Chi si rispetta sa come farsi rispettare, chi si stima sa come farsi stimare.
Il proverbio cinese ti porta subito al cuore della questione. Rispetti gli altri esseri umani se rispetti in primo luogo la tua persona, la tua identità molteplice, il tuo evolvere nel continuo mutamento del mondo.
Il rispetto è un sguardo benevolo nei confronti di ciò che ti sta attorno, sguardo che riverbera della stessa discrezione e della medesima attenzione che riponi nel tuo guardarti dentro, alla ricerca di qualche domanda, di un po’ di comprensione, di qualche perché da levigare nel tempo, come una pietra sul greto del ruscello quando l’acqua è già scesa verso valle. Ecco quindi che chi è più solido ha meno bisogno del disprezzo, dell’offesa o della noncuranza che del rispetto sono i contrari: le persone robuste rispettano di più.
Uno sguardo alle spalle
La parola rispetto è intrisa di sguardi, di occhi, di pause, di tempi opportuni per osservare le cose, per comprendere senza giudicare, per ammirare le impronte dei passi, tuoi e altrui. In latino respectus significava proprio il guardare indietro, l’adocchiare alle spalle, lo scrutare posteriormente, il volgere la testa per controllare quello che è successo dopo il tuo transito.
Solo dopo quello sguardo, può emergere il riguardo, cioè il ri-guardo, che è anche considerazione. Nell’antica Roma, il verbo da cui il sostantivo respectus è derivato era il verbo respĭcĕre che significava appunto ‘guardare indietro’, ‘volgersi a guardare’, fare una pausa per ‘rivolgere l’attenzione a qualcuno’. Quando rispetti una persona, i tuoi occhi diventano protagonisti, perché rallenti il passo, rendi più sapida la tua andatura, consenti alle tue retine gravide di desiderio di fissare per davvero ciò che ti è reso manifesto.
In questo sguardo all’indietro, in questo volgerti a esaminare, scopri non solo le tracce del tuo passaggio ma comprendi anche le mille sfaccettature delle persone che hai incontrato lungo il cammino. Dietro ogni individuo che osservi, alle spalle di ciascuno, si conserva il suo passato, si accumulano i sorrisi e le ferite della vita, si intravedono le stoffe multicolori che agghindano le pareti delle esistenze.
In questo modo, rispettare acquisisce senso e significato: nello sguardo rispettoso all’indietro riesci a guardare oltre te stesso/oltre te stessa, oltre le apparenze, oltre le superfici, oltre le prime evidenze che un’occhiata frettolosa ti regala.
Nello sguardo rispettoso all’indietro, ti scopri parte di un’umanità che ti è simile: donne e uomini annodati tra loro, accomunati dalle diversità, valorizzati dall’essere unici e irripetibili, componenti di una unitas multiplex, una ‘unità molteplice’ nella quale si alternano e convivono logos e pathos, tragedia e commedia, saggezza e follia, prosa e poesia, bellezza e bruttezza. “Ciascun volto è il simbolo della vita. E tutta la vita merita rispetto. È trattando gli altri con dignità che si guadagna il rispetto per se stessi”, è una riflessione dello scrittore francese Tahar Ben Jelloun, uno dei nostri grandi autori contemporanei.
In quello sguardo rispettoso all’indietro osservi l’alterità che sta nel volto altrui a cui vuoi portare rispetto e sta nel tuo stesso volto che è diverso a seconda dei contesti, delle luci che lo illuminano, dell’ora del giorno in cui viene analizzato. È così nella tavolozza multicolore delle esistenze umane, è così nelle albe ed è così nei tramonti.
Auspicare gli sguardi
Del resto, il verbo respĭcĕre è composto del prefisso re- e del verbo specĕre, ‘guardare’, come riguardare è ri- guardare. Quello specĕre in italiano fa capolino in molte parole, che talvolta hanno un significato evidente connesso allo sguardo e talvolta da quel significato originario hanno preso le distanze, voltandogli le spalle, facendosi accompagnare da prefissi che ne modificano il senso come è accaduto per esempio con rispetto.
