Volevo iniziare il nuovo anno con un racconto nei luoghi dell'Eros quando:
...ancora mi scioglie le membra
dolce amaro tremendo demone.
Invece scriverò dell'Eros quando...:
mi scuote la mente
come il vento sui monti gli alberi invade.(Saffo, Frammenti)
Al mattino prendo coscienza del nuovo giorno molto lentamente. Ho bisogno, per affrontare i soliti e insoliti eventi quotidiani che mi vedranno quasi sempre perdente e in affanno, di una buona colazione in compagnia della visione degli alberi del giardino e dell'ascolto delle trasmissioni di Rai Radio Tre.
Oggi domenica 2 gennaio 2022 seguo rigorosamente questo rituale e ascolto la lezione di Vito Mancuso (teologo, filosofo) che ha per tema la ricchezza dell'io invisibile al quale aggiungo l'io condiviso, nel corpo, nell'agire, in natura e si rivela nelle relazioni quando queste danno origine all'arte come impatto tra mondo esterno e mondo interno.
E mentre lo ascolto trovo coincidenze con le sue parole, con ciò che sto guardando "fuori" e con quella passione interiore che da troppo tempo porto con me e alla quale non riesco più a dare corpo. Questi momenti sono un luogo di pace perché ultimamente vengo presa da tormenti che giorno dopo giorno rendono la mia vita quasi insopportabile.
Sento che me ne sto andando.
Abbandono lentamente il lavoro della mente in favore di lavori casalinghi e di cura. Lavori che non mi appartengono e che mi creano un vuoto di idee. Mentre li eseguo maledico me e il coniuge che si è abbandonato ad un lungo letargo televisivo. Quello che non mi perdono è il vedermi trascinata nel vortice oscuro di questa casa senza più voglia e desiderio di andare in studio o di uscire per incontrare amiche e amici con i quali fare progetti, ma anche divertirmi. E se dopo una lotta intestina notevole, vado, faccio esattamente quello che avrei fatto a casa, cioè nulla. Per tutta la vita, fin da bambina ho seguito la vocazione al nulla, di ciò che non mi piaceva fare e ora Manlio mi ha di gran lunga superata, lui ha raggiunto la perfezione, non fa proprio più niente di ciò che non gli piace fare e che in lui corrisponde al nulla totale.
Niente di niente.
Alcuni mesi fa ha subito un intervento chirurgico alla schiena e per riprendere, in parte, l'articolazione di una gamba dovrebbe fare fisioterapia. Dopo dieci lezioni, però, ha deciso che erano superflue perché come insegnante di educazione fisica ora in pensione, "sa quello che deve fare", cioè niente. E per fare niente c'è chi, per lui, fa tutto. Tra queste persone ci sono io che ogni tanto mi arrabbio moltissimo e gli sparo parole tremende che vanno dalla preistoria, a un improbabile futuro con particolare riferimento alla società patriarcale in generale e in particolare alle sue responsabilità pubbliche e private; dal passato remoto al presente, qui, per noi due, con assenza di futuro. Se, infatti, si ostina a non reagire e quindi a mantenere salda la sua vocazione al nulla, obbliga me, ad una vita che non mi appartiene, anzi, che mi fa schifo e che mi condurrà velocemente a una fine prematura. Quasi sempre Manlio, in queste mie esternazioni, continua a guardare la televisione e tace, tanto è vero che penso sia diventato sordo.
Si è arrabbiato molto solo quando mi sono chiesta – urlando - perché devo scannarmi e demolire le mie passioni - perché questo mi sta accadendo - per uno che non è neanche un mio parente anzi è, da sempre, un estraneo, meglio; uno sconosciuto. Questa è la mia condizione attuale e nelle mie sfuriate mi arrabbio con Manlio nel gioco crudele di vittima e carnefice di una coppia lunga sessant'anni, ma in realtà manifesto la paura di quel precipizio che è la vecchiaia.
La vedo in lui, non l'accetto e contemporaneamente ne subisco il richiamo. Mi vedo proiettata cinque anni avanti, ma la metamorfosi del corpo e della mente verso la caduta finale ha tempi lunghi ed è da stagioni e mesi e giorni e ore, che incalza.
Dieci anni fa scrissi un racconto su questa fase della vita e gli argomenti che avvertivo allora neanche sfioravano la reale complessità del vuoto, dell'abbandono, della caduta dei desideri e delle passioni di oggi e per risalire tutte le volte è una lotta sempre più difficile.
Oggi sono avvolta da una quotidiana inconsistenza piena di probabili malanni, che rimangono lì sospesi perché io rimando, come dico spesso e come faccio sempre.
Rimando appuntamenti, incontri, visite mediche, analisi e altro ancora. Sì, rimando, ma il tempo corre veloce.
Dieci anni fa ero ancora un fiore di ragazza, oggi giorno molte donne non invecchiano. Sono le Perennians.
Allora ero un vulcano di idee che regolarmente facevo rivivere in opere pittoriche e in lavori teatrali con amiche e amici che abbandonavano la loro arte per andarsene insieme a me, all'arte. Me ne stavo tre mesi al mare, in perfetta solitudine, e nella contemplazione di tramonti nella valle e di lune marine, ritrovavo ogni volta l'energia necessaria per nuove imprese.
Invecchiare vuol dire anche ciò che sto facendo ora; rivolgermi al passato come la stagione dell'oro. E perdermi. Ma a volte perdermi è solo un'apparenza perché, in realtà, riesco ancora a guardare "il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me".
Mentre Mancuso parla di "creatività responsabile", nel giardino vedo alberi che nel riposo invernale hanno rami spogli, scuri, eppure nelle loro forme riconosco due cuori. Mi ricordano i cuori antropomorfi disegnati da mia nipote Allegra quando aveva cinque anni. In quell'epoca stavamo vivendo un periodo doloroso, pieno di caos e lei con i suoi disegni ci richiamava all'ordine e alla bellezza.
Allegra ora ha otto anni e continua a sperimentare l'arte delle bambine e dei bambini e lo fa senza sosta e senza difese. Si dona allo sguardo e regolarmente arriva al nostro io invisibile.
Nella sua carica positiva c'è la visione del dolore "come errore della mente" e ne esce sempre vincente. Per questa ragione è la mia eroina preferita. Quando parlo di lei mi commuovo e il mio pensiero rivive l'autenticità dei suoi gesti creativi che superano il disegno nel foglio e conquistano altri spazi. A volte diventano manufatti tridimensionali fino ad arrivare alla realizzazione di una città parallela che si articola partendo dal livello dei pavimenti, si sviluppa sotto tavoli e tavolinetti e raccoglie, in una visione armonica, esperienze e desideri. La sua è un'arte che si manifesta nei movimenti e nelle scelte quotidiane.
E arricchisce le nostre vite.
Riconduco Allegra al pensiero di Vito Mancuso, e a quell'io interiore capace di condividere che si manifesta in una espressione artistica diffusa "come impatto tra mondo esterno e mondo interiore, come pressione della vita che si esprime attraverso l'arte".
E ricordo Carla Lonzi quando, verso la fine degli anni '60 scrive che per lei l'opera d'arte è "una possibilità d'incontro, come un invito a partecipare". (De Donato, Autoritratto, 1969).