Grande è il Giorno del Signore.
Davvero terribile. Chi potrà sostenerlo?(Gioele, 2.11)
E voi uscirete saltellanti come vitelli
dalle stalle e calpesterete i malvagi
ridotti in cenere sotto le piante dei
vostri piedi nel giorno che Io preparo,
dice il Signore degli Eserciti.(Malachia, 3,20.21)
E se l’età dell’oro fosse in un prossimo futuro? E se l’umanità fosse agli inizi? Perché non pensare che sia prevista una futura epoca speciale? Pensiamo per automatismo di pigrizia mentale che le profezie siano tutte adempiute con l’incarnazione del Cristo e gli interpreti ecclesiali proiettano solo alla fine della storia ogni altra possibile manifestazione straordinaria di Dio come se temessero un Dio che sfugga alla loro idea rappresentativa. Ma Dio non è il fantoccio dei “suoi” sedicenti credenti e anche teologicamente non si può vederlo che quale assoluta Indipendenza che detiene anche creativamente le vie del futuro. C’è un passo biblico che sembra stigmatizzare l’attuale “normalizzazione” di Dio: “il braccio del Signore si è forse accorciato?” (Numeri, 11,23; Isaia, 59,1). Sì, anche Dio usa talvolta il sarcasmo! È facile accorgersi del fatto, se si amano le Sacre Scritture, che esistano decine di profezie bibliche chiare e concordanti e tutte dall’intensa densità messianico-escatologica che però non ci parlano della fine dei tempi ma di un nuovo periodo luminoso della storia dove il bene prevarrà sul male e tale periodo, mai prima realizzatosi, sarà inaugurato da un breve ma drammatico passaggio purificatorio.
Talvolta queste profezie hanno punti di contatto e vicinanza scritturale con quelle che tradizionalmente sia attribuiscono al Natale di Cristo ma la maggioranza di esse presenta una propria autonomia semantica e propri tratti distintivi che possiamo così riassumere: a) riguardano tutta l’umanità; b) non presentano dettagli riferiti a popoli o città antiche; c) alludono a fatti e tempi non ancora verificatesi; d) presentano un tono di giudizio, che le rende incompatibili con il tema della venuta messianica di Cristo nella storia quale Salvatore misericordioso; e) si riferiscono ad un tempo di cambiamenti straordinari ma ancora all’intero della storia umana.
Possiamo articolarle in due tipologie essenziali: 1) profezie su una “grande purificazione”; 2) profezie sul tema del “ritorno” di Israele e ad Israele in un nuovo status di gloria e rinnovamento. Il nesso tra le due tipologie profetiche è semplice: il “resto” degli scampati ad una grande prova sarà santo e ricostruirà una nuova umanità dove Sion sarà luce per tutte le nazioni che convergeranno verso questo nuovo Israele spirituale. Possiamo dire che questo tempo sia già avvenuto? Non pare razionale sostenerlo. È già esistito nella storia un tempo in cui “il lupo dimorerà con l’agnello” (Is.11,6) ? Non ci pare! Anche a considerare i cristiani quale nuovo Israele i conti non tornano! Gesù stesso sembra confermare questa logica interpretativa alludendo Lui stesso ad un “tempo della restaurazione di Israele” (Atti, 1,6-9) successivo all’attuale “tempo della prova e della testimonianza” e nel riferirsi degli angeli all’ascensione di Cristo ad un Suo fisico ritorno nel tempo (Atti, 1, 11). Ragionando sempre nel cercare una coerenza logica nel rapporto tra teologia e storia (Dio non è Logos? Gv.1,1) avrebbe senso una storia in cui il male è sempre il fattore più forte? Non contrasterebbe con la giustizia e la bontà di Dio pensare che non possa esserci nella storia una reale e concreta “epoca aurea”?
