Il genere è per sua natura parte di essa e ne determina gli aspetti fisici e comportamentali al fine del mantenimento della specie.
Posto questo la moda parla di genere, e dialoga con esso, per il principio di una creatività sempre più diffusa ed inclusiva prescindente le forme tradizionali del maschile e del femminile ed utilizzandole fuori schema per il valore espressivo che possiedono dal tempo della convenzione sociale al tempo dell'espressione puramente formale.
La primavera-estate 2022 ha tracciato il corpo rivelato da forme che sono addizioni espressive dell'uno e dell'altra.
Esse si sono permeate sui corpi per la funzione che i corpi sempre più hanno fuori dalle leggi della termica e sempre più addentro a quelle dell'edonismo e del lavoro che oggi si realizza sull'anatomia dei pensieri.
Il contributo volumetrico e spaziale del tessuto, o dei materiali tecnologici di ultima generazione, genera prospettive e squarci che raccolgono e profilano muscoli, e rimostranze di fluidità espressiva, attraverso i tagli che concentrano l'abito in zone circoscritte: sorta di sparuto arcipelago cromatico nel mare del corpo umano.
A adottare o meglio ancora suggerire tale espressività è una socialità sempre più ibrida che ha nel presente una sua costitutiva identità e che si espande verso coloro che si contaminano del gusto della loro stessa pelle rivelata e dal principio di adesione all'essenza del corpo umano: quella del suo esistere in personalità e volume senza bandiera.
Non è un marchio di moda che diviene baluardo di una percezione erotica specifica, ma è il marchio di moda che può rappresentarne i percorsi più disparati o “disperati”.
Il genere così come descritto in apertura non è un principio arcaico, ma semplicemente un principio che nella sua immagine sta mutando, non nella sostanza. Esso possiede obsolescenza formale ove vi sia una germinazione erotica manifesta di una data modalità comportamentale inedita che socialmente comincia ad imporsi ed attrarre. Trovato un nuovo eros ecco che di certi schemi si fa pulizia, ma non è un automatismo (richiede del tempo).
Discutere sul valore di tale proporzione è fuori luogo in quanto necessaria e nel suo esprimersi, come modalità è bisogno.
Nessun essere umano giunge nella storia da altro processo e fuori da tale misura ma poi si esprime nella sua singolarità. Se si parla dell'identità del singolo la questione è differente rispetto a un principio universale riproduttivo che di fatto aderisce a stilemi comportamentali che si manifestano in natura sempre uguali.
La forma è mutevole ma la sostanza è costante.
Su questo fattore si deve mediare il canale espressivo e narrativo del nostro tempo. Il tema del genere come distinzione formale e comportamentale si basa, storicamente, su pulsioni genetiche legate alla virilità rispetto alla femminilità e affonda la sua matrice consuetudinaria nelle società guerriere più arcaiche.
La Storia dell'Uomo si basa sui soprusi della guerra legati al genere maschile che per conformazione-muscolare e ormonale è spinto al confronto fisico per la conquista. Attraverso questo processo il maschio si è imposto sulla femmina che si è vista circoscritta allo spazio della casa e della famiglia.
Discutere su parità di genere significa parlare delle libertà assolute dell'essere umano, ma questo tema è di recente nascita in quanto le nostre società si sono sempre fondate sulla privazione dell'autodeterminazione della donna e sul concetto di un uomo affranto costantemente dalla guerra e di conseguenza da un bisogno di accentuata virilità.
La donna non poteva essere infeconda né essere brillante e colta perché di tale realtà la società non aveva bisogno, così come di un uomo debole, stolto o menomato fisicamente. Entrambi erano ritenuti inutili.
Il principio discriminatorio di genere trova dunque le sue origini nelle società guerrafondaie, di matrice patriarcale e misogina. Il potere in questi sistemi sociali era accentrato nelle mani degli uomini.
Si ha la prima testimonianza di discriminazione di genere, posta a norma di legge, nell'Antica Grecia. La società greca era di stampo patriarcale e la differenza tra uomo e donna veniva sancita dal sistema giuridico attraverso la giustificazione filosofica dell'inferiorità del genere femminile rispetto a quello maschile avallata dalla biologia stessa. Tale società prevedeva una regolamentazione dei comportamenti e relativo controllo sulla famiglia e la sua discendenza attenendosi all'importanza della procreazione e relegando la donna all'ambito domestico.
In questo contesto era assolutamente normale l'omosessualità e la promiscuità che prescindevano dalla forza fisica e dalle rispettive attitudini stabilite dalla legge. Questa forma mentis è arrivata sino a noi attraverso un rapporto costante con la guerra vista come confronto di forza fisica maschile.
