La pandemia che negli ultimi due anni ha costretto tutti quanti a limitare gli spostamenti ed i viaggi ma in compenso, questo tempo sospeso, mi ha dato la possibilità di osservare con maggiore attenzione alcuni dettagli della mia bella città, Modena.
Mi trovo nella pittoresca piazzetta del centro storico in cui si affaccia in modo discreto la piccola chiesa di Santa Maria della Pomposa, alla quale mi lega un affetto particolare essendo nato e cresciuto in via Ramazzini, a pochi passi dalla piazzetta omonima nella quale passavo ore con gli amici, dall’infanzia fino all’età adulta, a parlare e giocare attorno alla fontana o seduti nel muretto del museo muratoriano. Più volte siamo entrati nel cortile alberato di quella che fu l’abitazione, ora museo, di Ludovico Antonio Muratori (Vignola 1672 - Modena 1750), il giurista letterato padre della storiografia italiana che qui studiò e visse fino alla fine dei suoi giorni. Chiesa e abitazione formano un blocco unico denominato Aedes Muratoriana, un’antica isola di mattoni che dalla piazzetta si affaccia sulla via Taglio.
Negli ultimi tempi mi aggiro spesso in quella specie di piccolo borgo nel cuore della città, oggi ricco di bar e luoghi di ristoro fuori dal traffico cittadino, dove si ascolta il rumore di una socialità di parole e musiche di fondo da diventare un punto nevralgico della movida modenese.
Qui la chiesetta della Pomposa apre le sue porte fino a tarda sera, quasi ad invitare in questa oasi spirituale i passanti ed i curiosi che vengono da altre città, ma anche quei cittadini che desiderano lanciare un saluto al volo a qualche santo con una preghiera.
Quando attraverso la piazzetta entro regolarmente in questa riserva di pace e riflessione attratto come da una calamita. Non mi attrae solo l’imponente presenza del monumento funebre al Muratori e l’interesse storico, artistico e culturale che riveste il complesso religioso, ma nell’immediato è soprattutto quell’aria informale e quel dolce e pervasivo sfondo musicale che mi cattura appena entro e fa da catalizzatore irresistibile. È una sinfonia di organi che avvolge il visitatore e per un attimo lo conduce altrove, in un luogo che eleva lo spirito, pervaso da un’atmosfera decisamente piacevole che dà solennità e fascino alla minuscola chiesa.
In quella gradevole chiesetta di recente ho notato un ordine particolare nella scenografia dell’ambiente che ha suscitato il mio interesse. Ne ho avuto conferma quando lo scorso autunno, appena entrato, ho acceso una candela nel primo altare a sinistra. Sono solo e mi distraggo un po’ ad ammirare i dipinti di Bernardino Cervi (1586-1630) e Francesco Vellani (1688-1768), che hanno per tema il ciclo della vita di San Sebastiano, e quando torno all’altare ravviso che la “mia” candela non c’è più. Sparita. Guardo attorno, la vedo in un altare diverso e noto subito che non sta male nella nuova collocazione: due candele lunghe ai lati e tre già consumate ma alte uguali allineate nel mezzo. Guardo meglio. In ogni altare mi colpiscono le candele posizionate sui candelieri in modo ordinato e simmetrico che non può essere un fatto dettato dal caso. Inizio, quindi, ad osservare il custode che ogni tanto sbuca dalla sacrestia proprio per dare ordine a questa sua esigenza estetica. Non importa se un fedele dedica una candela a questo o quel santo, in breve passa lui e decide dov’è meglio posizionarla creando un concerto d’insieme per me straordinario. Le sposta da un altare all’altro senza considerare a chi il donatore ha rivolto le sue preghiere ma dando priorità all’armonia nel suo insieme che ama esprimere in questo modo.
Senza conoscerci, per mesi abbiamo comunicato attraverso la sistemazione estetica delle candele: posizionavo la mia candela dove capivo che c’era “un buco” da riempire e al custode andava bene così, le mie non le spostava più e, a sua volta, era ora il custode stesso ad essere colpito da quel qualcuno che condivideva l’ordine da lui creato e curato. Era tutto sottinteso finché la curiosità ha avuto la meglio e ho sentito il bisogno di dialogare con lui per conoscerlo di persona, il quale senza problemi confessa candidamente: “È una mia mania, non posso farne a meno, è più forte di me!”. Si chiama Marzio, persona amabile e piena di vitalità. Lamenta che purtroppo in questa chiesa entra sempre meno gente, segno di una profonda crisi morale che Marzio avverte sulla pelle. Parlando con lui ho percepito una sensibilità che va oltre la gestione del suo ruolo, particolarmente attento alle atmosfere determinate dall’ambiente e dalle persone.
La chiesa è dedicata a San Sebastiano e il suo nome deriva dall’Abbazia della Pomposa vicino Comacchio. La facciata risale ad epoca medievale, la casa retrostante ai primi anni del ‘700 mentre nel 1923 l’intero complesso è stato dichiarato monumento nazionale. Nel presbiterio, alle spalle dell’altare maggiore, è collocato il pregevole dipinto Beata Vergine coi santi Sebastiano, Geminiano e Rocco ad opera del prolifico Jean Boulanger (1606-1660), copia dell’originale del Correggio che si trova a Dresda.
Questa è la casa di Marzio, l’uomo che in maniera mirabile sposta le candele da un altare all’altro e manifesta così il suo estro creativo dando vita ad un armonico gioco di piccoli fuochi che illuminano la penombra di un ambiente solenne e ricco di storia. È il suo modo di esprimere e trasmettere bellezza e spiritualità, equilibrio e serenità attraverso la sua personale idea della perfezione giocando con le luci.