Diamo un’occhiata a queste decine di chiare e precise profezie. Le predizioni di un grande castigo mondiale, una sorta di purgazione medicinale drammatica per molti ma salutare per il futuro, è presente in tutti i profeti biblici; da Isaia, che fa in questo “la parte del leone”, fino all’ultimo profeta: Malachia. I connotati e i segni epifanici di tale terribile prova espressione dell’ira di Dio contro la malvagità, l’idolatria e il materialismo dei potenti e della maggior parte della popolazione appaiono precisi, chiari e costanti: nubi, tenebre straordinarie, fuoco dal cielo, sconvolgimenti astrali, terremoti e sterminio. Isaia parla di un “soffio del giudizio” (Is.4,2-6) con i segni teofanici delle nuvole e del fuoco, di una sorta di “giorno dello sdegno del Signore” contro gli idolatri (anche: Naum, 3,1-6) tale che i cadaveri riempiranno le strade come immondizia (Is.5,25) e dichiara che la terra sarà depopolata fino a sembrare un deserto (Is.13, 9-13).
In un’immagine semplice ma terrificante Isaia parla di una “terra che barcollerà come un ubriaco” (Is. 24,19-23) per indicare appunto un terremoto molto potente e istantaneamente mondiale e accenna anche al colore rosso della luna e ad un sole pallido. Immagini astrali drammatiche che ritroviamo pure nel sesto sigillo dell’Apocalisse di Giovanni (Ap. 6,12), nelle profezie vangeliche di Cristo nel Tempio (Mt. 24,29; Mc.13,24; Luc.21,10) e in molti altri profeti biblici (ad es.: Amos, 8.11; Gioele, 2,1.2,10.11; 4,15.16.21), come se anche la natura insieme all’umanità dovesse purgarsi per rinnovarsi iniziando un’età aurea nuova. Tutte le profezie di Cristo parlano di una nuova “venuta del Signore” con segni potenti e manifestazioni gloriose ma nessuna di esse accenna per tale evento ad una simultanea “fine dei tempi”. È solo la pigrizia spirituale di un’ermeneutica mediocre e paurosa (del proprio Dio! Paradossale!) che proietta immotivatamente nel post-storia eventi straordinari profetizzati da Cristo stesso che parlano di una “liberazione” e sembrano alludere ad un’epoca storica nuova e non alla fine della storia che l’Apocalisse descrive altrimenti con una nuova creazione definitiva (Ap. 21,10) e i Vangeli con il tema del Giudizio universale (Mt.25,32; Ap.20,12).
Prima di approfondire le nostre amate profezie bibliche dal “messianesimo non ancora concluso” soffermiamoci un attimo sull’inquadramento vangelico appena citato e ritenuto coerente con la tesi ermeneutica qui esposta. In Matteo Gesù insegna una “venuta del Signore” (“parusia”, cioè: presenza manifesta: Mt.24, 39) che non sembra concludere la storia in quanto si fa riferimento ad un resto di scampati (“se non fossero abbreviati quei giorni, nessuna carne si salverebbe”, Mt.24,22). Un riferimento che non avrebbe senso se la prova aprisse alla fine dei tempi. Il fatto che resta una parte dell’umanità che sopravvive a grandi prove (qui il “Gran Giorno” viene espresso come massima “thplisis”, cioè travaglio-oppressione) indica che la storia continua. Sembrano confermarlo altri dettagli: la citazione dell’immagine dei cadaveri (Mt.24,28), il fatto che la visione del Cristo sulle nubi (visione che apre e chiude l’Apocalisse e presente anche nel Vangelo di Marco: 14,62) viene indicata quale segno culminante non della fine della storia ma del fatto che “Cristo è vicino, è alle porte” (Mt.24,33), cioè segno di un probabile periodo aureo precedente tale fine. Può venire la fine del tempo prima che tutti abbiamo conosciuto il Cristo? Ultimo dettaglio corroborante appare la citazione cristica di Noè e del Diluvio (Mt.24, 36-39) quale esempio di raffronto. Un tempo l’improvviso Diluvio acqueo e nel futuro l’altrettanto improvviso e nuovo “Diluvio di fuoco”! Come la storia è continuata dopo Noè così similmente dovrà continuare allora dopo tale pur terribile e unico castigo. Ne troviamo ultima conferma logica e vangelica sul tema di chi viene “preso” e di cui invece viene “lasciato” in quei giorni (Mt. 24,40-44), distinzione che non avrebbe senso se la “parusia del Cristo” aprisse immediatamente ad una globale e omniassorbente Eternità!
