Édouard Manet nacque a Parigi nel 1832 e vi morì nel 1883, all'età di cinquantun anni. Primogenito di un alto funzionario del Ministero di Giustizia, destinato alla stessa carriera del padre, era un allievo svogliato che amava disegnare sotto la guida dello zio Edouard Fournier, appassionato d'arte.
A sedici anni, poco interessato a proseguire gli studi giuridici, dopo contrasti col padre, accettò di entrare in Marina come alternativa, ma fu respinto all'esame di ammissione, con la clausola che poteva ritentare l'esame se avesse effettuato sei mesi di apprendistato come allievo pilota. Nel 1848 si imbarcò quindi per Rio de Janeiro, ma non sopportò la vita di bordo, per cui non si presentò all'esame.
A questo punto il padre accettò di fargli intraprendere la carriera artistica. Edouard, nel 1848, si iscrisse nell'atelier di Couture, pittore con buona fama. Edouard, descritto come persona educata e gentile, aveva idee personali fin dalla giovinezza e sentiva che gli stavano stretti gli insegnamenti troppo accademici del suo maestro. Tuttavia, rimase sei anni presso di lui, apprendendo le tecniche della pittura e allenandosi nel copiare al Louvre le opere dei grandi maestri.
A quei tempi ebbe a dichiarare che ogni artista apparteneva al proprio tempo e doveva dipingere ciò che vedeva: era il momento in cui il Realismo andava affermandosi.
Le sue idee sull'arte erano fin da allora anticonformiste, tuttavia il suo desiderio era di essere accettato dal Salon, luogo in cui si celebrava l'arte più elevata in Francia. Nel frattempo, si era recato in Italia, visitando Roma, Firenze e Venezia: anche in questi luoghi ebbe modo di copiare opere dei grandi maestri.
Nel 1856, quando abbandonò Couture, attrezzò un suo atelier, dipingendo intensamente e alternando il lavoro con viaggi in Olanda e in Germania, sempre alla ricerca dei grandi maestri.
Edouard trovava anche il tempo per il piacere e i divertimenti nei salotti parigini e nei caffè, ove incontrava altri artisti suoi contemporanei.
Il suo interesse per le donne si manifestò molto presto e appena diciottenne ebbe un figlio dalla sua ventenne maestra di musica, Suzanne Leenhoff, un'olandese che si manteneva dando lezioni. Non era possibile informare il padre dell'accaduto, sarebbe stato uno scandalo data la loro posizione sociale alto borghese, per cui, con la complicità della madre, la ragazza fu sistemata in un appartamento col figlio, che fece passare per suo fratello.
Il piccolo Leon conobbe la sua situazione solo al momento della leva militare e quando, alla morte del nonno, nel 1862 Eduoard sposò finalmente Suzanne, comunque continuò a passare per il fratello. Edouad lasciò a Suzanne e al figlio tutti i suoi beni. Fu sempre una situazione non chiarita.
Suzanne fu una compagna e una moglie molto comprensiva che permise a Edouard di frequentare altre donne. A quei tempi erano di moda i bordelli e il pittore contrasse la sifilide, come molti altri a quei tempi, il che lo condusse ad una morte prematura. Il ménage dei due era brillante, nel loro salotto si faceva ottima musica ed era molto frequentato e apprezzato.
Il suo obiettivo di artista era comunque di essere accettato al Salon: nel 1859 sottopose alla giuria l'opera Il bevitore di assenzio, che aveva come protagonista un cittadino: vi aveva infatti raffigurato un alcolizzato in cilindro e mantella, appoggiato ad un muretto sul quale era posto il bicchiere di assenzio, molto in voga a quei tempi. L'opera fu apprezzata soltanto dall'anziano Delacroix, che faceva parte della giuria, ma venne respinta dagli altri membri perchè troppo cruda e realistica.
Nel 1861 Il Guitarrero fu invece accettato e ricevette la Menzione d'Onore, suscitando l'ammirazione degli altri pittori, che si recarono nel suo studio per complimentarsi con questo nuovo talento. Tra di loro vi era un gruppo di critici e di artisti, guidati da Courbet, favorevoli al Realismo. Manet non accettò il loro invito a frequentare i locali in cui si ritrovavano perchè non intendeva essere scambiato per un rivoluzionario, preferiva frequentare i caffè dove incontrava la buona società parigina.
