Dopo aver letto il testo Revitalizing Endangered Languages1 di Justyna Olko e Julia Sallabak, ho iniziato a riflettere su un argomento di cui avevo spesso sentito parlare in ambito linguistico – ad esempio, durante i miei studi o tramite ricerche personali – ma che non avevo mai veramente approfondito: la rivitalizzazione delle lingue. Tra i numerosi concetti che ho incontrato nel testo, due hanno particolarmente attirato la mia attenzione e mi hanno portato a riflettere: l'ideologia linguistica e l'atteggiamento linguistico.
Sono stata particolarmente colpita dalla loro importanza nell'ambito della linguistica, e soprattutto dal fatto che sono fortemente legati alle lingue minoritarie e al processo di rivitalizzazione.
Con il concetto di ideologia linguistica si intendono "quelle credenze, sentimenti e presupposti sulla lingua che sono socialmente condivisi e che tentano di dare un senso alle diverse forme della lingua e al loro posto nella società... Rappresentano ipotesi su particolari forme linguistiche e su ciò che dicono sulle persone che le usano... In questo senso, le ideologie linguistiche sono strettamente connesse agli stereotipi linguistici, dove le lingue (e le persone che le parlano) possono essere attribuiti come aventi determinate caratteristiche, anche quando queste caratteristiche non possono essere oggettivamente dimostrate". Attraverso questa definizione è possibile comprendere che molte lingue – e di conseguenza molte comunità – sono fortemente influenzate non solo dalla pressione delle lingue dominanti, ma anche da ideologie linguistiche discriminatorie e razziste. La maggior parte di queste comunità comprende le comunità ancestrali e quelle minoritarie.
Tali ideologie discriminatorie sono principalmente legate all'idea che certe lingue non abbiano valore economico, il che nella maggior parte dei casi porta le persone che le parlano a mettere in dubbio la loro utilità. Devo ammettere che non mi ha particolarmente sorpreso il fatto che una delle ragioni di tale discriminazione sia legata al concetto di valore economico, che al giorno d'oggi sembra avere, mi correggo, ha, più importanza di quella che – secondo me – dovrebbe avere. Mi avvilisce pensare che milioni di comunità nel mondo siano costrette a veder scomparire le loro lingue solo perché non sono considerate uguali alle altre o perché non hanno abbastanza potere in campo economico. Un potere che, a pensarci bene, è stato loro tolto con una violenza molto più che visibile nei secoli precedenti di storia e di appropriazione territoriale. Anche se credo che il concetto di potere sia di grande importanza e debba essere studiato attentamente, nel campo della linguistica e non solo, sono anche dell’idea che esso sia molto sopravvalutato, o meglio, che gli si dia un significato sbagliato rispetto a quello che gli si dovrebbe dare – e questo soprattutto nella società dominante. Mi rattrista e mi fa arrabbiare pensare che alcune lingue – le cosiddette standard – siano considerate più importanti di altre, e soprattutto che i governi, pur essendo consapevoli che molte comunità vengano discriminate a causa della loro lingua, non fanno nulla, o almeno non si impegnano abbastanza, per cambiare questa situazione inconcepibile.
Durante la lettura, anche i concetti di "ideologia dell'autenticità" e "ideologia dell'anonimato" hanno attirato la mia attenzione. Quest’ultimo mi ha riportato indietro nel tempo, ricordandomi l'atteggiamento che io stessa avevo nei confronti della mia lingua locale e di cui, col senno di poi, non vado particolarmente fiera. Durante la mia infanzia/adolescenza, infatti, ho sempre rifiutato di parlare la lingua della mia regione, e questo nonostante il fatto che nella mia famiglia fosse spesso parlata e anche molto apprezzata. Ancora oggi, dopo aver capito il vantaggio e l'importanza di parlare la propria lingua locale, mi chiedo cosa esattamente abbia causato in me questo senso di disprezzo. Era come se non la considerassi all'altezza dell'italiano standard; come se, parlando il dialetto, mi allontanassi da quell'idea di globalizzazione che tanto mi affascinava.