Discorso simile per il Vangelo di Marco dove si parla di tale drammatica prova divina e mondiale come di un fatto storico nuovo che non ha precedenti né nel passato né in riferimento al futuro, ponendola così quale evento nel tempo storico a cui segue altro tempo storico (Mc.13,19). Il “Giorno del Signore” sarà quindi uno spartiacque decisivo per una storia umana che in ogni caso continua e tale suo connotato non avrebbe appunto senso se tale straordinario evento concludesse la storia umana. In quel caso non ci sarebbe alcun futuro da utilizzare come termine di raffronto! Anche Marco fa coincidere i segni biblici astrali drammatici della grande purificazione (astri che si oscurano) con una visione straordinaria e generale del Cristo e con il tema del raduno dei giusti (Mc.13,24-26). Ma anche qui nessun accenno al fatto che la storia umana finisca così. Anche qui l’improvvisa parusia del Cristo viene narrata quale evento certo straordinario ma non conclusivo di tutto ma simile invece nella sua immediatezza di verificazione al tema del “gran giorno del Signore” (Mc.13, 32-37). Questo Vangelo riprende quello di Matteo sul tema del “non passerà questa generazione prima che tutto ciò sia accaduto” (Mt.24,30.31). Al di là della difficoltà di interpretare questo passo qui appare evidente che il termine “generazione” (gheneà; il tempo del Cristianesimo? Ovvero la storia?) supera temporalmente l’evento della parusia del Signore. Luca aggiunge dettagli nuovi e ulteriori su questo speciale passaggio storico parlando di una tale angoscia di tutti gli uomini a causa degli sconvolgimenti naturali in corso che ci sarà chi morirà solo per la paura di ciò che starà per accadere e aggiunge il tema dei flutti mortiferi al tradizionale sconvolgimento degli astri (Luc.21, 25.26). Questo Vangelo collega a tali accadimenti sconvolgenti e molto rapidi non la fine del mondo ma al contrario l’avvicinarsi di una liberazione (apolutrosis, cioè: riscatto, separazione, redenzione) dei giusti, dei fedeli, dei cristiani (Luc. 21,28), cioè quindi l’inizio di una nuova epoca d’oro, mai prima accaduta. Riscatto, liberazione, separazione evidentemente dalle forze storiche del male, essendo la Redenzione già avvenuta per le anime con l’Incarnazione e la Resurrezione del Cristo. Discorso rafforzato e chiarificato ulteriormente poche righe dopo quando si parla di questo passaggio come di un tempo in cui “sarà vicino il Regno di Dio” (Luc.21,31) e di un tempo che accadrà prima del passaggio di “questa generazione” (Luc. 21, 32.33).
Bella definizione di un’epoca storica straordinariamente positiva quella di qualificarla come vicina al Regno di Dio. Nel Vangelo di Luca compare un ultimo dettaglio finale coerente con la nostra tesi: “vegliate e pregate in ogni momento perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell’Uomo” (Luc.21,36). Non a caso in questo passo profetico usa per sé come epiteto quello di “Figlio dell’Uomo”, cioè il medesimo che usava quando era sulla terra con i propri apostoli. Che senso avrebbe questo ulteriore invito cristico alla fedeltà e alla vigilanza (invito presente anche negli altri Vangeli) se la storia finisse con il grande castigo e la visione generale di un Cristo sulle nubi, lontano, solo “escatologico”, e non “scendente di nuovo sulla terra”? Tali chiarissimi inviti vangelici appaiono invece molto pratici e connessi alla preoccupazione del Cristo che pochi si salvino durante la grande purificazione mente il Figlio di Dio sembra manifestare la sua volontà salvifica affinché il “resto” sia il più possibile ampio, consistente, saldo e santo.
