Il mondo ha bisogno che una madre sistemi le cose nel nostro pianeta sbilanciato.
(Jean Shinoda Bolen, Le Dee dentro la donna)
Sono ritornata a cercare parole condivise con altre donne, in altri tempi, per ritrovare la forza potente del sentirsi parte dell’Universo nel quale la Madre Ancestrale sovrintende all’eterno ciclo di nascita e rinascita, nell’infinito divenire dell’esistenza.
Ho cercato il respiro che dà voce a tutto ciò che vive e crea il legame tra gli esseri che popolano la Terra.
Ho ascoltato parole lontane dallo strepito e dal chiacchiericcio senza qualità, parole che aiutano il nostro animo turbato a ritrovare l’ascolto generoso, il calore avvolgente della solidarietà.
Parole che affondano le proprie radici nell’invocazione alla Grande Madre che parla ogni lingua affinché il suo cuore sia magnanimo nell’assecondare il nostro desiderio di armonia, nell’accompagnare il nostro viaggio.
Ho chiesto di saper accogliere il cambiamento, di saper provare emozioni che ancora non ho provato in una dimensione creata dalla mia memoria, dalla mia immaginazione, dal mio appartenere ad un oggi che non conosco ma che posso imparare a scoprire.
Ho chiesto alle parole di liberare le mie ali da antichi lacci, di aiutarmi a spiegarle in cieli mai esplorati, di ritornare a volare in luoghi mai veduti, di giocare giochi mai giocati alla scoperta di muova leggerezza.
Ho riascoltato parole già pronunciate, vissute, depositate nel ricordo, parole che si confidano attese e speranze, che confluiscono nell’esperienza di altre donne alla ricerca del proprio destino in un mondo che ancora uccide la differenza e discrimina la diversità, che impone il rigore sordo della legge sulla norma impressa nella coscienza originaria.
Sento le parole che Antigone rivolge a Creonte, la lingua del cuore che non soccombe al volere dello Stato:
Io non nacqui per condividere odio ma per condividere amore.
Sfogliando il libro dei desideri trovo parole che, nel vortice di questo oscuro presente, sanno ancora raccontare la pioggia che ti bagna mentre cammini libera su di un prato circondato da alberi secolari. A terra gli ultimi fiori di un lento Autunno.
Sul tuo volto il respiro del vento.
Parole che riverberano la visione folgorante che ti viene da dentro l’anima e ti spinge ad avere fiducia anche quando tutti ti dicono che non è la ragione a guidarti, che stai correndo il rischio di allontanarti dal buon senso comune, dall’abitudine, eppure tu sai che il tuo cuore conosce la via della verità e ti abbandoni alla voce antenata che da secoli ha dimora dentro di te e lasci che sia la saggezza a guidarti.
Parole di donne da lontani deserti in cammino verso il pozzo profondo dove l’acqua è il bene più prezioso, nella ripetizione di gesti immutati dai primordi del tempo, testimonianza della fierezza della grande Anima femminile.
Parole che fluiscono con gentilezza amorevole e narrano dell’acqua che assume sempre diversi contorni pur restando se stessa, che si lascia raccogliere dalle tue mani e sa nutrirti e dissetarti come faceva tua madre quando era lei a prendersi cura di te e tu non avevi timore alcuno.
Parole che appartengono ad un sapere antico:
Parole che curano, parole che guariscono, parole che custodiscono segreti, parole che svelano, parole che insegnano ad amare e a morire, a liberare l’anima e il corpo dalle catene dei pregiudizi, dal sospetto e dall’indifferenza.
Parole per esprimere la tenerezza verso ogni creatura, che sia animale, pianta, uomo, verso ogni creatura che è parte dell’incessante danza della vita, che respira attraverso l’aria o nelle profondità del mare, che si scalda ai raggi del sole o si muove silenziosa nel buio inondato dalla luna, che conosce e ascolta i segni della paura ma sa gioire della libertà e dello scampato pericolo.
Parole che entrano in intimità con la Natura e condividono la sapienza delle sue forze capaci di scatenare e dominare gli elementi.
Parola che è capacità di dare ascolto, è disponibilità ad accogliere, è pazienza dell’attesa, è costanza nella cura che non cessa mai di offrirsi come un dono a tutti coloro che chiedono attenzione e amore.
