E piove solo

Ci sono i dentisti, ci sono i dentisti bravi, poi c'è Vittorio che fa tutto ad arte.
Però ha lo studio dall'altra parte della città.
E piove.
Sembra una congiunzione astrale: appuntamento uguale pioggia.

Da tempo ho problemi con appuntamenti di qualsiasi genere, in particolare sono colpita da reazioni ingovernabili per gli appuntamenti con i medici. Così rimando e vivo nel dubbio di avere mali inguaribili sparsi in tutto il corpo.

Con il dentista, che è un mio caro amico e le sue cure non sono dolorose, entrano in campo inciampi esterni come la pioggia, la distanza, la mancanza di orientamento e la mancanza della patente. Infatti, non guido e chiamare il taxi richiede due o tre operazioni, semplici, che a me però non riescono. Come non mi riesce prendere un autobus. Siccome sono apprensiva arrivo alla fermata un po' prima, lui - l'autobus - arriva un po' dopo; non ci siamo mai incontrati.

Così rimane la mia vecchia bicicletta, più trattore che bici. È talmente vecchia che neanche me la rubano. Però non deve piovere perché ombrello e bici non vanno d'accordo.

Invece piove.

Inoltre, per il lockdown, per il super lavoro del mio amico dentista e per le mie complicate vicissitudini familiari, le sedute si sono dilatate nel tempo e per raggiungere il suo studio la pioggia non è il solo problema. Nel primo anno, sin dalla partenza, ero presa da attacchi di panico perché pensavo proprio di non arrivarci tanto era complicato il tragitto. In effetti mi perdevo regolarmente. Per metà del secondo anno allungavo il percorso perché sbagliavo qualche traversa, nell'altra metà poi commettevo piccoli errori e infine, ora, così per puro caso, ho trovato anche una scorciatoia.

Ma continua a piovere e, in attesa che smetta, mi fermo sotto un albero - lo so, non ci si deve fermare sotto gli alberi quando piove, ma mi fermo ugualmente - di un piccolo parco e guardo le case che lo delimitano. Da una parte ci sono abitazioni a schiera simili a pollai, ma a destra, nascoste dalla vegetazione, fanno capolino vecchie case di campagna con fienili. Il loro è un richiamo alla terra e a quella bellezza che nel tempo acquista, per me, sempre più valore. Dovrebbero essere protette e restaurate, ma sono disabitate e circondate da condomìni, sembrano messe lì per errore e quindi ne prevedo una prossima demolizione.

Riprendo il cammino.

Di solito, in questo periodo le piogge scendono veloci e per breve tempo, però tutte per me, per quella congiunzione astrale che accompagna il viaggio dal mio amico "che prima ci sono i dentisti, poi i dentisti bravi e poi c'è Vittorio che però ha lo studio...".

Il geco dei miei 80

E sono arrivati anche loro: gli 80 anni. Mi sembrano una vera esagerazione.
Se penso a quello che ho fatto in tutti questi anni mi viene da dire: niente. Il niente è la vocazione che ha attraversato e attraversa il mio tempo imperfetto. Le ore hanno divorato e tutt'ora con più accanimento, divorano le mie giornate.

Niente, proprio niente, ho solo guardato il mio tempo andarsene via.
Sono una lumaca.

Al mattino per raggiungere la posizione verticale impiego un'ora abbondante e così pure per colazione che è l'altro rito; tutti e due tentano di riconciliarmi con il nuovo giorno. Prima dell'avvento delle impalcature e dei muratori bevevo il tè e mangiavo il "maritozzo" - con semi di finocchio e uvetta fatti dal fornaio di Ceccolini appositamente per me - in terrazzo. Ora risiedo in una postazione interna dove ugualmente posso guardare gli alberi del giardino.

Osservo e penso a niente. Inseguo poi gli eventi quotidiani che mi vedono arrivare sempre in ritardo. Ma continuo a procedere lentamente e soprattutto a girare in tondo.

Ogni tanto tento di rimettere ordine e ritrovo lavori che non ricordo di aver realizzato.

Forse con gli anni se n'è andata anche la memoria. Dicono che la strada giusta per impazzire è quella di accumulare troppi ricordi. Infatti, per sopravvivere ho dovuto dimenticare.

Mentre scrivo, il mio albero pare stia prendendo il volo. L'estate all'improvviso ci ha abbandonati. Come il mio tempo: se ne è andato via troppo in fretta.

Ma il 13 settembre, il giorno del mio compleanno, eravamo ancora in piena estate. Ho iniziato a festeggiare al mare con i familiari e ho poi continuato in studio con le amiche e gli amici che per me, continuano a fare miracoli. Sono loro che tentano di tenermi sveglia.

In terrazzo ho un mucchietto di sassi e frammenti di una scultura in terracotta. "Ma cosa ne fai di questi sassi? Li buttiamo?" e io "No, vengono da lontano, sono miei antenati, prima o poi li utilizzerò".

Ho l'impressione di andare di dieci in dieci. A settant'anni, per la determinazione, la volontà e la dedizione di Fidel, un carissimo amico che non è più con noi e che ha lasciato nella mia mente una bella impronta indelebile, ho realizzato una mostra antologica alla Manica Lunga della Biblioteca Classense e pubblicato due libri d'arte, Ravenna Ravenna e Nero scarlatto. Andando a ritroso, a sessant'anni non so che cosa ho combinato, forse ho messo a punto, con le mie compagne torinesi, la vocazione al nulla. Sempre amiche e amici; le colonne portanti della mia fucina in atto. Con loro, lavori in crescita, moltiplicazioni di idee e di progetti. Negli incontri prende corpo il gioco grande delle relazioni e così, tutte le volte, ritorno al mondo.