Se la grande prova coincidesse con il Giudizio Universale tali inviti non avrebbero senso perché la terra non esisterebbe più. Appare invece risuonante e concordante con questi passi e con questa lettura ermeneutica un'altra sconvolgente frase del Cristo riportata sempre da Luca: ma il Figlio dell’Uomo venendo ancora troverà la fede sulla terra? (Luc.18,8). Qui il passo è chiarissimo e quasi sconvolge nella sua chiarezza in quanto parla di un “venire ancora” del Cristo e di una Sua verifica diretta della fede sulla terra, non nel giudizio celeste. Il termine “ancora” (ara) e la locuzione “sulla terra” esprimono direttamente e chiaramente una parusia del Signore di tipo terreno, durante la storia umana, cioè una Sua manifestazione straordinaria, concreta, fisica, gloriosa ma non conclusiva quanto rettificativa della storia del mondo. Il passo indica un rapporto istantaneo e immediato tra il Cristo e l’umanità in un determinato e preciso momento storico che è quello appunto di tale manifestazione speciale del Cristo. Non a caso questo straordinario e unico passo vangelico interviene appena dopo la parabola “del giudice e della vedova” che Cristo stesso chiosa e conclude profeticamente uscendo dal canone stesso delle parabole e accennando chiaramente ad un tempo in cui Dio giudicherà gli uomini facendo giustizia per i suoi eletti che lo invocano giorno e notte come giusto Giudice sulla terra (Luc.18, 6-8). È il medesimo passo che ritroviamo all’apertura del quinto sigillo dell’Apocalisse (Ap.6,9-11) dove anche lì si narrano azioni profetiche riferite ad interventi divini rettificativi e purificatori della e nella storia umana.
Sempre Luca ricorda un’altra “strana” frase del Cristo: non temere piccolo gregge perché al Padre vostro è piaciuto darvi il Suo Regno” (Luc. 12,32). Il piccolo gregge si riferisce al “resto” degli scampati al Gran Giorno del Signore? In nessun altro passo Cristo parla di un rapporto diretto tra Popolo di Dio e Regno di Dio se non in questo brano il quale (non sembra a caso) è seguito immediatamente dal ricorrente tema vangelico del ritorno fulmineo e inaspettato del Padrone, del Cristo, come “un ladro” (Luc.12,30.40). Questo passo viene ecclesialmente letto di solito solo in senso individualistico quale ricordo del carattere effimero e mortale dell’esistenza umana e del giudizio divino su ogni anima (dato indubbio) ma se avesse anche una dimensione profetica sociale, collettiva, storica? Nei Vangeli non troviamo mai traccia di discorso apprezzabili solo in una prospettiva individuale e individualistica!
