“Street” ovvero “strada”, ovvero luogo comune di coesistenza sociale a prescindere da ogni costrutto.
In questo luogo concreto di condivisione si formano, da sempre i sentori, della forma.
Sì, proprio i sentori.
Non le linee, i tratti, la materia, ma l'eterico sentimento del formale prima che si manifesti.
Da questo luogo emergono le planimetrie del vivere quotidiano e del vivere straordinario.
Lo straordinario emerge quando vi è la connessione perfetta tra il “bisogno formale” sociale e chi da esso ne trae la sua manifesta concretezza.
La direzione, è quella che è alla base di ogni cognizione “formidabile” che porta verso l'alto dell'ammirazione e della sequela.
Questa è la sintesi di quanto è leggibile nella traccia del lavoro di Virgil Abloh.
Il suo lavoro parte dalla strada e interseca il valore dell'unicità attraverso la personalizzazione e la semantica dei luoghi dell'anima.
Nato il 30 settembre del 1980, nella città di Rockford, a Nord-Ovest di Chicago, da genitori ghanesi, (il padre gestore in un'azienda di vernici e la madre sarta, dalla quale apprende l'arte del cucito).
Si diploma nel 1998 e si laurea in ingegneria civile presso l'Università del Wisconsin nel 2002. Nel 2006 consegue un master in architettura, presso l'Illinois Institute of Technology, il cui edificio principale (Crown Hall) fu disegnato da Ludwig Mies Van der Rohe nel 1950.
La Crown Hall è ritenuto uno degli edifici architettonicamente più emblematici del movimento modernista del XX secolo, e la progettualità di van der Roe un'ispirazione per Abloh.
In questo luogo, l'architetto tedesco, ha perfezionato il suo stile di costruzione, in acciaio e vetro, catturando, nella sua semplicità e pulizia, l'apertura ad infiniti nuovi usi.
La creazione di questa area comune per gli studenti è avvenuta tra il 1950 ed il 1956, ed è stata ottenuta realizzando un tetto sospeso, senza la necessità di colonne interne. Ciò ha creato uno spazio comune universale adattabile a qualunque utilizzo.
Questa “agorà moderna”, coperta, dell'Università dell'Illinois, rappresenta quella fusione tra vita quotidiana e straordinario che porta il tutto nel particolare ed il particolare nel tutto a nutrimento dello stile di Abloh.
L'architettura e i luoghi del vivere comune sono gli spazi delle Street Style, ma anche sono i luoghi dove riflettere sulle dinamiche planimetriche che regalano l'incontro con l'umano ed il sinonimo del viaggio che la strada rappresenta.
Sempre nel contesto dell'Illinois Institute of Tecnology, viene inaugurato, nel settembre del 2003 il McCormick Tribune Campus Centre (MTCC).
Progettato dall'architetto olandese Rem Koolhaas, (Studio OMA anche noto per la collaborazione con l'universo moda di Prada) è stato scelto a seguito di un concorso internazionale di design tenutosi nel 1997-98.
Il lavoro di Koolhaas, per il centro del campus, dispone varie aree attorno a percorsi diagonali, simili a strade interne, che sono estensioni dei percorsi utilizzati dagli studenti per attraversare l'area universitaria.
Il progetto include un tubo in cemento, e acciaio inossidabile, che racchiude un tratto di 530 piedi dei binari della ferrovia per pendolari ("L") della linea verde, sopraelevata, della Chicago Transit Authority, passando direttamente sopra l'edificio centrale del campus, la cui altezza è di un solo piano.
Il tubo smorza il rumore dei treni sopra la testa mentre gli studenti si godono i punti ristoro, gli uffici dell'organizzazione studentesca, i negozi al dettaglio, una struttura ricreativa e gli eventi del campus.
MTCC dispone di spazi per riunioni multiuso e da pranzo, che si adattano a una varietà di tipi e dimensioni di eventi.
Polifunzionalità e coesistenza sociale tra ciò che è esterno all'Università e la vita cittadina, che la ingloba ed attraversa, tra funzione, ruolo, e multiforme dialogo con la condizione formativa e la motorietà della medesima, in una realtà fluida e antistatica, che incontra il pensiero di Abloh come testimonianza percorribile oltre l'architettura.
