Raccontare Roma è praticamente impossibile. Si rischia di essere troppo superficiali o troppo critici. Ma la forza di Roma sta proprio on questo. Caos e amore. Odio e ragione. Sentimento e disprezzo. Degrado ma anche arte a piene mani. Mi domando se ci teniamo ancora a questa città.
Ho provato a decifrare tutti i suoni e tutte queste influenze ed ho scoperto che la risposta non è visibile al primo impatto. È nascosta in diversi strati, come una torta multicolore e multi-sapore, assemblata da maestri pasticcieri diversi. Provo a cercarla meglio.
Il primo strato è il marciapiede. Clochard e barboni. Disperati cercano rifugio: che farei io al posto loro? Dormirei contento come fanno loro nella metro, o mi fermerei sulla piazza a leggere ogni giorno un libro? A piazza della Pilotta c'è un signore distinto che vicino al Collegio Istituto Biblico legge ogni giorno con la sua lampadina artificiale agganciata agli occhiali. Così con dignità piena, senza che nessuna avversità lo scalfisca. Senza che il lusso dei palazzi intorno possa distoglierlo dal suo obiettivo; curare l'anima più del corpo. Lo ammiro tanto, anzi gli sono grato.
Un altro ragazzo africano su via del Muro Torto scrive ogni giorno i suoi appunti, ma i suoi viaggi sono tutti passati; ora è lì prigioniero ma al sicuro. Il suo posto è la sua casa, il suo rifugio, ma anche la sua prigione. Nei suoi appunti forse c’è tutta la sua vita, che ora guarda correre e sfrecciare automobili incuranti di lui e del tempo che scorre su tutti noi in modo differente.
Bisogna fare di più per questa povera gente con concretezza e non solo a Natale; le luci di questa città possono essere accecanti invece che bellissime per chi non ha nulla.
Il secondo strato: caos e sporcizia. Questa cosa è forse più bizzarra raccontarla che vederla perché… insomma non c’è un vero perché. Tutti sappiamo che le grandi città sono in gran parte molto sporche, penso a New York, a Parigi che vantano come noi grandi punti di bellezza e di interesse, ma in alcuni quartieri la sporcizia offusca tutte queste bellezze e non sembra nemmeno di essere in una città famosa.
Ebbene, perché Roma dovrebbe fare la differenza? Siamo noi che – ripeto - non ci teniamo più? Una canzone di Pino Daniele, napoletano Doc, ma romano di adozione (tutti sanno che viveva a Roma con la famiglia) diceva che la sua città era anche rappresentata da “na carta spuorca e nisciun’ se n’emporta”, per dire che il degrado sta già in noi che buttiamo la carta, la bottiglia, significa questo che siamo diventati sporchi dentro… Senz’altro dobbiamo ricuperare un senso civico più alto e nobile, facendo tutti qualcosa anche nel nostro piccolo.
Il terzo strato: la gente e la romanità. Queste cose sembrano essere indissolubili ma non è così. I romani si aiutano, fanno squadra, ti danno del tu come se ti conoscessero da sempre; i romani – proprio ad imitazione degli antichi - prima ti circondano col loro amore poi invadono, in senso buono, tutti gli stereotipi e così l’essere umano sobrio e distaccato e a volte un po’ troppo snob, viene reso “normale”.
Sì, i romani “accorciano” le distanze sociali essendo gentili sempre pronti alla battuta, ma non nel senso superficiale della cosa, ma perché il romano è così: scanzonato, fatalista, allegro, arrendevole, diplomatico, ruffiano, autoironico e anche un po’ fifone; insomma un po’ Alberto Sordi e un po’ mio padre e poi di Rambo e Rocky siamo già abbastanza stufi.