La stessa Apocalisse distingue chiaramente e in senso diacronico due momenti decisivi per l’umanità: a) la visione di Cristo glorioso e onnipotente che sconfigge i malvagi realizzando l’ira di Dio sulla terra (Ap.19,11-16) a cui segue una grande strage dei nemici di Dio (Ap.19, 17.18), la sconfitta delle potenze anticristiche (Ap.19, 19-21) e un periodo aureo del Cristianesimo e dell’umanità sulla terra (Ap.20, 1-6); b) il Giudizio Universale davanti al quale sparisce la terra e finisce lo scorrere del tempo (Ap.20,11-15; 21,1-27; 22,1-5). La visione apocalittica del “Cristo cavaliere in gloria, con i suoi angeli” già promessa dal Cristo davanti al Sinedrio nel Vangelo di Marco quale futuro evento da tutti visibile, non introduce infatti subito la fine dei tempi ma il fatto storico del “gran giorno dell’ira di Dio” contro la malvagità di un’umanità storica. La storia non può finire prima che Dio quale Giudice non abbia condannato la Prostituta-Babilonia, cioè il potere umano-diabolico di corruzione delle nazioni, come mostra chiaramente un passo dell’Apocalisse (Ap.19,2). Lasciando da parte il discorso sulle “eresie millenariste” (nelle quali comunque spero di non incorrere!) qui appare comunque un dato chiaro su cui non si può non riflettere: si parla di “resurrezione” dei martiri caduti sotto l’Anticristo ma per un “regno di mille anni”.
Possiamo anche considerare in senso simbolico il dato dei 1000 anni (ma perché poi?) ma è chiaro che se si trattasse già dell’Eternità non avrebbe senso limitarla con un dato numerico. Non sembra possa trattarsi dell’Eternità in quanto dopo questo periodo aureo accadono altri fatti prima del Giudizio Universale: lo scioglimento ultimo di Satana, l’irrompere di Gog e Magog (popolazioni umane riferite ad un periodo storico futuro), l’assalto a Gerusalemme e solo allora la vittoria finale di Dio (Ap.20,10). Nel Regno cristico dell’età dell’oro Satana è incatenato per mille anni, cioè il suo potere sull’umanità appare fortemente ridotto e contenuto, mentre nella nuova creazione inaugurata dal Giudizio Universale Satana è definitivamente punito nel profondo dell’inferno, senza più possibilità di riemergere e influenzare l’umanità e il reale. Prima viene sconfitto il male storico poi quello metafisico, con la stessa dimensione stessa della morte che da esso deriva. Tutti fatti importantissimi ma apprezzabili solo all’interno di una storia della salvezza, cioè in senso endo-storico. Come una parte dell’umanità potrebbe risorgere se la storia umana fosse già finita? L’Apocalisse, quindi, prima mostra la sconfitta dell’Anticristo e la sua condanna all’inferno e solo alla fine del periodo aureo la sconfitta di Satana che viene fatta coincidere con la fine della storia.
Possiamo inoltre distinguere fra i seggi di un divino “Giudizio contro le nazioni”, a cui sembra rinviare lo stesso Cristo quale promessa ai suoi apostoli (Mt.19,28; Luc.22,30) e l’apertura del Libro della Vita al Giudizio Universale (Ap. 20,11). Nel primo caso si tratta di un giudizio terribile ma intermedio che conduce tanto alla purificazione e al rinnovamento di Israele quanto alla sua preminenza storica e definitiva su tutti i popoli. Nel secondo caso di tratta del Giudizio ultimo, globale e definitivo che mette fine alla storia dell’umanità e del mondo inaugurando una finale “nuova creazione (palingenesis) senza tempo”, un “giorno senza tramonto”. Gran parte dell’Apocalisse può essere vista come un graduale dispiegarsi, dal Cielo alla Terra, del trionfale Giudizio di Dio nel tempo contro le Nazioni corrotte, simbolicamente indicate come Babilonia, come la Prostituta (Ap. 14,8,18-20; 15,4;18,2-8). Il tema della condanna di Babilonia, dell’uscita dei giusti da Babilonia e delle nazioni che piangono la caduta di Babilonia e che ora servono al contrario Cristo è lo stesso tema di una nuova età dell’oro simbolicizzata con l’immagine del Regno millenario di Cristo (e dei suoi giusti) sulla terra. Ci sono quindi due Giudizi divini: uno storico e uno finale detto “Universale”. Questo tema appare anche nel senso dell’instaurazione-restaurazione del Regno cristico: ora si è realizzata la salvezza, la potenza e il Regno del nostro Dio (Ap.12,10). Prima il male metafisico viene espulso dal Cielo, poi sconfitto sulla terra e solo alla fine imprigionato per l’eternità. Se tutto finisse al manifestarsi dell’ira di Dio contro l’umanità non avrebbe senso questo brano giovanneo: tutte le nazioni verranno e davanti a te si prostreranno quando avrai manifestato i tuoi giudizi! (Ap.15,4).
