Dal principio dei tempi, la storia dell’umanità nasce e si evolve su un concetto fortemente radicato nel DNA umano, quasi come un gene, quello del nomadismo. I primi passi sulla Terra della nostra specie sono stati mossi per esigenze di sopravvivenza, inizialmente in maniera del tutto istintiva, animalesca, e la successiva Rivoluzione Cognitiva ha segnato una netta differenza fra la specie umana e gli altri mammiferi presenti sulla Terra, gettando le basi per la prima economia di sussistenza che ha persistito per settantamila anni.

Quando le prime forme di vita sono comparse sul nostro Pianeta, esse hanno iniziato a coesistere con l’ambiente circostante fino a creare un equilibrio, l’ecosistema. Dentro vi eravamo anche noi, o perlomeno i nostri antenati, le popolazioni di cacciatori-raccoglitori. Ciò che ha permesso la sopravvivenza della nostra specie è un fattore importante che spesso viene omesso, sfruttato e sviluppato come una capacità, ovvero quella del nomadismo.

Durante la Rivoluzione Cognitiva, i primi gruppi di Homo Sapiens iniziarono a spostarsi dal continente africano fino a raggiungere le terre dell’Eurasia, alla ricerca di terreni più fertili o adatti alla loro sopravvivenza. Queste correnti migratorie hanno permesso la sopravvivenza e l’evoluzione della nostra specie. C’è da chiedersi cosa abbia fatto la differenza fra l’Homo Sapiens e le altre specie di ominidi nello sviluppo della specie; la risposta è il nomadismo, la capacità di spostarsi e adattarsi in maniera cooperativa.

Per migliaia di anni, la specie umana ha solcato terre mai visitate fino ad allora, modificando il proprio DNA nell’adattarsi a climi, ambienti e circostanze totalmente diverse da quelle vissute prima di allora. Gli spostamenti non furono solo via terra, abili navigatori furono in grado di sviluppare le prime imbarcazioni per raggiungere le isole più lontane.

La Rivoluzione Agricola ha cambiato il modo di vivere della nostra specie, sempre gruppi più piccoli si stanziavano creando il loro “piccolo mondo” all’interno di piccoli territori, si iniziò a lavorare la terra e l'idea di spostarsi alla ricerca di cibo venne accantonata. Ma anche qui il concetto di nomadismo non scomparve, anzi prese una connotazione diversa. L’uomo continuava a spostarsi alla ricerca di terreni fertili da coltivare, da lavorare, e quando Madre Natura non lo permetteva, egli si muoveva alla ricerca di un punto migliore. Difatti nella sua etimologia il termine significa “pascolare”, ossia allevare animali e al contempo muoversi nello spazio.

Ma, se fino a qui è stata data una teoria scientifica e razionale, bisogna fare un lungo passo in avanti fino ai giorni nostri per riuscire a comprendere questo fenomeno dal punto di vista sociale, quasi psicologico. Per secoli, le popolazioni hanno sviluppato sempre più la capacità di stanziamento, fondando le proprie radici in specifici luoghi sulla Terra, costruendo strade, ponti ed erigendo città, ma rimane un certo fascino verso quelle popolazioni che mantengono uno stile di vita nomade. In Mongolia, i popoli delle steppe hanno sviluppato un elevato nomadismo, i Tuareg che popolano le aree desertiche dell’Africa vivono questo “stile di vita” che ha permesso loro in passato di dominare le rotte carovaniere nel commercio del sale. I beduini del Nord-Africa hanno origine in Tunisia, ma persistono in tutta l’Africa Settentrionale e nel Medio Oriente.

Perché parlare di fascino se nell’uso comune il termine “nomade” ha una connotazione negativa? Nel gergo comune, il termine nomade attribuito ai popoli romaní ha una connotazione dispregiativa, quasi medievale; seppur esso debba indicare lo stile di vita di queste popolazioni, al contrario viene associato ad un intento discriminatorio, quasi a sottolineare costrutti sociali errati, come l’essere vagabondo o non avere una stabilità caratteriale ed umana. Inoltre, viene erroneamente usato in quanto le popolazioni romaní, seppur in passato caratterizzate da costanti spostamenti, ad oggi sono stabilizzate nei Paesi in cui vivono.

Negli ultimi anni, questo fenomeno ha preso una piega assai diversa; le nuove generazioni hanno iniziato ad adottare questo spirito e le motivazioni sono diverse: la pandemia mondiale ha insegnato come tutto sia così mutevole e le società hanno spostato l’attenzione verso la salvaguardia del benessere mentale, oltre che fisico, curando sempre di più l’attenzione a una scelta di vita alternativa. La stabilità annoia, le persone si riversano alla ricerca di esperienze uniche e raccontabili, trasformando queste idee in stili di vita. Lasciarsi alle spalle le “vite precedenti” rimettendosi in gioco per sentirsi liberi. Libertà, questa è la parola che si incastra con il concetto di “nomadismo moderno”, un nomadismo digitale, per chi sceglie di lavorare online attraverso mansioni sempre più digitalizzate (negli ultimi anni sono sempre di più i lavori e le posizioni aperte digitali richieste) e un nomadismo fisico, per tutti coloro che scelgono di spostarsi da un luogo all’altro per pura scelta d’animo.

Slegarsi dalle sicurezze alla ricerca di esperienze di vita, per arricchire il proprio bagaglio di esperienze e poterle raccontare, per comprendere quanti più aspetti di noi stessi non conosciamo se non stimolati in contesti diversi, per mettersi in gioco, questa potrebbe essere una definizione empirica di nomadismo. E cosa c’è di meglio se non riportare per iscritto quanto citato sopra, magari in un diario personale come fedele compagno di viaggio?