Sorta di pista aerea dell'immaginazione la planimetria ordina la strada e viceversa. Tale compenetrazione è la fonte delle creazioni dello stile di Virgil esattamente come l'aeroporto di Glasgow da cui trae il logo del suo primo brand di moda: Off-White.
Il concetto delle quattro frecce divergenti, tra interno ed esterno, in bianco e nero, a mo’ di “Croce di Sant'Andrea” è il simbolo del centro aeroportuale della città scozzese ed è divenuto l'emblema della sua etichetta.
Essendosi laureato in ingegneria civile, con master in architettura, è certificato che il progetto di questo importante esempio architettonico, realizzato nel 1964 dallo studio Kienneir Calvert Associates, sia stato patrimonio della sua conoscenza e formazione.
Virgil Abloh ha fatto di questa segnaletica e dei suoi simboli un copia e incolla nel suo universo creativo, giustificato dal principio di risignificazione delle cose, e riutilizzo, che da Duchamp in avanti ha avuto liceità di esistere nella comunicazione come reinterpretazione autoriale e semantica di ogni espressione oggettiva e non.
Non solo il simbolo dell'aeroporto ma anche il tratteggio grafico posto sulla parte superiore dei veicoli, per la tracciabilità e visibilità dei medesimi dall'aria, è divenuta espressione dell'universo Off-White.
Margaret Calvert e Jock Kinneir avevano sviluppato uno schema di verniciatura dei mezzi operativi dell'aeroporto, e delle scale di volo, che li rendeva leggibili dai mezzi aerei, basato su sequenze di strisce diagonali, nere e gialle, che nel brand di Abloh divengono nere e bianche.
La figura di Margaret Calvert è imprescindibile negli studi di architettura e design perchè tra le più influenti progettiste, degli anni '50. Ideatrice della segnaletica stradale unificata del Regno Unito, insieme a Jock Kinneir, nei primi anni '60, si era misurata con un'altra segnaletica, quella della rete ferroviaria britannica. Per essa aveva realizzato un apposito font, battezzato Rail Alphabet, proposto in sei pesi cromatici di cui il sesto era “l'off-white” ossia il bianco scelto come nome per il brand di Abloh.
Quest'ultimo dato unito allo pseudonimo Flat-White, che Virgil assumeva durante le sessioni da DJ ai tempi del college, rende compiuto il pensiero su come si sia composto l'universo grafico ed immaginativo, interstiziale di Abloh.
Off-White come quel punto ibrido che resta indefinito tra il bianco ottico ed il nero, sorta di zona grigia, dove far emergere il giusto mezzo per inglobare l'alta moda nello streetwear, il luxury, più colto e definito, con l'immagine di qualcosa di poco conto che non ha accezioni esclusive o sofisticate.
Off-White nasce a Milano il 12 dicembre del 2012 (12/12/12) conseguente al primo esperimento di moda artistico di Abloh di quello stesso anno, che aveva chiamato Pyrex Vision dove, acquistando capi di stock della collezione Rugby di Ralph Lauren e felpe della Champion, per 40 dollari, li aveva modificati apponendovi su alcuni il numero simbolo del basket internazionale: il 23 di Michael Jordan e, su altri, grafiche serigrafate o la sua stessa etichetta Pyrex.
Questa linea partiva da scelte ordinarie e le trasformava per dare ai giovani un'interpretazione personale dello stile che non avesse valenza meramente produttiva e reddituale ma comunicativa.
Di fatto Pyrex Vision restò attiva poco meno di un anno perchè non doveva essere un'impresa. Abloh, che si vide attaccare per i costi vertiginosi di queste rielaborazioni, che uscivano a 550 dollari l'una, in realtà non voleva fare altro che una sperimentazione autoriale di breve durata, che poneva l'accento sul rilievo dell'espressione giovanile (da qui il costo delle rielaborazioni) senza divenire un'esperienza imprenditoriale.
Da questo suo primo successo nella moda parte la sua storia nell'abbigliamento.