Ritrovo parole di saggezza dimenticate, abbandonate da tempo e che ora risuonano di nuova voce:
La fortuna ha origine nella sfortuna,
e la sfortuna si nasconde nella fortuna.
Chi sa in che modo accadono queste cose,
o quando il ciclo si concluderà?
Il bene sembra trasformarsi in male,
e dal male spesso ne deriva il bene.
Queste cose sono sempre state difficili
a comprendere.(Lao Tzu, Tao Te Ching)
Ascolto parole che dicono dell’accudire e del nutrire l’ospite, dell’offrirgli acqua per lavarsi e dissetarsi, parole che esprimono il desiderio, che ancora vive e ci appartiene, di ritrovarsi nel cerchio virtuoso della condivisione dentro al quale non possono entrare il pensiero della guerra, la rabbia che uccide, il seme dell’odio che non si placa:
Sempre pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare, aspetta.
Dicono che è cieco. Cieco?
Ha la vista aguzza del cecchino
e baldanzoso guarda al futuro,
lui solo.(Wisława Szymborska, La fine e l’inizio)
Parole che attingono alla conoscenza degli elementi, la Terra, l’Acqua, il Fuoco, l’Aria, parole che hanno familiarità con i percorsi che discendono dalle stelle, un sapere che subisce la violenza di un potere oscuro ma che non ha perduto il proprio legame indissolubile con le Forze primordiali.
Nel turbinio di parole pesanti, ricoperte di significati presunti, sguainate come spade taglienti, ci sono parole che non giudicano, che non tradiscono e non provano invidia, che non si prestano agli intrighi e alla menzogna, che sanno perdonare e chiedere perdono, che non coltivano sentimenti “bellicosi”, perché le parole sono azioni, azioni che feriscono, che separano, che tolgono fiducia, che lasciano nei cuori tracce che si fatica a cancellare, che diffondono un latente anche se debole e apparentemente innocuo desiderio di vendetta.
Questo impasto di sentimenti, di emozioni accatastate e compresse, unito al potere ed alla follia che spesso gli è compagna, portano alle molteplici facce della violenza e della guerra, alla distruzione del rispetto per la dignità di ogni essere vivente, alla perdita della visione ampia e armoniosa della diversità.
C’è bisogno di parole che alimentino la scintilla che tiene desto il fuoco della benevolenza e della generosità: un calore forte e delicato che accarezza con indulgenza la fragilità che non cancella il nostro spirito indomito.
Un fuoco mite che scalda le nostre ossa quando cominciano a ricordarci che stiamo per incontrare la vecchiaia e che dobbiamo imparare a conoscerla, a non averne paura, a considerarla un altro “femminile” per il quale nutrire rispetto e comprensione e che ci aiuterà a non dimenticare chi è più debole, chi ha bisogno di essere ascoltato.
Ritrovo la parola che risuona nel canto che induce il sonno, la parola che trasferisce lo spirito bambino in quel mondo dal quale il nostro corpo ci tiene temporaneamente separati, ma al quale tornare attraverso il sogno.
Riconosco la parola sacra che dà i nomi alle cose per insegnare al bambino a riconoscerle ripetendo così l’atto originario con cui ogni cosa viene assegnata alla vita.
La parola che nei miti è potenza generante, soffio divino che va a formare la trama sonora del Creato, la sposa di Brahma, VAC, principio femminile onnipresente, onnipotente e onnisciente.
Incontro parole che hanno il coraggio di intraprendere il cammino attraverso la foresta che conduce alla caverna dalla quale ogni vita si schiude e alla quale ogni vita ritorna per dare inizio ad un nuovo viaggio.
Un cammino che porta alla scoperta della nostra interiorità, del nostro intimo sentire, che accende la luce sui lati oscuri e nascosti del nostro cuore e ci spinge ad esplorarli fin là dove il sapere è doloroso, affaticante, talora carico di disperazione come in questo nostro presente senza risposte.
Non desistiamo mai dall’esplorare
E la fine di ogni nostro esplorare
sarà giungere là donde siamo partiti
e conoscere quel luogo per la prima volta.(Thomas Stearns Eliot, Quattro Quartetti)
Con commozione mi sono tornati in mente questi versi.
(A cura di Save the Words ®).