L’attività venatoria che fa uso di munizioni al piombo costituisce in Europa una grave minaccia per aquile e avvoltoi. Questi rapaci, infatti, si nutrono delle carcasse contaminate, esponendosi al rischio di saturnismo acuto - o intossicazione da piombo. È quanto emerge da una ricerca promossa da ERSAF – Parco Nazionale dello Stelvio e dalla Provincia di Sondrio, condotta in collaborazione con ISPRA e con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia-Romagna “Bruno Ubertini”. Lo studio è stato spunto per la petizione “Stop al piombo sulle Alpi”, portata avanti da una rete indipendente, che ha raccolto tutti i contributi scientifici sul tema.
Tutti i dettagli sulla ricerca per voce di Enrico Bassi, naturalista e consulente esterno di ERSAF – Parco Nazionale dello Stelvio, coinvolto in prima persona nello studio.
Come è nata la ricerca e come si sono svolte le analisi?
La ricerca è nata nel 2008, il 23 dicembre. Un gipeto, rilasciato nell’ambito del progetto internazionale di reintroduzione sulle Alpi, si lascia catturare esausto dopo aver sostato sui tetti del paese di Rabbi (Trento). Gli facciamo un campionamento di sangue: presentava livelli altissimi di piombo. Lo mandiamo a un centro qualificato, dove viene curato per qualche mese, dopodiché viene nuovamente rilasciato. Nell’inverno successivo, l’animale muore in Svizzera. Non ci vengono restituiti gli organi interni, ma solo un pezzettino di osso: lo analizziamo, conteneva 60 mg/kg di piombo. Per diagnosticare una tossicità critica ne basterebbero 10.
Abbiamo intrapreso insieme alla Provincia di Sondrio una vasta ricerca per capire quanto fosse forte il rischio di saturnismo nei grandi rapaci necrofagi (avvoltoi quali gipeto, grifone, capovaccaio e avvoltoio monaco) e parzialmente tali (aquila reale) sulle Alpi, Appennini, Massiccio centrale e Pirenei francesi. Una cinquantina di partner ci hanno fornito campioni di osso, fegato, rene e cervello. In 12 anni abbiamo recuperato 250 carcasse, per un totale di 600 campioni. Il 44% era contaminato in maniera cronica o acuta da piombo venatorio.
Ha fatto da apripista una ricerca che la Provincia di Sondrio, ERSAF Lombardia e il Parco Nazionale dello Stelvio hanno portato avanti nel biennio 2010-2012, con la collaborazione dei Comprensori alpini di caccia della Valtellina e della Valchiavenna. A questi ultimi abbiamo chiesto di fornirci, a titolo sperimentale, i visceri di ungulati regolarmente abbattuti nella stagione di caccia. Abbiamo così raccolto 130 visceri distribuiti tra cervo, capriolo, cinghiale e camoscio. Il 63% è risultato contaminato da microschegge di piombo. Nei visceri di cinghiale e cervo, la percentuale era del 50%, mentre nei visceri di capriolo e camoscio superava il 75%.
Ogni volta che un camoscio sull’arco alpino viene abbattuto da un cacciatore, 3 volte su 4 i suoi visceri sono altamente contaminati da schegge di proiettile in piombo e restano sul terreno. Moltiplichiamo questo dato per i 136.000 ungulati abbattuti ogni anno in Nord Italia. Immaginiamo il rischio che un’aquila reale, un gipeto, un grifone, un corvo imperiale, siano attratti da un ammasso di visceri, rossi sullo sfondo bianco della neve, nel periodo invernale in cui c’è poco cibo. Se si trovano in una zona di caccia, dove 2-3 giorni a settimana i cacciatori lasciano esposte le viscere degli animali che abbattono, la seconda o la terza volta che vanno sulle viscere c’è quasi la matematica certezza che ingeriscano piombo.
Come è stata la reazione dei cacciatori?