Votata ad una produzione di altissimo profilo qualitativo, totalmente Made in Italy, Off-White mira a superare il concetto di prodotto economico dello streetwear per dargli una valenza intellettuale credibile traducendo in esso il concetto del savoir-faire del lusso.
Lanciata dal New Guards Group di Milano (Claudio Antonioli, Davide De Giglio, Marcelo Burlon), holding che produce e distribuisce alta gamma, vede, per la sua prima collezione, l'architettura del tedesco Ludwig Mies van der Rohe centrale per la sua narrazione e nello specifico nella Farnsworth House la sua musa.
Questa abitazione, costruita tra il 1945 e il 1951, nasce per il weekend, con al centro il blocco dei servizi.
È collocata in un contesto un tempo rurale, a 80 chilometri a Sud-Ovest di Chicago, nei pressi del fiume Fox, a Sud della cittadina di Plano.
La casa è in vetro e acciaio e fu commissionata dalla Dr.ssa Edith Farnsworth, che desiderava un luogo dove poter godere della natura e dedicarsi ai suoi hobby. Mies infuse in questi 140 m2 i canoni simbolici del movimento moderno. Nel 2006 l'edificio è stato designato come National Historic Landmark.
Questa piccola ed eterea abitazione è sospesa da terra da sottili pilastri bianchi così come candidi sono la copertura ed il basamento.
Le caratteristiche essenziali della casa sono immediatamente evidenti. L'uso di pareti vetrate apre l'interno verso l'ambiente circostante, limitando l'opacità alle sole partizioni orizzontali, due lastre, che racchiudono l'ambiente abitabile. I bordi delle lastre sono caratterizzati dall'uso di acciaio a vista, dipinto di bianco.
La casa si trova a circa 1,5 metri da terra, sopraelevata mediante 8 pilastri (con il profilo ad H), anch'essi in acciaio bianco, collegati alla piastra del pavimento e a quella del soffitto. L'edificio sembra galleggiare senza peso sopra la superficie che occupa. Una terza piastra, leggermente ribassata rispetto al livello della casa, funge da collegamento tra il suolo e il piccolo portico antistante l'ingresso.
Van der Roe applica qui il concetto di open space, un grande spazio non strutturato, ma disponibile ad adattarsi alle esigenze di più persone. Al centro della grande camera si trova il "nocciolo" dei servizi, due blocchi in legno contenenti un guardaroba, il bagno e la cucina. Lo spazio restante è caratterizzato dalla presenza di elementi mobili che suggeriscono una suddivisione spaziale non rigida.
L'architetto applicherà nuovamente questa spazialità nelle sue opere successive, una su tutte la già citata Crown Hall, dell'Illinois Institute of Technology, dove Abloh studia architettura.
È nuovamente la terra natale a fornire a Virgil lo spunto per viaggi creativi attraverso la sua formazione da architetto.
La collezione moda che emerge da Farnsworth House è basica ma ricca di riferimenti al mondo costruttore e edile che compendia “l'edificazione” dell'estetica Off-White.
Alla maglieria, e al concetto di tuta e felpa, si mescolano i simboli del lessico stradale e costruttivo: le segnaletiche diagonali, le frecce, le fascette per cavi e condutture, il nastro adesivo, ecc.
Il segno della grafica rimanda ai simboli del brand: “arrows” (frecce del logo), le “diagonals”, ossia le bande diagonali (nelle formule quantitative legate alla creazione di un quadrato o un rettangolo da porre accanto alla croce, nella quantità di 15 o 19, a seconda del volume da sviluppare, o come decoro formale dei capi delle collezioni).
Il lettering stesso è stilizzato dal concetto della segnaletica ed integrato in tale misura nel “virgolettato”.
A questa immagine così elaborata aggiunge il gusto del Bauhaus e l'arte di Caravaggio e nel 2014 sfila a Parigi, con la sua prima collezione Off-White, entrando nella rosa dei finalisti del prestigioso LVMH Prize.
È proprio da Louis Vuitton che giunge come direttore creativo del menswear nel 2018.