Per loro, per tutte e tutti, anche per chi quella sera non c'era, ho realizzato il geco. Mentre Rosanna creava la cena di Babette, Edoardo mi ha aiutato a dare nuova vita a quei sassi depositati in terrazzo sicuramente dieci anni fa.

Dimenticavo.

Marcello è arrivato con una delle sue lumache, in realtà chiocciole, con una tessera di mosaico alla sommità della conchiglia: una chiocciola ad arte, appunto.

Il super bonus

Due anni fa hanno rifatto la strada dove abito, ora stanno facendo fossi laterali per non so quale nuova alchimia. Ma il peggio non è la strada. Il peggio abita nel mio condominio con il suo cantiere immobile. Lui c'è. È una garanzia. Il tempo passa - i lavori sono iniziati a metà luglio e oggi mentre scrivo è il 5 novembre - e lui è lì con i fili elettrici nell'acqua, mascherine a terra, un guanto, teli di plastica ovunque e altri materiali sparsi nel giardino. Lo smistamento, quando accade, avviene sempre sotto il mio appartamento, che, per la sua posizione al primo piano, si è trasformato in una specie di quartier generale. All'inizio i muratori erano tre. Come i Re Magi, si muovevano con la loro attrezzatura, poi sono rimasti in due e ora ce n'è uno. Il muratore errante si aggira dando un po' di colore in una parete poi in un'altra e regolarmente dalle 14 alle 15 tira qualche martellata nelle vicinanze della stanza dove mi ritiro per leggere il quotidiano. Anche lui tenta di tenermi sveglia, come gli amici e le amiche di una vita.

Dal 15 luglio uso otturatori auricolari di cera, dannosissimi se usati per lungo tempo. Quindi prevedo che l'andamento di questo cantiere mi porterà alla sordità - l'udito era l'unico organo ancora funzionante. Accade poi un altro inconveniente. Nel mio bagno ci sono le uniche piante che si sono salvate da mesi "di effetto notte" sempre a causa di un cantiere che seppur lentamente e in ordine sparso circola anche nei terrazzi. Queste piante ricevono la luce da una lunga finestrella posizionata in alto. Seduta sul water le guardo e penso. Da tre mesi, anche questi pensieri rivolti alla contemplazione del nulla sono inquinati dal cantiere perché cose e persone, per salire o scendere, devono passare dal terrazzo. Così, lì seduta, vedo sfilare tubi, mezzi busti e busti interi, ma le piante non le lascio morire. Non abbasso le tapparelle.

Il silenzio del cantiere è più inquietante di questi passaggi misteriosi e di quelle martellate "a salve".

Ultimamente però sono arrivati camion pieni di materiali e c'è stato un gran movimento. Sì. Ma sono altre ditte; sono quelle che smontano e rimettono infissi nuovi, quelle che spostano le impalcature, quelle che tolgono e rimettono gli elementi che caratterizzano i terrazzi. Il cantiere, quello dove ci dovrebbero lavorare i Re Magi è sempre lì, immobile e acquista ogni giorno di più l'aspetto inquietante di una discarica a cielo aperto.

Il muratore continua il suo viaggio verso l'ignoto: un poco qui, ma anche un poco più in là.

Nella casa di fronte c'è un altro cantiere; grande esempio di efficienza e perfezione. Mi fermo a guardare incantata. I muratori che si muovono agili e attenti nelle leggere impalcature blu sono gli artisti del pennello. E infine, nel pomeriggio al termine del lavoro spazzano perfino la strada.

Guardo sconsolata il pavimento dei miei terrazzi, dove il lavoro è terminato però sono rimasti ciottoli, residui di colore, frammenti di cemento ben radicati al suolo, brandelli di plastica, cicche di sigarette e mi sento vittima di una invasione barbarica. Vi è in questo stato di abbandono e di sporcizia uno sguardo opaco, mal disposto nei confronti delle persone: una mancanza di rispetto che mi offende. Esco, fotografo e mi faccio, così, testimone di questo stato di desolazione, poi prendo la bicicletta e vado alla ricerca dei miei tappeti d'autunno.

Ecco le cose che accadono. Guidata dalla paura perdo la strada, la ritrovo, ma piove. Non c'è scampo. Mi ritrovo in quel mucchietto di sassi che vengono dai fondali del mare. Tra di loro la pietra delle prime scritture. Il pensiero qui coincide con lo sguardo e lo sguardo vede già l'opera. Finita.

Lavoro con ciò che se ne sta in disparte, tranquillo, sapendo che si realizzerà. Se non questa volta, un'altra. No, proprio adesso, per le amiche e gli amici che condividono queste mie giornate così confuse. Confuse anche dal cantiere che da mesi coinvolge, nella sua insensatezza, la mia vita. Sono sicura che chi dirige questa impresa ha ragioni e pensieri opposti ai miei. Sono due punti di vista sul mondo: nel primo prevalgono cose e profitto, nel secondo prevalgono le persone, le piante e gli alberi che in questa stagione accarezzano la terra con i loro tappeti rossi.