Attraverso i Realisti ebbe l'opportunità di conoscere Baudelaire, critico d'arte che li apprezzava, ma che elogiò anche Manet e scrisse un articolo in suo favore nel 1862 e l'anno successivo su Le Figaro pubblicò un saggio sul “pittore della vita moderna”, descrivendolo come un dandy il cui compito era di immortalare il carattere effimero della vita moderna, di cui annotava i tratti poetici, mentre venivano rifiutate le ispirazioni letterarie e mitologiche.
A questo spirito si ispirò Manet col suo dipinto Musica alle Tuileries, che espose in una galleria con altre opere, ma non ottenne il consenso dei critici a causa della caricatura del colore e anche i lavori presentati al Salon furono respinti. Napoleone III, poiché c'erano state tante lamentele per la troppa severità dei giudici, decretò l'apertura di un Salon des Réfusés per 3.000 opere: Manet colse l'occasione per esporre le sue opere, ma in generale questa esposizione fu una grande catastrofe per tutti, ma ancor più per Manet a causa della Colazione sull'erba, opera che sconvolse i benpensanti per lo spaccato contemporaneo troppo osé e per l'eccessiva libertà stilistica.
L’imperatore stesso lo ribadì di fronte alla sua opera definendola “offesa al pubblico pudore”. E Manet divenne di colpo il pittore di cui si parlava di più a Parigi: ne derivò in positivo che da quel momento i giurati del Salon furono meno severi, perchè poterono farne parte gli artisti premiati nel corso delle esposizioni.
In ogni caso le polemiche nei confronti di Manet non cessarono perchè il Cristo morto e due angeli, da lui presentato in seguito, fu ritenuto dissacratorio e criticato dal pubblico del Salon.
L'anno dopo fu ancora peggio con l'Olympia, ritenuta troppo sfacciata: scatenò uno scandalo ancora superiore alla Colazione sull'erba, la morale pubblica si sentiva oltraggiata, perchè vi era ritratta una prostituta che volgeva lo sguardo verso lo spettatore, senza vergogna: Manet fu additato come un rivoluzionario, un provocatore, capace di giocare la carta dell'insulto morale per ottenere consensi. L'artista ne fu talmente sconfortato che si allontanò da Parigi.
Da quel momento divenne più accorto nel presentare opere e al Salon successivo presentò Le Fifre, il pifferaio, in cui aveva dipinto il figlio Leon, che, nonostante fosse una meravigliosa opera d'arte, fu respinto a ricordo delle audacie precedenti. Fu però sostenuto da un giovane Zola, giornalista esordiente, appassionato d'arte, che iniziò a seguirlo, riconoscendone il talento e contestando il fatto che fosse tacciato di essere un artista impopolare e grottesco: lodò Le Fifre, comprendendo il valore dell'opera, autentica e semplice, dicendo che Manet aveva affrontato la natura rimettendo in discussione l'arte intera, aggiungendo che le opere dell'artista “bucavano le pareti”.
Dal canto suo Manet, stanco delle critiche, organizzò, avendone i mezzi, una nuova mostra personale come aveva fatto Courbet, in cui ribadiva che “non aveva mai voluto protestare, ma che la protesta era rivolta contro di lui”. Purtroppo, anche questo fu un insuccesso perchè il pubblico non capiva il suo modo di essere antiretorico. Tuttavia, alcuni pittori come Monet, Pizzarro, Sisley, Cézanne e Bazille, ne ammiravano la naturalezza, la pittura fluida, l'indipendenza dai temi accademici. A questi presto si aggiunse Berthe Morisot, che lo aveva affascinato come pittrice e come donna, lei che era la più impressionista tra gli impressionisti, conosciuta fin dal 1868, una giovane e avvenente pittrice di talento che aveva studiato con Corot e che da tempo ammirava le sue opere. Berthe cercò la sua guida e la sua amicizia e cercò di persuaderlo a dipingere en plein air. Tra di loro vi fu subito una grande attrazione: Edouard le chiese spesso di posare per lui, fino a quando la pittrice decise di sposarne il fratello Eugène, col quale ebbe una buona intesa e dalla quale nacque la figlia Julie, molto amata.
