L’aria, in Africa, ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento.
(Karen Blixen, La mia Africa)
Mentre attraversavo il confine - con una certa fatica a causa delle lungaggini burocratiche - dello Zimbabwe con il Botswana, avevo ancora negli occhi il tripudio dei colori infuocati che mi avevano catturato, allo spegnersi del giorno, nella navigazione dello Zambesi e lo spettacolo indimenticabile degli animali lungo le sue rive e nelle orecchie il rumore del Mosi-oa-Tunya, il fumo che tuona, nome evocativo dato alle Cascate Vittoria dagli indigeni Makololo.
Altri fiumi, animali e colori mi avrebbero catturato in Botswana.
Il Botswana, paese dell’Africa meridionale, protettorato britannico fino al 1966 anno in cui ottenne l'indipendenza, ha una natura selvaggia e incontaminata che ho subito incontrato nel parco Chobe.
È un parco che, attraversato dall’ omonimo fiume e dai suoi canali, è ricco di animali con numerosi branchi di elefanti e alta concentrazione di leoni.
La nostra navigazione lungo i meandri del Chobe è stata sicuramente il modo migliore e originale, rispetto al classico percorso in auto, per ammirare gli uccelli e osservare coccodrilli e ippopotami che a gruppi attraversavano i corsi d'acqua.
Era tutto un gridare alle ore 11, alle ore 12, il modo migliore per segnalare velocemente la loro presenza. Ma veramente non c’era bisogno, perché ne eravamo circondati ed erano tanti. Famigliole di elefanti mollemente passeggiavano lungo la sponda del fiume e barrivano al nostro passaggio. Non era chiaro se era un saluto, a me piaceva pensarlo, o un avvertimento.
Gli elefanti sono i signori incontrastati del Chobe e il rumore dei gruppi in cammino era continuo. Come quello, alla sera, degli ippopotami che mangiavano l’erba secca vicino alle nostre tende.
In auto abbiamo proseguito la nostra traversata alla scoperta dell’area più selvaggia e remota del Parco Chobe, la zona di Savuti, e la riserva di Moremi, dove mi ha colpito un’altissima concentrazione di volatili.
Meraviglia ed emozioni forti le ho provate navigando, al calar del sole placidamente a bordo dei mokoro, le tipiche imbarcazioni locali, nella laguna di Xakanaxa, all’interno del Delta dell’Okawango tra isole e ninfee giganti. È stata un’esperienza esaltante godere degli incontri ravvicinati con animali, estremamente rilassati, tanto che si riusciva a passar loro vicino senza turbarli.
Il Delta dell’Okavango, dopo quello del Niger, è il secondo delta fluviale interno del mondo e rappresenta uno degli ecosistemi più insoliti del pianeta. Formato in Angola dal fiume Okavango che ha un percorso di oltre 1600 km, la sua peculiarità è che non sfocia in mare, né confluisce in un altro fiume, ma si disperde in una palude del deserto del Kalahari. Ha numerosi affluenti che formano griglie di canali, lagune e isole.
Nel 1965 una parte del territorio del Delta è stato dichiarato riserva naturale, col nome di Riserva faunistica Moremi (circa 3000 km2). Vi sono presenti elefanti, bufali, rinoceronti (sia bianchi che neri), ippopotami, leoni, sciacalli, iene, zebre, giraffe e babbuini. Ho potuto riempirmi gli occhi del paesaggio multiforme e della vista di grossi branchi di fauna selvatica in movimento. Sulle sue isole ho ammirato le palme mokolani, le acacie, i ficus e i salici, mentre nei canali i bambù, il papiro e, nelle acque aperte, ninfee e fiori di loto. Grandi quantità di uccelli, come l’aquila pescatrice, l’oriolo africano, l’airone nero, sono attirati dall’acqua e dalla vegetazione. Nell’acqua nuotano i coccodrilli del Nilo e diverse specie di pesci, fra cui i barbi, molto apprezzati dai pescatori locali.
Il Delta, che abbiamo potuto osservare nel suo insieme sorvolandolo con un Cessna, si contrae e si espande secondo il ritmo stagionale delle piogge e il colore della savana mischiato al verde della vegetazione e al blu delle acque, lo rende un paesaggio lunare. Quando il velivolo si abbassava potevo riconoscere che i puntini neri, che avevo intravisto da lontano, erano mandrie di animali.
Attorno al Delta abbiamo incontrato anche alcuni abitanti appartenenti ai cinque gruppi etnici bantu che vi giunsero intorno al XVII secolo e vivono dedicandosi tradizionalmente alla coltivazione di miglio e sorgo, alla pesca, alla caccia, alla pastorizia e ora anche al turismo.
Mi sono meravigliata di trovare, nel nulla, piccole rivendite di bevande e di frutta fatte di lamiera e tavole di legno e di veder sbucare ragazzini che si offrivano come guide per portarci in giro lungo i canali con il mokoro. L’invito nelle loro capanne e l’offerta di una bevanda veniva fatto con tanta semplicità e gentilezza, così da far apparire la capanna un posto di stile, non un luogo sgangherato.
Mi mette una profonda tristezza pensare che l’ambiente del Delta dell’Okavango, considerato uno dei “santuari” dell’Africa, sia minacciato. Il governo della Namibia ha presentato il progetto, nell’adiacente regione del Caprivi, di una diga che potrebbe costituire un pericolo per il flusso delle acque e, secondo gli studiosi, potrebbe arrecare danni ecologici importanti. Mi auguro che ciò non avvenga.