Anche nel contesto dello storico marchio francese infonde il suo immaginario architettonico e lo connette alla strada attraverso la musica, altra sua grande passione (sostanziale capitolo della sua estetica fortemente coesa alla figura di Kanye West) e la letteratura, come è evidente nella collezione autunno-inverno 2021-22.
La presentazione di questa stagione uomo parte dalle montagne innevate della Svizzera ed entra in uno spazio concettuale architettonico che diviene luogo non luogo del coesistere nel ruolo ed oltre il medesimo. Sorta di omaggio al “Less is more” di Mies van der Rohe per struttura e semplicità, leggerezza e neutralità.
Spazio aeroportuale o centro direzionale di qualche società, fatto di marmi le cui geometrie generano una planimetrica espansione dei percorsi formali dello stile evidenziandone il carattere multiforme ed illusorio.
Tale luogo accoglie le costruzioni fisiche degli abiti che arrivano ad esprimersi in vere e proprie miniature di edifici attorno al corpo dei modelli.
Indagando sui pregiudizi inconsci instillati nella nostra psiche collettiva dalle norme arcaiche della società, la collezione è tematicamente informata dal saggio, del 1953, di James Baldwin Stranger in the Village.
Attraverso la sua esperienza, come visitatore afroamericano in un villaggio svizzero, Baldwin realizza un saggio che funge da leitmotiv per le esplorazioni di Abloh nella analoga sua esperienza contemporanea, riflettendo sulla struttura consolidata della società fatta da outsider culturali che si oppongono agli insider.
Incarnando i confronti fisici con i conflitti psicologici, esplorati nel saggio di Baldwin, il set configura e riconfigura il villaggio svizzero attraverso un palcoscenico astratto di marmo che rappresenta le mutevoli emozioni dell'autore.
Caratterizzato da un cast di artisti all-star, la performance ruota attorno alla nozione figurativa della “rapina d'arte" che è “il furto del mondo dell'arte” che l'uomo compie per riappropriarsi delle fondamenta del patrimonio culturale.
La collezione prende archetipi – lo scrittore, l'artista, il vagabondo, il venditore, l'albergatore, il gallerista, l'architetto, lo studente – e indaga i codici dell'abbigliamento che informano le nostre percezioni predeterminate di questi personaggi così familiari.
Utilizzando la moda come strumento per cambiare questi presupposti, Virgil Abloh conferisce alla grammatica dei codici vestimentari valori diversi.
In tutta la collezione capi, accessori, motivi e tecniche giocano sui temi dell'illusione, replicando quanto ci è familiare attraverso le lenti ingannevoli del trompe-l'oeil e del filtraggio, e riappropriandosi del normale attraverso l'estrema elevazione.
Virgil Abloh ha invitato l'artista concettuale Lawrence Weiner a costruire una serie di aforismi-come-schemi legati alle premesse della collezione:
Puoi raccontare un libro dalla copertina.
Lo stesso posto e allo stesso tempo.
Tale operazione applicata alla collezione di Louis Vuitton ragiona sull'architettura sociale fatta d'immagine e identità, concretezza e illusione.
La sua oculata revisione del design entra a far parte di una esperienza ancora più allargata quando, nel 2019, realizza una collezione per Ikea chiamata Markerad, che in svedese significa chiaro, nitido. Un'edizione limitata di pezzi classici dell'arredamento moderno rivisitati, e comunicativi, attraverso l'uso di grafiche virgolettate, dove ciò che è senza tempo si mescola con il contemporaneo a dichiarare che nel “vintage” vi è il “futuro” e che dal passato tutto si genera e rigenera.
Solo attraverso fondamenta solide, e spazzi aperti e fluidi, si può ragionare sulla modernità del pensiero di Abloh. Esso è fatto di interstiziale dialogo con le forme di un'arte riconquistata, e revisionata, in strade percorse o rivisitate, in nome di una inedita ricerca planimetrica globale del ruolo fuori schema... fuori da sé... fuori dal ruolo.
Si può concludere che in tanta letteratura “sull'edificazione umana” Virgil sta allo stile del ventunesimo secolo come Virgilio sta a Dante nell'indicare la “strada”... “croce-via” della risignificazione della forma: X della ricerca.