Non si può inquadrare nessun accordo sul Mediterraneo, senza prima partire da una serie di osservazioni fondamentali.
Non siamo più in un mondo multilaterale, come è rimasto nella retorica ufficiale, ma in un mondo multipolare. Il multilateralismo è nato dalla tragedia della Seconda guerra mondiale. I Paesi vincitori volevano evitare una nuova guerra mondiale, ed spinsero per la creazione delle Nazioni Unite, l’adozione della Carta dei Diritti Umani, e stabilirono che il diritto internazionale era la base delle relazioni internazionali, per fare dei valori della pace, dello sviluppo, della solidarietà e dei diritti dei cittadini, i valori su cui creare i rapporti internazionali (riservandosi per loro i cinque seggi di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, preposto al mantenimento della pace).
Il multilateralismo ha subito un’erosione progressiva per gli interessi delle grandi potenze. Ero al Summit per il dialogo Nord-Sud dei capi di Stato a Cancun, nel 1981, come direttore della comunicazione. Il neoeletto Ronald Reagan, che trovò una sponda europea in Margaret Thatcher, dichiarò che non accettava che gli Stati Uniti, che da soli avevano il bilancio di 80 Paesi del mondo, fossero prigionieri di una camicia di forza, che si basava sul consenso di tutte le Nazioni. Avrebbe privilegiato gli interessi nazionali, su quelli multilaterali. Promosse la creazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, non più parte delle Nazioni Unite, togliendo così all’ONU uno dei due motori della globalizzazione: il commercio. L’altro motore, la finanza, con gli accordi di Bretton Woods, era nato fuori delle Nazioni Unite. Restavano all’ONU i temi “non produttivi”: sanità, educazione, aiuti allo sviluppo, alle popolazioni, la modernizzazione dell’agricoltura, l’ambiente, ecc.
Successivamente, con la creazione del G7, del G9, del Foro Economico di Davos, ed una proliferazione di altre iniziative, si procedeva a creare aree di incontro e di decisione al di fuori delle Nazioni Unite.I valori del multilateralismo hanno anch’essi subito una forte erosione. Per restare nel recente dalla caduta del Muro di Belino, nel 1989, il paradigma della globalizzazione neoliberale ha introdotto una nuova serie di valori, tutti basati sul mercato e non sull’uomo: la competizione, il successo, la ricchezza, l’individualismo (“La società non esiste, esistono gli individui”, Margaret Thatcher; “La ricchezza porta ricchezza, la povertà povertà: i ricchi non vanno tassati”, Ronald Reagan). Questa illusione che la globalizzazione avrebbe "spinto tutte le barche”, è durata sino alla crisi del 2009. Vent’anni di educazione alla cupidigia. Spariti dal linguaggio politico i termini solidarietà, giustizia sociale, ed il concetto di sviluppo è stato sostituito da quello della crescita.
Dal 2009 è nata l’epoca della paura. Era ormai chiaro: i ricchi diventavano sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. Incerto il posto di lavoro, incerta una vita degna e una pensione dignitosa. Si aggiungeva la denuncia del clima che portava i Giubbetti Gialli a rivoltarsi contro un aumento del gasolio di 11 centesimi di euro. Le ondate di immigrazione, in buona misura creata dai nostri interventi per cambiare regimi in Iraq, in Siria ed in Libia, l’aumento della povertà e dei conflitti in molti Paesi, portano ad una grande ondata immigratoria in Europa. L’immigrazione, la difesa dell’identità nazionale, portano alla nascita di partiti di estrema destra e sovranisti in tutti i Paesi europei (prima del 2009 c’era solo Le Pen in Francia).
Gli storici dicono che i due grandi motori di cambio nella storia sono la cupidigia e la paura… dopo venti anni della prima, siamo nel ventennio della seconda.Nasce così un mondo multipolare, dove i Bolsonaro, i Trump (che torna nel 2024), gli Erdogan, i Morsi, gli Orban, i Kacynski, i Putin, i Modi, gli Xi, i Duterte, riprendono le vecchie trappole della Prima guerra mondiale: in nome di Dio, in nome della Nazione, a cui si aggiunge quella in nome del Denaro. Ormai la finanza e le high tech sono al di sopra di ogni nazione, e creano le loro leggi. Il multilateralismo è visto come una camicia di forza, contraria agli interessi nazionali. L’Europa, creata dal Piano Marshall, che costringe i tedeschi e i francesi a costruire insieme, ha una divisione Nord-Sud ed una divisione Est-Ovest. I Paesi dell’Est entrano subito nella Nato, e di conseguenza nell’Unione Europea, che cresce rapidamente a 27 Paesi, probabilmente troppo presto. Oggi nella crescente contrapposizione USA-Cina, deve trovare un proprio ruolo. Trump e la pandemia obbligano a un rilancio di politiche comunitarie, il cui futuro resta incerto, anche per l’uscita della Merkel.