Una prima obiezione dei cacciatori è che, sparando al cuore o in testa, cioè ai target point usati per andare a segno nell’abbattimento, i visceri non possono essere contaminati. Ma siamo così sicuri che tutti gli animali colpiti da arma da fuoco vengano recuperati? La risposta è no: solo in alcune province italiane vige l’obbligo di utilizzare un cane da sangue per recuperare il capo che si ritenga abbattuto o soltanto ferito. Ma, anche nel caso in cui questo obbligo sia in vigore, se l’animale cade in un salto di roccia, o se fa alcuni chilometri, o se piove e per qualche giorno il cane da sangue non viene portato fuori, l’animale può morire e la sua carcassa viene consumata. Ci sono tantissime specie, non solo ungulati ma anche uccelli, fagiani e lepri, che, dalla pianura alla montagna, se abbattuti con proiettili tossici possono determinare episodi di contaminazione da piombo, e non soltanto nei giorni in cui è aperta la caccia, ma in tutto l’anno, se questi conducono vita libera con pallini incistati sotto cute.
I cacciatori, per offrire una soluzione, solitamente si propongono di sotterrare i visceri oppure di conferire l’animale intero al punto di controllo. Premesso che quest’ultimo non è obbligatorio per tutte le province italiane, nessuna di queste due pratiche è sufficiente per arginare il problema: lo dimostra un semplice dato. Ai cacciatori di ungulati sondriesi, dal 2012, sono state offerte tre possibilità: sparare con munizioni atossiche (in rame) o, in alternativa, sotterrare i visceri sul luogo di abbattimento o conferire l’animale intero al punto di controllo. Molti hanno disatteso l’obbligo, complice il fatto che gli agenti provinciali deputati al controllo sono in numero esiguo e senza contare che gli animali possono anche dissotterrare i visceri per nutrirsene. Risultato: dal 2012 al 2019 il numero di aquile reali intossicate da piombo nel Sondriese è raddoppiato rispetto ai 7 anni precedenti.
C’è da dire che non tutti i cacciatori sono avversi. Ci sono centinaia di cacciatori in Italia che da anni utilizzano palle monolitiche in rame, completamente atossiche. Il paradosso è che, mentre a livello europeo impieghiamo ogni anno risorse considerevoli, dell’ordine dei milioni di euro, per attivare speciali misure di conservazione degli uccelli selvatici, allo stesso tempo lasciamo che i cacciatori, per un’attività hobbistica, utilizzino proiettili che possono uccidere o intossicare quegli stessi uccelli. Perché il piombo, che è un elemento di scarto eliminato da quasi tutti i settori produttivi, deve essere ancora utilizzato per la caccia? Se il mondo venatorio facesse sua questa battaglia, renderebbe la caccia più sostenibile dal punto di vista ambientale. Questa non è una sfida per osteggiare i cacciatori.
Quali passi avanti sono stati fatti? Quali altri obiettivi devono essere raggiunti?
Il Parco Nazionale dello Stelvio, in provincia di Bolzano e di Sondrio, nell’ambito del piano di controllo del cervo (presente in numero tale da compromettere gli equilibri interni agli ecosistemi), ha aperto le porte a cacciatori esperti, che, previo superamento di un esame, potevano partecipare attivamente in qualità di controllori. Sono stati abbattuti 3300 capi, usando esclusivamente proiettili in rame. Una ricerca sui capi abbattuti ci ha permesso di dimostrare che l’efficacia dei proiettili in piombo e in rame è identica sulle brevi distanze (entro i 300 m) così come il numero di animali recuperati entro 50 m dal luogo di abbattimento.
Fuori dai parchi, sono le province che dovrebbero adottare divieti ferrei: i confini amministrativi vengono superati dai gipeti e dalle aquile ogni giorno, più volte al giorno, dentro e fuori dalle zone dove la caccia è vietata. Per di più, in molti parchi regionali l’attività venatoria è concessa: ciò significa che i rapaci presenti al loro interno sono ogni giorno a rischio di intossicazione da piombo.
La soluzione è una sola: rimuovere il piombo dalle munizioni di caccia, iniziando da quelle usate per gli ungulati, seguendo il divieto già approvato dal Parlamento Europeo per le munizioni usate nella caccia agli uccelli acquatici, che entrerà in vigore nel 2023.