questi meccanismi si sono evoluti, sia nell’uomo sia negli animali, allo stesso modo, solo che l’evoluzione di questi ultimi ha reso a noi uomini la vita più complicata. Non è infatti un caso che negli animali le lotte sono molto ritualizzate soprattutto quando l’avversario dopo una lotta iniziale realizza di essere il più debole e scappa. Nell’uomo questo è meno frequente soprattutto quando chi perde non ha una via di fuga e quindi viene soppresso.
Guerra e pace
Per capire le ragioni della guerra bisogna capire la pace e le cause dell’ostilità verso i diversi e gli estranei. La paura dell’altro, del diverso, scatena l’aggressività di gruppo. Il timore dell’estraneo è connaturato nell’animo umano ed è atavico, come dimostrano i bambini quando vedono per la prima volta un estraneo e si mettono a piangere. Poi quando diventano più grandi questo timore si indebolisce, ma in fondo i bambini mantengono l’ostilità per l’estraneo. Questo si chiama dominio aggressivo. Quindi le condizioni indispensabili per evitare la guerra e fare la pace sono la consapevolezza che gli uomini che appartengono ad altre nazioni sono simili a noi e considerare le loro culture un arricchimento per tutti, non una contaminazione o un impoverimento. Per evitare la guerra è poi necessario abbattere le barriere tra i popoli, muri o fili spinati che siano, e aumentare lo scambio evitando gli indottrinamenti, soprattutto quelli politici.
Conclusioni
La predisposizione aggressiva dell’uomo acquisita filogeneticamente viene disinvoltamente utilizzata per affinare le armi ed entrare in guerra. Oggi, ciò che tiene ancora il mondo in piedi, ahimè, è la deterrenza atomica, altrimenti ci saremmo già distrutti da tempo l’uno con l’altro, senza esitazione. È vero, la guerra può diventare un rito, ma questo avviene solo quando ai più deboli resta una possibilità di fuga e i processi emigratori di questi ultimi anni ne sono l’esempio più evidente. Sin dall’età della pietra gli uomini si uccidevano e questo è testimoniato dai dipinti rupestri del Paleolitico che rappresentano scene di guerra, ma questo non significa che non lo facessero anche precedentemente, prima di diventare Homo sapiens, cioè quando questa forma d’arte rudimentale non aveva ancora cominciato a diffondersi nei nostri lontani antenati.
Bibliografia
Irenäus Eibl-Eibesfeldt. The biology of Peace and War. London, Thames & Hudson, 1979 (tr. It.
Etologia della Guerra. Torino, Boringhieri, 1983.
Jo Groebel & Robert Hinde. Aggression and war. Cambridge, Cambridge University Press, 1989.
Bruno Fedi & Maurizio Corsini (a cura di). L’errore antropocentrico. Milano, Mimesis, 2019.
Angelo Tartabini. Conflict theory. Wall Street International Magazine, 2020.
Anna Meldolesi. Le origini della Guerra. Le Scienze, Gennaio 2022, pp.: 27-33.