Laurentii Cionis de Ghibertis
mira arte fabricatum.
Queste parole incise sul telaio, come firma accanto all’autoritratto dell’artista, invitano a contemplare una delle meraviglie del Rinascimento, la Porta del Paradiso realizzata da Lorenzo Ghiberti per il Battistero di Firenze.
Nel vedere le due ante, secondo il Vasari, Michelangelo avrebbe detto: “elle son tanto belle che starebbon bene alle porte del Paradiso”. Forse questa ammirazione già nell’immediato, oltre la sua collocazione in una zona che, fronte Duomo, veniva considerata come posto d’onore e già chiamata all’epoca zona Paradiso, portarono l’opera alla definiva conclamazione storica e popolare come Porta del Paradiso.
La preparazione, la realizzazione, e il posizionamento dell’opera, tecnicamente fabbricata in bronzo e oro con una particolare doratura al mercurio – impegnò l’artista per ben ventisette anni, fino al 1452: un periodo molto lungo, conseguente sia alla complessità tecnica dell’esecuzione, sia alle dimensioni imponenti della porta. L’artista fu comunque supportato dal figlio Vittorio e dai migliori talenti di quel periodo.
Ciascuna delle due ante è un pezzo unico, un telaio ricavato da un getto singolo di bronzo, dove sono inseriti cinque riquadri che a loro volta contengono più scene disposte a profondità e livelli diversi, obbligando lo spettatore ad ‘ascoltare la narrazione’, per un totale di dieci riquadri, tutto questo rappresenta una innovazione rispetto allo stile precedente che prevedeva ben ventotto unità, quattordici per anta. Si osservano le Storie dell’Antico Testamento, dalla Genesi fino a Salomone, secondo un ordine di lettura che procede dal primo quadrato in alto a sinistra, poi verso destra, quindi, scende di un livello e prosegue così fino all’ultimo riquadro in basso sulla destra.
La Creazione di Adamo, la Creazione di Eva, il Peccato originale e la Cacciata dal Paradiso Terrestre, sono le storie raccontate nella prima scena multipla, il primo piano rappresenta quasi un trittico con il sonno di Adamo e la creazione della donna nella zona centrale, mentre la forgia del primo uomo e la fuga dal Paradiso Terrestre dei novelli peccatori sono quasi l’inizio e la fine della storia in questo racconto in miniatura. Il Peccato originale e la relativa scena della tentazione e del cedimento di Adamo ed Eva con il serpente che avvolge l’albero sono messi nel retro grazie alla prospettiva e risultano quasi nascosti per effetto non solo alla posizione ma anche per una incisione più leggera, meno marcata, a voler nascondere forse all’occhio dell’osservatore il peccato in sé, la condizione umana di vulnerabilità, la scelta malsana che porta i due a dover poi fuggire. Una idealizzazione del male e della sua pochezza riprodotto nel linguaggio artistico e tridimensionale, come il bambino innocente che ruba una mela e la nasconde dietro le spalle nel vano tentativo di non essere scoperto.
Il riquadro o formella numero sette ha come protagonisti Mosè e il popolo di Israele, tanti personaggi non distinti ed in posizioni diverse, che occupano la scena centrale, un popolo che risulta essere spaventato, e come nel percorso che si vuole rappresentare, può raggiungere la salvezza solo grazie all’intervento divino, un presagio dell’avvento di Cristo, la Salvezza fatta Figlio per volere del Padre. In questo spazio la Salvezza è rappresentata dall’accampamento che si vede nel retroscena, lontano dalle acque del Mar Rosso che invece risultano in primo piano, oltre che da Mosè che sul Monte Sinai riceve le tavole dei comandamenti. Una rappresentazione eccelsa che racchiude in uno spazio ristretto tante storie bibliche che hanno come primo attore non tanto Mosè come personaggio storico, quanto il Mosè Profeta, la liberazione di Israele dalla schiavitù come presagio della futura pacificazione tra Dio e l’essere umano.
La formella numero nove presenta le Storie di Davide, la penultima della porta e l’ultima dell’anta di sinistra, dove Saul conduce l’esercito d’Israele, Davide decapita Golia, e gli israeliti mettono in fuga i Filistei, scene complesse che sono però rappresentate in modo delicato e significativo, grazie anche alle nuove tecniche applicate al lavoro, infatti la ricchezza di episodi all’interno dello stesso riquadro è resa possibile grazie al ricorso al rilievo sottilissimo, alla prospettiva tipica del Brunelleschi e ad artifici tali da permettere lo sfruttamento dello spazio nel senso della profondità di campo e dell’articolazione degli scenari. Ne deriva un racconto che si dispiega in una linea temporale, nel susseguirsi di singoli eventi collegati gli uni agli altri, all’interno di ogni unica formella e fra una formella e la successiva, come fossero fotogrammi di una pellicola cinematografica scolpita sul bronzo e ricoperta d’oro.
Nel 1943 la porta fu spostata per preservarla dai bombardamenti e venne restaurata già una prima volta da Bruno Bearzi e ricollocata in sede nel 1948; il restauratore per primo riportò alla luce la doratura originaria, nascosta sotto strati di sporco e definitivamente sepolta da una vernice nera apposta nel 1772. Nuovamente danneggiata nel 1966, durante l’alluvione di Firenze, quando l’acqua colpì le ante con una tale violenza da aprirle e staccare sei pannelli dal telaio di bronzo. La Porta del Paradiso venne quindi ripulita dal fango e i pannelli distaccati furono ricollocati, ma in seguito l’inquinamento atmosferico ne rese impossibile la permanenza all’esterno: l’oro cominciava a distaccarsi per reazione agli agenti esterni.
La porta venne sostituita da una copia realizzata nel 1990 grazie ad un magnate giapponese e l’originale, col restauro dei battenti, completato nel 2012, è stato rimontato ed è custodito nel Museo dell'Opera del Duomo.
Visitare Firenze è già di per sé un’ottima scelta dal punto di vista turistico e culturale, il Duomo di Santa Maria del Fiore ed il Battistero rappresentano una sublime testimonianza del genio e dell’ingegno del Rinascimento fiorentino, soffermarsi di fronte alla Porta del Paradiso è qualcosa di eccelso a prescindere dal proprio credo personale.