Il tema del ritorno di Cristo “come un ladro”, cioè improvviso, viene ripreso nell’Apocalisse durante la sequenza settenaria delle “sette coppe”, e preannunciato prima della settima coppa che conclude i castighi divini sulla storia umana (Ap.16, 14-16). Lo stesso Armageddon è citato durante la fase storica dei castighi delle coppe e ripreso poco dopo in un brano che parla della guerra delle potenze anticristiche contro l’Agnello che li sconfiggerà perché è Re dei re e Signore dei signori (Ap.17,14). E li sconfiggerà “insieme ai chiamati, agli eletti, ai fedeli”, cioè: nella storia. Più chiaro di così! Tornando infine alle nostre amate profezie bibliche possiamo notare come in alcune di esse il tema della grande e divina purificazione su tutta l’umanità assume toni e declinazioni che la connotano quale guerra finale delle nazioni contro Israele dove lo stesso Israele e Sion saranno castigati e purificati insieme alle nazioni stesse. Qui il tema del “giorno del Signore” si sovrappone al tema di Armageddon e dell’ira di Dio contro le nazioni (Salmo 2,9; Is.40, 10.15; Ez.30,1-3; Sof.1,14-16; 2,1.2; 3,8; Zc.14,1.20). Un’altra immagine tipologica frequente è quella del fuoco che divora l’iniquità, come se si trattasse di un “Diluvio igneo” dopo quello noachita: il “giorno rovente come un forno” di Malachia (Mal.19-24), il prosciugamento straordinario dell’Eufrate e del Mar egizio cioè del Mar Rosso (Is.9,16.18; 11,15), fino a dettagli addirittura precisi in termini quantitativi sul resto che sarà risparmiato: solo un terzo dell’umanità, a sua volta sottoposto a dura purificazione (Zc.13,8.9). L’immagine della disseccazione dell’Eufrate torna anche nell’Apocalisse (Ap.16,12) quale fase che prepara Armageddon. La prova sarà così dura che i superstiti saranno rari: “ridurrò l’uomo più raro dell’oro di Ofir” (13,6.13).
In un passo di Zaccaria si compendia in interezza il passaggio dal castigo mondiale alla nuova “età dell’oro” attraverso tre momenti: a) tutte le nazioni assaltano Israele, b) un Giorno di Luce realizza la sconfitta delle forze del male e il trionfo dei giusti, c) nuove acque sgorgano da Gerusalemme e i superstiti delle nazioni si rivolgono a Sion (Zc.14,1-20). Gerusalemme torna quindi centro sacrale del mondo e tutte le potenze mondiali si ri-orientano verso un Israele rinnovato: “vi andranno ogni anno per adorare Dio” e in quel tempo: “anche sopra i sonagli dei cavalli sarà scritto: sacro al Signore”. Questa epoca aurea è connotata appunto da un duplice ritorno palingenetico e spirituale, tanto interiore quanto sociale: da una parte i “superstiti delle nazioni” che rappresenteranno un “resto santo” scampato al grande castigo, e dall’altra il “resto di Israele” anch’esso purificato e santificato. L’immagine di un raduno mondiale (Ger.31,8-12) si unisce a quella di un “ritorno ad una Sion” (Is.2,2.5) mutata e riconosciuta da tutti nella storia quale faro di luce e guarigione globale (Sof.3,9-20).
