Un’indimenticabile scena del film Pretty Woman. La semplice e forse un po’ trash Vivian, terrorizzata dall’invito a cena nel ristorante più à la page di Hollywood, chiede al direttore dell’albergo, Barney Thomas, di spiegarle il funzionamento delle diverse posate con le quali dovrà misurarsi. La lezione di bon ton conviviale di Barney è accurata e meticolosa ma servirà molto poco alla povera Vivian che si troverà alle prese con raffinatissime ma inafferrabili escargot. Sono passati poco più di trent’anni dai tempi di quel film e la disperata guida all’uso corretto delle posate e all’eleganza dello stare a tavola appare più che mai inattuale. L’invasione di hot dog, patatine, cheeseburger, kebab e pizze, con una mano all’alimento e l’altra al cellulare costringe, oltre a posture assai poco composte, nella contemporaneità delle operazioni di mangiare e comunicare col telefonino, a parlare col boccone in bocca, cosa un tempo ritenuta disdicevolissima.
La fiaba di Vivian, che ricorda un po’ l’esperienza della protagonista del musical My fair lady e prima ancora del Pigmalione di George Bernard Shaw rimanda a tempi in cui il galateo, anche nelle sue forme più esteriori, ancora aveva un suo rilievo e una sua importanza. E non è solo a tavola che ormai il trash è dilagato irrefrenabilmente.
Chi ha colpito a morte il galateo è soprattutto la televisione, modello dominante e incontrastato di vita: con l’abitudine all’esagerazione, al vivere e all’esprimersi sempre sopra le riga; con folle di veline sempre più sessualizzate, sempre più sgambate, sempre più condannate a sorrisi forzati; con le selve sempre più fitte e oscure di tatuaggi, seconda pelle assai trasgressiva dei più giovani e assai patetica dei meno giovani. E ci vien fatto di pensare come fanno gli infermieri addetti alle attuali vaccinazioni a trovare il punto giusto dove infilare l’ago tra ali di dragoni, serpenti, ghirigori floreali, mostri spaziali, interi testi di canzoni.
Questi sono i nemici giurati e più agguerriti del buon gusto e di quello che una volta si chiamava galateo che hanno fatto perdere il senso della misura e dell’equilibrio, annientati l’una e l’altro dall’esagerazione, dalla violenza verbale, dalla maleducazione. Stiamo vivendo, forse, un momento di rinascita del più esasperato, esteriore e deleterio barocchismo.
I talkershow televisivi – ci si consenta il neologismo – sempre gli stessi, ruotano a turno sugli schermi delle emittenti televisivi, insultandosi, sbeffeggiandosi e qualunque sia la loro professione, giornalisti, opinionisti, politici danno quotidianamente spettacolo inverecondo di turpiloquio.
Intervistati occasionali anche testimoni di tragedie altrui non sempre resistono alla tentazione di sorridere perché sono in televisione e sono certi di essere guardati quasi con invidia dal vicino di casa, dal giornalaio, dal conoscente. E pur di essere davanti alla telecamera schiere di infelici si sottopongono nelle più volgari gare televisive a mortificazioni da schiavi dispensate spesso da divi del teleschermo più torturatori che presentatori.
Ma il senso della misura si è perso anche fuori del mondo dei media. Le automobili sono diventate sempre più inutilmente gigantesche, dismisurate, mastodontiche, con linee e nomi quasi minacciosi e bellicosi. E la guida di questi mostri della strada porta alla prepotenza e al mancato rispetto degli altri automobilisti. I gelati e secchielli di popcorn si fanno sempre più grandi, il volume sonoro della musica non solo nelle discoteche è sempre più violento, senza rispetto per gli sventurati vicini. Perfino nelle riunioni conviviali l’accompagnamento musicale è sempre più amplificato tanto da costringere i commensali a comunicare tra loro gridando a squarciagola.
Come arginare questa pericolosa deriva? Si potrebbe tentare con l’ironia, l’autoironia, e perché no, con la comicità e il divertimento. Seppellendo per sempre con una risata il cattivo gusto, il trash, il malcostume e, chissà rispolverando adeguatamente il vecchio proverbio latino, di un latino facile facile, che anche il più refrattario alla lingua dei nostri padri può capire: “Castigat ridendo mores”.
Si tratterebbe in fondo di un percorso di letture dei padri del nostro humor e della nostra satira, come Maccari, Longanesi, Flaiano, Campanile e di alcuni figli di questa tradizione letteraria, come due promettenti autori di oggi, come Maurizio de Angelis e Maurizio Merolla che hanno dato alle stampe un libro che questo quesito si pone già dal titolo: “Galateo perché sei morto?”. Ma sono solo timidi suggerimenti. Basta andarsene in giro per la rete servendosi quasi come password di parole del tipo umorismo, satira, ironia, spirito per riscoprire vecchi e nuovi strumenti letterari per tentare di risuscitarlo questo povero e vituperato galateo. Perché non provarci?