Da specĕre è derivata la specie, che in origine significava ‘immagine’ e ‘apparenza’ e solo con il passare dei secoli, transitando di bocca in bocca, ha acquisito il senso di un insieme di cose o di persone con caratteristiche simili che si differenziano da altre dello stesso genere. E poi a sua volta, da specie, sono derivate la specialità, la specializzazione e la specifica.
Lo specĕre ha partorito un paio di indovini, due stregoni, due Tiresia, ciechi e insieme chiaroveggenti, che ti aiutano a interpretare i segni e ti predicono il tuo futuro.
Uno è l’aruspice, mago perché sa comprendere le viscere, osserva le interiora degli animali e ne trae presagi, si lascia rapire dai ghirigori delle budella e da quelli comprende ciò che sarà. La prima parte della parola aruspice, haru-, vuol dire proprio ‘viscere’, ‘interiora’. La radice antica è indoeuropea, la stessa che ha prodotto la parola ernia. In greco antico khordḗ significava ‘intestini’, ‘budella’ e da quel termine in italiano abbiamo ottenuto la parola corda.
Il secondo indovino è l’auspice, sacerdote divinatore che al tempo degli antichi Romani osservava nel cielo azzurro il passaggio degli uccelli e da quel volteggiare, da quei battiti d’ali, da quei movimenti arditi traeva elementi per conoscere il futuro. La parola auspice è composta di avis ‘uccello’ e specĕre ‘guardare’: propriamente l’auspice è ‘colui che osserva il volo degli uccelli’ come segno di presagio negativo o positivo. Quando auspichi qualcosa, tienilo bene a mente.
Al verbo specĕre rendiamo grazie perché possiamo goderci uno spettacolo, che è ciò che si guarda, e perché possiamo guardarci allo specchio, lo strumento che ti fa guardare. In questo contesto di riflessioni sul rispetto, lo specchio ti ricorda proprio l’importanza di guardare indietro, di tenere in considerazione ciò che è stato, di apprezzare la storia delle persone e la storia delle parole: entrambe sono un intreccio di storie, di narrazioni, di fili che si intersecano per formare trame e orditi meravigliosi.
Da specĕre sono germinati però anche i dispetti, cioè le azioni compiute con l’intento di irritare e di molestare (da despĭcĕre ‘guardare in giù’, ‘disprezzare’), e i sospetti, che sono dubbi non sempre fondati su qualcuno o qualcosa (da suspectāre ‘sospettare’, propriamente ‘guardare da sotto in su’, ‘guardare verso l’alto dal basso’, verbo frequentativo di suspicĕre, a sua volta ‘guardare in alto’, ‘sospettare’).
A specĕre ti riferisci poi quando parli di aspetto e di introspezione (il ‘guardarti dentro’), di aspettativa e di prospetto, di spettanza e di speculazione, di spettri paurosi come fantasmi e di spezie, dal profumo intenso e dalle suggestive capacità evocative che usi per i tuoi cibi più prelibati.
Per rispettare devi fare attenzione alle altre persone
Il rispetto è un atteggiamento fondato sulla consapevolezza dei meriti, dei diritti e delle qualità altrui. Rispettare una persona vuol dire quindi in primo luogo essere centrati al di fuori di sé. Per rispettare non devi essere attratto/attratta dal tuo ombelico. Per rispettare devi prestare attenzione a ciò che ti sta attorno.
Già attenzione, parola derivata di attendere cioè tendere ad-, tendere verso qualcosa, percepire la tensione della corda dell’arco prima che la freccia venga scoccata. Il rispetto è attenzione. L’attenzione è rispetto.