Sento ancora l'impatto di quella scelta. Non mi sento sicura del mio dialetto e lo parlo poco, ma almeno ho capito che rappresenta un aspetto molto importante della mia cultura e che devo apprezzarlo, non rifiutarlo. Mi chiedo spesso cosa sarebbe successo se la mia famiglia, invece di spingermi a capirne il valore, mi avesse privato di questo beneficio. Avrei perso un legame con la mia terra, una parte della mia cultura e, soprattutto, una parte della mia identità. Dopo tutto, è proprio questo uno degli scopi della rivitalizzazione della lingua, definire e rivendicare la propria identità, individuale e/o collettiva.
Pensare che molte comunità minoritarie vengano private di questo diritto fondamentale, mi fa capire – ancora una volta – qualcosa di cui sono consapevole da tempo, che il mondo è diviso in due gruppi fondamentali: da un lato vi è la società privilegiata, che non deve preoccuparsi in alcun modo di rivendicare i propri diritti in riferimento a una questione come la lingua, che – secondo molti – viene considerata addirittura "frivola"; dall'altro lato, abbiamo le minoranze etniche che lottano con tutte le loro forze affinché la loro lingua – e di conseguenza la loro identità – non venga oppressa dalle società dominanti. In questo contesto, credo che sia anche fondamentale menzionare gli attivisti delle lingue in pericolo, i quali – attraverso numerose attività – si impegnano a proteggere le comunità e la loro lingua, oltre che a cambiare gli atteggiamenti negativi interiorizzati nella società e nei membri delle comunità stesse.
Quest'ultima nozione mi porta a introdurre il secondo concetto menzionato all'inizio, l'atteggiamento linguistico. Gli atteggiamenti linguistici sono considerati un "ponte tra le ideologie e i comportamenti" poiché indicano "le opinioni, le idee e i pregiudizi che le persone hanno verso una lingua o una varietà linguistica". Esistono due tipi diversi, negativi e positivi. I primi possono avere gravi conseguenze per le comunità linguistiche minoritarie, in quanto creano pregiudizi e discriminazioni, portando – nella maggior parte dei casi – all'interruzione della trasmissione linguistica generazionale. Molti genitori, infatti, essendo stati vittime di discriminazioni e razzismo, per evitare che i propri figli vivano la stessa situazione e siano quindi discriminati socialmente, culturalmente e/o politicamente, preferiscono scegliere la lingua dominante e non trasmettere la propria. Questa scelta rappresenta uno dei motivi principali per cui una lingua potrebbe rischiare di scomparire.
I secondi, quelli positivi, possono invece essere considerati come l'unica speranza per il futuro di una lingua minoritaria o in pericolo. È molto importante che questi atteggiamenti non siano solo riscontrati e/o interiorizzati nella società civile ma anche – e aggiungerei soprattutto – nella politica. È infatti essenziale che vi siano delle forti politiche linguistiche, che sensibilizzino le persone e le comunità e facilitino il processo di insegnamento delle lingue minoritarie. Inoltre, anche i media non dovrebbero essere sottovalutati. Hanno il potere di diffondere le lingue minoritarie e la loro importanza a un livello molto più ampio, cambiando così l'idea che le giovani generazioni hanno delle lingue minoritarie, ovvero dall'essere legate a concetti di passato e tradizione, all'essere viste come qualcosa di "moderno" e "cool".
La lingua ha un grande potere. Serve come un importante veicolo non solo per esprimere sentimenti e pensieri, ma anche per costruire l'inclusione e creare e/o mantenere la diversità. Per farlo, però, richiede consapevolezza e comprensione. Il modo in cui ci esprimiamo ha, infatti, un grande impatto sugli individui e sui gruppi sociali. È imperativo riconsiderare la nostra idea di linguaggio, cominciare a capire l'importanza di usare un linguaggio inclusivo e rispettoso, che non implichi stereotipi o discriminazioni. Tutti dovrebbero non solo riconoscere il valore della diversità linguistica, ma anche fare del loro meglio per promuoverla, piuttosto che sopprimerla, perché alla fine, se solo lo volessimo, potremmo indubbiamente attuare alcuni cambiamenti all’interno della nostra società.
1 Olko J., Sallabank J., Revitalizing Endangered Languages: A practical guide. Cambridge-New York 2021.