L'esperienza del Salon, a cui partecipò con il ritratto di Zola, lo vide finalmente accettato insieme ai nuovi amici, anche se le loro opere furono esposte molto in alto e poco fruibili dal pubblico.
Nel 1869 espose al Salon Il balcone, in cui la principale protagonista era Berthe Morisot: vi sono presenti chiari riferimenti a Velasquez. Intanto la sua tavolozza si andava schiarendo, anche per l'influenza di Berthe e insieme alla tavolozza più chiara adottava inquadrature meno statiche.
Col tempo cominciava a farsi conoscere una piccola rete di gallerie private, tra cui il gallerista Durand-Ruel era un avanguardista che riconosceva il talento di Monet e che acquistò sue opere, come quelle di Pizzarro, Degas e Sisley.
Ma fu soprattutto colpito da Manet da cui acquistò 23 opere che pagò 35.000 franchi. Anche il famoso cantante Faure acquistò diverse opere sue, ammirandolo. Il gallerista inoltre organizzò esposizioni, ma anche questa iniziativa non ebbe successo. Manet espose nuovamente al Salon il Bon Bock che finalmente fu accolto con successo e le sue opere si cominciavano a vendere. Durand-Ruel avendo comunque azzardato troppo con i nuovi pittori, ben presto si trovò in cattive acque, avendo investito senza riscontri. Mancò il suo aiuto agli Impressionisti, sempre in cattive acque, dal momento che non venivano ancora apprezzati, per cui essi decisero di riunirsi nella Società Anonima degli Artisti per esporre autonomamente: Manet non volle partecipare, soprattutto perchè considerava troppo rozza la pittura di Cézanne e non voleva esporre accanto a lui.
Inoltre, era sempre convinto e lo ribadiva, che ci si doveva misurare col Salon, che rimaneva ai suoi occhi il vero campo su cui misurarsi. Cercò anche di dissuadere Degas, Renoir, Monet e la Morisot a esporre, ma non fu ascoltato. D'altra parte, aveva avuto ragione perchè la Prima Esposizione Impressionista, nel 1874, fu considerata quasi uno “scherzo” dal pubblico ed ottenne nette stroncature dai critici.
Manet, anche se non esponeva con loro era considerato il loro capo-gruppo da quasi tutti i critici: a quei tempi il suo nome era ancora spesso confuso con quello di Monet.
Egli espose La ferrovia al Salon che ebbe ancora una volta una pessima accoglienza: gli si rinfacciava di “accontentarsi dell'impressione” accomunandolo agli impressionisti.
Manet era comunque assai vicino a loro e insieme a Monet, Renoir e Morisot, andava a dipingere ad Argenteuil “en pleine air”: col tempo si avvicinava sempre più alle loro convinzioni pittoriche, immergendo i suoi dipinti in una luce che fino ad allora gli era stata estranea e continuando a schiarire la tavolozza di lavoro in lavoro.
Appoggiò anche gli amici quando organizzarono un'asta delle loro opere all'Hotel Drouot, spinti dalla necessità di vendere: ma fu una catastrofe. Manet arrivò ad ospitare le loro opere nel suo studio per venderle e ne acquistava quando Monet o altri erano in cattive acque.
L'opera che presentò al Salon l'anno successivo, Argenteuil fu comunque stroncata da tutti, persino dal suo amico Zola.
Anche l'anno successivo due sue tele, inviate al Salon, furono respinte, per cui Manet, che ancora una volta si era rifiutato di esporre nella Seconda Mostra Impressionista, organizzò una personale nel proprio studio che fu visitata da migliaia di persone.
Ma fu ancora una volta criticato come ribelle dalla stampa. Spirava però un vento nuovo e le opere esposte da altri artisti al Salon cominciavano a subire l'influenza degli impressionisti, Monet era comunque in condizioni così precarie che Manet fu costretto ad acquistare 10 suoi quadri per salvarlo dall'indigenza più completa. I suoi lavori erano ancora considerati dal pubblico alla stregua di scarabocchi.
Al Salon del 1877 Manet si vide respingere Nanà, il cui tema era una prostituta ispirato al romanzo popolare di Zola.