Questa duplice natura della Grande Purificazione, salvifica per i pochi giusti e fatale per i molti malvagi, ritorna anche in una profezia di Daniele, profeta assai importante in quanto l’unico citato espressamente dal Cristo (Mt. 14,15) nelle sue profezie al Tempio: in quel tempo sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia come non c’èra stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo e in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro…” (Dn. 12,1-3).
Il tema del Libro della vita e dei suoi iscritti ritornerà nell’Apocalisse (Ap.3,5; 5,1; 20,12) e va sottolineato come questa profezia evidenzi con particolare forza la specialità unica di tale passaggio, tale da poter essere paragonato solo al Diluvio di Noè, e riveli anche il complementare tema di una parziale resurrezione dei giusti, altro discorso ripreso anch’esso nell’Apocalisse (Ap. 20,6). Se interviene in modo straordinario lo stesso Michele, principe delle milizie celesti significa che il Popolo di Dio subirà un gravissimo pericolo di distruzione. Anche qui il fatto che si parli di tale fase come di un evento storico che riguarda la salvezza dal male del Popolo di Dio (anche se di tratta di una salvezza selettiva) non porta a qualificarlo quale accadimento che esaurisca il decorso storico. Questa conversione generale viene talvolta visualizzata con l’immagine di una “Via santa” e dritta che porta a Sion (Is.35,4-10; 51,5.6.11); il tema dell’ingresso in una nuova Sion verrà poi ripreso in senso escatologico nell’Apocalisse di Giovanni (Ap.21,24-27), oppure con l’immagine di un banchetto di delizie (Is.25,6-10) o di una riedificazione gloriosa (Is.54,12.14; Ger.31,38). Il castigo straordinario è sempre presentato quale strumento per il rinnovamento definitivo di tutta l’umanità (Is.1, 21-31; 11,4-9; 51,5-6.11) in quanto tutti i salvati saranno felicemente santi (Is.4,2.6; Abdia,17.18).
Questo tema di straordinario rinnovamento viene simbolicizzato anche dall’immagine del “cambiamento del nome” a Gerusalemme (Ez.48, 35; Zc.8,3-8), immagine forte e positivamente sconvolgente ripresa anche in senso cristico nell’Apocalisse (Ap.2,17; 3,12; 19,12). La nuova e definitiva età dell’oro, che concluderà con la sua fine la storia umana (Ap.20,7.10), viene profeticamente connotata dall’immagine di una straordinaria pace, prosperità e sapienza prevalenti (Zc.9,10; Os.14,5-9; Amos, 9,11-15; Mic.4, 3-4; Is.11, 6-9). Le profezie non vanno disprezzate, insegna San Paolo (1Tes.,5,20) proprio lui che conferma cristianamente il tema biblico di un terribile e improvviso “Giorno del Signore” (1Tes. 5,2.3) ma comprendiamo come nei tempi attuali faccia paura un Dio Giudice e Onnipotente, specie per quel clero e per quei “fedeli” che amano abbassare l’immagine di Dio alla loro rassicurante e miope mediocrità. Il tempo di questi fatti sarebbe a noi vicino secondo l’antico Inno della Kalenda in quanto il Natale di Cristo viene da tale Inno fatto corrispondere alla 65° settimana delle Settanta profetizzate dal profeta Daniele (Dn. 9,24). Tale profezia sembra infatti comprendere tutta la storia umana quale storia della salvezza che si conclude con la sconfitta definitiva del male (stabilire una giustizia eterna) e con la fine di tutte le profezie (suggellare visione e profezia).
Se “cinque settimane” corrispondono a duemila anni settanta settimane sono 28.000 anni, tempo della storia umana complessiva e non a caso corrispondente al numero di giorni di un mese lunare. Israele contava il tempo secondo il ritmo della luna. Prima della fine della storia Cristo deve ridurre al nulla ogni principato, potestà e potenza umana, insegna San Paolo (1 Cor.15,24). Il Bene, e non il male avrà nel tempo e nella storia l’ultima parola.