Ed ecco allora che un Trattato sul Mediterraneo deve partire dalla realtà attuale, e basarsi su temi visibili ma non evidenti. Quali sono questi temi? Temi che interessano le due sponde? Secondo me, quelli più facili e comuni sono:
Il clima. Secondo le proiezioni dell’ultimo rapporto Mari-2050, avremo un innalzamento del mare di 1 metro e 20 centimetri nel 2040. Pensiamo a Venezia, a Genova e a tante città, da Tunisi a Tangeri… inoltre il Mediterraneo ha un destino tragico. Mentre a Glasgow si fantastica con “impegni non vincolanti" a come fermare l’aumento della temperatura a 1.5 gradi dalla Rivoluzione Industriale, (e siamo già a 1,1), il Mediterraneo è già a 1.5 insieme all’Artico è l’area che si scalda più rapidamente, il 20% in più rispetto alla media globale. Tutte le popolazioni costiere saranno coinvolte. Solo nel Delta del Nilo, si tratta di cento milioni di persone. E se il Mediterraneo si continua a riscaldare alla velocità attuale, l’energia che il mare adesso immagazzina si rilascerà nell’atmosfera, con un clima più violento ed un impatto feroce sull’agricoltura. Già la tropicalizzazione è evidente dall’invasione di pesci esotici. I giornali inglesi hanno dato grande risalto alla presenza stabile di squali nel Tamigi. Sentite su questo tema Gramenos Matrojeni, dell’Unione per il Mediterraneo.
Immigrazione. Lo spostamento di grandi masse di popolazioni dalle zone costiere, non può che aumentare conflitti e tensioni. Teniamo presente che la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, e nessun trattato, contempla la figura di rifugiato climatico, che secondo le Nazioni Unite nel mondo ha già raggiunto i cento milioni. Nemmeno quella di rifugiato economico… Nel trattato occorrerebbe indicare la necessità di un aggiornamento e stabilire una politica coordinata e comune sui flussi migratori tra le due sponde del Mediterraneo, che una storia comune unisce e a cui occorre dare una priorità. Ovviamente, occorre invocare il principio di solidarietà, ma anche di interesse comune, a favorire la crescita e lo sviluppo nei Paesi più poveri, per ancorare le popolazioni ed evitare un loro sradicamento. Andare oltre l’introduzione di questi principi, non mi sembrerebbe realista, e scatenerebbe le prevedibili reazioni di una parte della politica italiana.
Cultura. Il tema è ovvio, ma vanno inseriti come attori di base le donne e i giovani, che su questo possono giocare un ruolo dinamico e partecipativo. Quello che nel processo di Oslo fra palestinesi ed israeliani, fallito per ragioni che conosciamo, si chiamava P2P, People to People, ossia un mondo di relazioni orizzontali fra i cittadini, la società civile, che superi gli steccati governativi. I temi su cui incontrarsi sono tanti, e le donne e i giovani sarebbero attori fondamentali.
Infine, il tema fondamentale della pace. In un mondo multipolare, che gioca ad espandere la propria zona di influenza, i conflitti sono ormai raramente e genuinamente locali. Il caso più emblematico è quello della Siria, dove otto potenze straniere sono pronte a combattersi sino all’ultimo siriano. Ed allora, il trattato dovrebbe dichiarare il Mediterraneo una zona di pace che resti neutrale nei conflitti globali, e vieti l’ingresso di attori non locali nei confitti. Questo porterebbe anche a un aumento dell’integrazione regionale necessaria in un’era di competizioni, dove nessun Paese che si affaccia sul Mediterraneo può pensare di competere con i giganti che cercheranno di vincere una competizione globale, come la Cina e l’America.
Un trattato costruito su questi punti, per quanto frutto dell’utopia, non è una chimera. I cittadini lo vedrebbero come logico e necessario, e forse questo potrebbe avere un impatto sui governi, alcuni dei quali certamente non ascoltano i cittadini. Ma sarebbe difficile negare questi punti, e questo è un elemento importante. La verità e la ragione, la storia ci insegna, prima o poi vincono sulla forza…