L'evoluzione sempre più tecnologica dei conflitti e la dilatazione dei principi democratici hanno contratto radicalmente i bisogni di scontro e sopruso territoriale ed avanzato maggiore spazio per lunghi periodi di pace ed armonia allargando alle possibili integrazioni dei temi sociali quali la parità tra generi e l'autodeterminazione della donna e di quelle categorie di genere fluido.
Di fatto, nel mondo occidentale, molto si è fatto in termini di potenziamento dell'espressività e della libertà, ma molto c'è ancora da fare su identità che ancora non sono contemplate nel dialogo sociale e che di fatto in termini di immagine e narrativa la moda da tempo racconta.
Non possiamo esimerci dal dire che figure come Greta Garbo, Cecil Beaton, David Bowie, Lindsay Kemp, Grace Jones, hanno fluidificato i pensieri su cosa sia l'essere umano nella sua più ampia rappresentatività.
Il contesto artistico si è sempre espresso a favore di un'immagine libera. Gli sforzi fatti oggi da aziende come Gucci di impostare sul tema del genere la sua comunicazione nascono a nutrimento di una creatività che non va sulla forma del capo d'abbigliamento ma sulla narrativa che in esso si esprime e sulle modalità di giustapposizione del medesimo allo spirito del tempo.
Negli ultimi anni pochi sono riusciti a tradurre in maniera efficace e colta le referenzialità storiche delle manifestazioni di genere e i gusti sessuali come condizione di una traccia libera dagli schemi.
Negli anni '80 del '900 il francese Jean-Paul Gaultier ha gettato le basi di questo discorso con acume ed ironia ricordando come la Storia del Costume fosse da sempre ricca di referenzialità ambigue e provocatorie verso una contemporaneità calcificata, tracciando la sua esperienza creativa sulla stratificazione formale delle parti.
L'inglese Vivienne Westwood ha raccolto dall'epoca elisabettiana e dall'età vittoriana i termini sovversivi dei costrutti formali dell'uomo e della donna, ed impaginato un “teatro” della vita i cui ruoli potevano essere interpretati da entrambe le parti.
La giapponese Rei Kawakubo è giunta in Europa ha disintegrando forma e costruzione per ristabilire l'esplosiva funzione dell'ideazione sprigionata dai corpi a prescindere dalle gabbie mentali della convenzione di genere.
Referenzialità così colte si rintracciano oggi nel lavoro delle grandi Maison come Balenciaga che, attraverso il suo direttore creativo, Demna Gvasalia, ha livellato verso la democrazia espressiva l'archivio del fondatore, ed i canoni della Couture più sfrenata, investendo di volumi e materiali il guardaroba o ancor più l'atteggiamento di Lei e di Lui.
L'irlandese J.W. Anderson ha prodotto collezioni che attingono da un processo che investe l'interior design e l'arte, dall'età rinascimentale ad oggi, per fornirci progetti che raccontano di interdisciplinarità dadaista con la creazione di un lessico la cui semantica è sovrascritta al di là delle parti.
Molti processi creativi parlano ad un mondo ancora fortemente porzionato nella distinzione dei ruoli, ma economicamente molto potente e per questo molto si stempera nella reverenzialità e condiscendenza culturale.
Bisogna altresì ricordarsi che le formulazioni creative della moda sono come l'acqua e penetrano gli interstizi più impervi contribuendo direttamente o indirettamente alla disgregazione dei principi tirannici ed ossessivi dei regimi discriminatori.
La moda per prima approda nell'immaginario collettivo e genera i processi più sovversivi e l'anelito ad una vita piena e consapevole anche a chi vive di privazione.
Il fashion system deve sempre più ragionare sui grandi esempi dati dai couturier del passato quali Chanel e Saint Laurent che hanno scardinato, con acume sartoriale, l'agire politico facendo della propria creatività un'azione rivoluzionaria.
Imporsi con una visione di marketing oculata nell'Occidente, rasserenato dalla stabilità democratica, non significa non essere vincolati dallo sguardo sul mondo.
Come Yves portò l'Africa in passerella e le sue donne di colore sulla copertina di Vogue Paris così Coco si mise giacca e pantaloni in un tempo dove decreti di matrice misogina, quanto arcaica, imponevano alle donne di chiedere il permesso al questore per indossarli.
I grandi esempi di inclusività e dialogo sociale sono da sempre parte del sistema moda perchè ad essi attinge per alimentarsi di ardore rivoluzionario e possono essere il Cavallo di Troia di mentalità che annegano la libertà di espressione ma non possono soffocare la coscienza universale.
La moda può abdicare al profitto ma non all'emozione che la germina. Perseguire l'affare non è il tema dell'abito ma bensì l'espressione dell'anima che lo abita anche se in questo nostro tempo la forma si è legata inscindibilmente al denaro.
Non va dimenticato che la moda è contenitore e contenuto il cui acuto ha da sempre avuto connotazione sociale, e dunque pubblica, ed è divenuta, ed ancora può divenire, manifesto politico.