La romanità è contagiosa, si tramanda, si attacca come una seconda pelle che poi diventa la prima una specie di Matrix al contrario. Per dire: mia moglie è americana ma si contorce dalle risate quando mi esprimo in romanesco e le faccio il paragone con espressioni omologhe in inglese, perché anche lei riconosce, sbellicandosi che il romanesco è quantomeno più colorito…(!). E io le dico: “Lo vedi? In inglese questa espressione fa il solletico! Non ha grip, il senso non arriva! Per ovvi motivi di censura non farò nessun esempio esplicito, ma basta guardare un famoso sketch di Gigi Proietti per morire dal ridere.
Si trova ancora questo strato sociale di cordialità e fratellanza? Sì, ma mi dispiace un po’ dirlo, si trova solo nelle persone anziane e questo vuol dire che questa qualità si sta forse perdendo del tutto. Noi adulti quindi abbiamo un dovere morale nel poterlo insegnare ai nostri figli e riderne con loro.
Il quarto strato: la bellezza e la forza dell’arte. Tengo a precisare che – pur essendo un estimatore di Paolo Sorrentino non riesco a vedere per intero il film La grande bellezza, per cui non potrei dire di cosa parla veramente ma, conoscendo un po’ il modo narrativo di Sorrentino credo che restringere tutto ad una sola chiave di lettura sia veramente riduttivo; sicuramente c’è un significato che rimane a galla, ben visibile per poi nasconderne un altro che sta più in fondo.
Quindi, partendo da questo presupposto, mi piace definire che la grande bellezza di Roma, sia nel fatto che tanta arte concentrata in un solo luogo, unico al mondo sia un messaggio potente.
Credo che tutti gli artisti che si sono impegnati e - a volte - si sono dati battaglia qui a Roma, ci vogliano tramandare il messaggio che se siamo capaci di tanta meraviglia e tanta bellezza appunto, dovremmo anche essere in grado di salvaguardare questa nostra città.
Il genio artistico è il nostro medico e le opere che produce sono i nostri farmaci salvavita per così dire. La statua del Mosè di Michelangelo nella chiesa di S. Pietro in Vincoli per esempio: molti stranieri, ma purtroppo anche molti italiani, non ne conoscono l’esistenza. Eppure, è lì, senza una teca che la protegga, a soli 2/3 metri da un possibile atto vandalico (!) eppure, è lì davanti a noi e sembra voglia parlare!!
Ho fatto notare a mia moglie che quella statua è viva; la perfezione di questa scultura si vede nella dinamicità dei muscoli che Michelangelo ha scolpito; ha impresso così tanta forza in quelle braccia che sembrano più reali di un uomo in carne ed ossa. Io vedo addirittura il sangue scorrere nelle vene di Mosè tanto è perfetto e a volte, vi giuro, l’ho vista respirare!
Tutto questo, quindi, a che scopo? Allo scopo certamente di non dimenticare ma soprattutto allo scopo di conservare questa bellezza a dispetto del caos e del disordine, a dispetto del traffico ossessivo, a dispetto del degrado anche personale, affinché l’arte ci serva come propellente per spingerci a fare meglio di quanto facciamo oggi.
Perché sì, Roma è una eterna contraddizione, sempre in lotta con se stessa, ma tutta questa arte forse non salverà il mondo, ma il senso di appartenenza che genera in tutti noi dovrà essere superiore a qualsiasi problema, sempre.
Il quinto strato: i vicoli e i tetti del centro. Dall’alto dei tetti del centro di Roma, ho percepito, una sera d’estate che, come il profumo di un buon odore sale verso l’alto, anche l’atmosfera di Roma si percepisce meglio quando è notte; tutta la magia di questa città antica e pazza sale verso l’alto e rimbalza tra un tetto ed un abbaino tra via Margutta e via del Babuino, tra via di Gesù e Maria e via della Penna e giù all’infinito fino a via del Pellegrino e più giù ancora fino a via Giulia.
Poi nostri amici gabbiani - che a volte ridono di noi, la portano fino ai vicoli di Trastevere per poi riportarla indietro di giorno fino alle 5 del mattino quando Roma si sveglia, urlando tutte le sue contraddizioni e una nuvola bianca rende sospesa l’atmosfera di un’altra giornata. Che si preannuncia drammatica ma bellissima.