Avere rispetto per le altre persone significa riflettere sulle differenze che esistono tra altri tre verbi che – come attendere – derivano da quel verbo tendere tanto fantasioso e tanto produttore di significati: contendere, pretendere ed estendere. Quando rispetti non contendi nulla alle altre persone, perché sei consapevole che i pregi degli altri portano beneficio anche a te. Quando rispetti non pretendi dalle altre persone, perché sai che ognuno dà secondo le proprie possibilità e le pretese sono sempre accampate forzature. Quando rispetti, invece, estendi la tua luce perché accresci la luce degli altri, gestisci le relazioni con tatto, che diviene contatto, cioè legame, comunanza, unione.
L’attenzione in definitiva è questo: saper cogliere le opportunità di estensione di sé che possono derivare dal rispetto per gli altri.
Come tenere in buon conto gli altri
Rispettare una persona significa tenerla in buon conto. Cioè apprezzarla. Cioè stimarla. Nel rispetto entrano quindi i numeri, le cifre, i calcoli, la matematica, l’aritmetica.
Sappiamo che contare e raccontare sono due fiumi emissari che provengono da uno stesso bacino d’acqua: nel tenere in conto raccontiamo una storia meravigliosa intessuta delle trame altrui.
Sappiamo che per apprezzare dobbiamo conoscere il prezzo che a sua volta è una variante di pregio e quindi di valore: rispettare vuol dire quindi riconoscere l’altrui pregio, il prestigio che sta nella testa e nel cuore delle altre persone, così diverse da te, così simili a te.
Sappiamo infine che per stimare, cioè per tenere in considerazione, dobbiamo in primo luogo estimare e cioè quotare, misurare, ponderare, soppesare, riporre sul braccio della bilancia per comprendere quanto questo si abbassa o si alza: il rispetto è allo stesso tempo stima (cioè ammirazione) ed estimo (cioè capacità di valutare). Il discernimento, sempre, fa parte del rispetto.
Con rispetto e osservanza
Con rispetto e osservanza. Così finivano le lettere di un tempo, vergate a mano, quando era dovuta al destinatario la massima deferenza. Ecco il rispetto è appunto anche osservanza, dal verbo osservare che contiene molto di più dello sguardo. Nell’osservare affiora non solo lo sguardo ma l’idea di custodia, di preservare nel tempo, di tenere in considerazione. Il verbo osservare ha infatti l’impronta del latino servāre ‘conservare, custodire’ col prefisso ob- e quel servāre a sua volta è collegato a servus, cioè ‘servo’.
Sinonimo di rispetto, in quanto osservanza, è anche la parola ossequio. Nell’ossequio troviamo il riguardo che è dovuto alle persone che, ai nostri occhi, occupano un rango di prestigio. In latino obsequĭum era ‘deferenza, rispetto, obbedienza’, derivato del verbo obsĕqui ‘conformarsi, compiacere, obbedire’, da sĕqui ‘seguire’ col pref. ob-. Quando provi rispetto per qualcuno cerchi di conformarti alle sue volontà: provi a compiacere al suo pensiero, cerchi di obbedirgli quando ti chiede qualcosa, ma sempre con giudizio e senza eccessi.
“Rispetta il prossimo tuo come te stesso… e anche qualcosa in più”, è un aforisma attribuito allo scrittore siciliano Leonardo Sciascia.
Il rispetto brilla come una stella
Portare rispetto significa anche tenere in alta considerazione. E considerare ci porta verso il cielo. Quando consideri, valuti con attenzione, scruti per poter discernere. Nella lingua dei romani antichi, il verbo considerāre significava appunto ‘osservare’, ‘scrutare’. Il legame con il cielo è presto detto: quel verbo ha come genitore il sostantivo sīdus, sidĕris, che voleva dire ‘astro’, anticipato dal prefisso co(n)-. Il significato originario di considerāre era quindi quello di ‘osservare gli astri’, ancora una volta per trarne auspici, per rischiarare un po’ meglio l’ombrosità dell’esistenza. Chi rispetta ha considerazione per gli altri, li osserva come guardasse una stella, per cercare di coglierne un po’ di luce, per interpretare il futuro, per lasciare che i movimenti di quei puntini lassù, talvolta cadenti come in queste notti, forniscano segnali e aiutino a capire.