Stanco di sottomettersi alle giurie, cercò di vendere all'asta le sue opere, ancora una volta senza ottenere risultati: fortunatamente non aveva problemi economici, avendo avuto l'eredità del padre.
Il critico Huysmans lo difese in un articolo che parlava di Nanà, così come difese gli impressionisti. Nel 1879 due sue opere furono accettate al Salon In barca e Nella serra: opere fortemente influenzate dagli amici impressionisti: ma l'accoglienza fu assai tiepida.
Nel 1880 fu nuovamente accettato al Salon, ma la sua salute andava ormai deteriorandosi, mentre la sua posizione artistica si stava finalmente consolidando e i critici lo inneggiavano per non aver aderito alle esposizioni impressioniste. La vera differenza con loro era di aver sempre cercato i consensi ufficiali, più che esposto con i dissidenti. Inoltre, le sue opere non suscitavano più lo scalpore dei primi tempi. Ma ciò che lo favorì fu il fatto che l'amico d'infanzia Proust venne designato dal presidente del Consiglio Gambetta, ministro delle Belle Arti. Di conseguenza Manet venne premiato al Salon con una medaglia di II classe e divenne cavaliere della Legion d'Onore.
Ora la giuria del Salon non era più gestita dagli accademici, ma da una società di artisti. La sua salute peggiorava, quando, nell'ottobre 1882, espose il suo ultimo quadro Un bar alle Folies Bergéres, oggi considerato il suo capolavoro. L'opera rappresenta una cameriera di un bar che tra lo scintillio di bottiglie e bicchieri, che si moltiplicano negli specchi, volge lo sguardo dal bancone: racchiude il mistero che ognuno di noi può decifrare a modo suo, occhi malinconici e tristi che non guardano da nessuna parte, è la malinconia stessa del pittore per la sua esistenza, sempre contrastata, della sua arte incompresa, anche se viva e feconda e c'è il presentimento della morte, la certezza del buio. Infatti, l'artista morì l'anno successivo, dopo una cancrena e l'amputazione del piede sinistro, conseguenza della sifilide. Soffrì terribilmente.
Il valore di questo ultimo lavoro non fu subito riconosciuto ed egli, amareggiato scrisse: “Non mi spiacerebbe, da vivo, leggere l'articolo strabiliante che mi consacrerà da morto!”.
E aveva ragione, poiché le sue quotazioni cominciarono a salire e subito dopo la morte, si tenne una grande retrospettiva all'Ecole des Beaux Arts su pressione di Proust. Nel tempo le sue opere continuarono a lievitare.
Manet era l'esatto contrario di un dissidente, non volle unirsi ai realisti né agli impressionisti: era però conscio del proprio ruolo di innovatore che voleva imprimere una svolta alla pittura francese, ma non voleva rinnegare la tradizione, voleva legittimare, ricorrendo all'eredità dei grandi maestri, la ricerca di uno stile personale che esprimesse l'essenza della contemporaneità. Questa scelta scardinava i canoni della pittura da Salon, piacevole decorazione in cui il nudo era giustificato solo attraverso rievocazioni storiche o mitologiche.
Sposò la teoria di Baudelaire della rappresentazione della vita moderna cittadina: il suo stile pittorico sintetico, giocato sulla contrapposizione di luce/ombra era ben diverso dall'arte accademica.
Non stravolse mai il proprio linguaggio espressivo e rimase fedele all'uso del nero, bandito dagli impressionisti, che rese particolarmente brillante, pur essendo un colore neutro.
La sua pittura è lo snodo tra Realismo e Impressionismo, un episodio unico, fuori da ogni movimento, fondamentale per il rivoluzionario cambio di rotta della pittura francese alla fine dell'Ottocento.
Solo a morte avvenuta si alzarono i cori unanimi dei riconoscimenti. Manet non fu mai veramente un impressionista, ma Renoir ebbe a dire: “Manet era per noi tanto importante quanto Cimabue o Giotto per gli italiani del Rinascimento”.
Ebbe sicuramente la gioia della sua pittura, affetti sicuri ed amici accanto, ma anche continue, umilianti delusioni che non lo scoraggiarono mai, anzi fu lui che diede l'impulso iniziale allo sviluppo dell'Impressionismo.