Approfitto dell'argomento oggetto del manoscritto che ho in stesura in questo momento, volto a fare chiarezza definitivamente sulle conoscenze geografiche e sui viaggi transoceanici rinascimentali, per promuovere una riflessione di ampio raggio su quello che è stato e continua, ahimè, ad essere un uso strumentale dell'arte del Rinascimento e dei suoi contenuti, che sono stati modellati attorno a una ricostruzione storica e culturale faziosa e artefatta.
A mero titolo d'esempio, basti ricordare la notizia battuta in queste ore un po' ovunque nel mondo secondo la quale un team di studenti dell'Università Statale di Milano, coordinato dal docente del dipartimento di Studi Letterari Filosofici e Linguistici Paolo Chiesa, avrebbe scoperto la prima menzione dell'America nell'Area Mediterranea in un'opera inedita medievale scritta attorno al 1340 e conservata presso una collezione privata statunitense1.
In realtà si tratterebbe di una menzione alla Marckalada, che richiama alla mente la Marckaland presente nelle saghe norrene, cioè quel territorio a Nord degli Stati Uniti frequentato attorno agli anni 1000 dai navigatori vichinghi insieme ad altri territori chiamati Vinland, Helleland e Grønland e già rappresentati in più di una mappa medievale.
L'argomento in questione è naturalmente vastissimo e merita per l'appunto di essere trattato in un'intera pubblicazione anziché condensarlo in singolo articolo, come sto facendo, ma voglio comunque provare a stimolare nel lettore una riflessione profonda sull'uso strumentale che viene fatto di certa documentazione storica e artistica per produrre tesi speculative. Lo farò analizzando un affresco a me molto caro, in quanto proprio quest'opera ha determinato l'inizio del mio percorso di studi e ricerche attuali attorno a Leonardo da Vinci e alle conoscenze rinascimentali più in generale.
Alludo allo straordinario quanto anacronistico planisfero contenuto nella Sala della Creazione di Palazzo Besta a Teglio, in provincia di Sondrio.
L'anacronismo contenuto in questa rappresentazione viene erroneamente ricondotto dagli studiosi al fatto che il planisfero in questione presenti l'Antartide priva della spessa coltre di ghiacci che oggi la ricopre; la sua datazione viene fatta risalire anche dai totem posti dalla Direzione del Polo Museale presenti all'interno della sala alla metà del XVI secolo, secondo una tesi astrusa che lo considererebbe una copia di un planisfero cinquecentesco opera di Caspar Vopelius, anche detto Caspar Vöpell, un astronomo, costruttore di strumenti di misurazione, cartografo e docente al Montanergymnasium di Colonia.
Vopelius non è certamente un colosso della cartografia, surclassato da astronomi più quotati del calibro di Gerardus Mercator, Martin Waldseemüller, Sebastian Münster o Martin Behaim.
Nonostante ciò, Vopelius inizia la sua produzione nel 1532 con un avanguardista globo celeste in cui compaiono per la prima volta "i capelli di Berenice", un asterismo oggi noto col nome di Chioma di Berenice, conosciuto nell'antichità ma non nel Medioevo.
Già da questo particolare si può intuire come Vopelius dovette avere avuto accesso a un importante archivio che comprendeva preziose conoscenze del passato in parte perdute.
Negli anni a seguire, Vopelius si dedica alla costruzione di un paio di altri globi, sia terrestri che celesti, e appunto alla stesura di un planisfero, la Weltkarte del 1545, mai ritrovata in originale.
Il che già la dice lunga ...
Di questa carta del 1545 esistono solo due copie postume: una del 1558, ubicata alla Hoghton Library di Harvard in Massachusetts, (U.S.A), in pessime condizioni di conservazione, e una del 1570, conservata oggi alla Herzog August Bibliothek di Wolfenbüttel in Germania.
Una terza copia della Weltkarte di Caspar Vopelius del 1545 sarebbe appunto quella affrescata nella Sala della Creazione di Palazzo Besta (secondo una attribuzione alquanto superficiale e fantasiosa, come vedremo) nella seconda metà del XVI secolo.
Per onor di cronaca (o amor di verità, scegliete voi), nella sala della creazione di Palazzo Besta, accanto al planisfero in parola sono presenti due zodiaci, uno boreale e uno australe, in cui compare proprio la Chioma di Berenice apparentemente riproposta per la prima volta proprio dal nostro Caspar Vopelius, anche se con una rappresentazione grafica sui generis (e cioè sotto forma di pesce e non di chioma cappelluta).
L'intero ciclo pittorico della sala valtellinese, del cui autore non si fa menzione alcuna nonostante l'altissimo tasso di contenuti e chiari riferimenti leonardeschi, viene ricondotta dagli studiosi che mi hanno preceduto alle incisioni di Bernard Salomon, un artista francese attivo tra il 1540 e il 1560, pubblicate in una edizione di Quadrins historiques de la Bible, edita anche in Italia nel 1554 col titolo Figure del Vecchio Testamento con versi toscani.
A guidare queste interpretazioni del tutto presuntive c'è l'assunto (e cioè una congettura senza prove di sostegno ma che diviene assolutamente vincolante) che l'America sia stata "scoperta" prima da Cristoforo Colombo nel 1492 e successivamente visitata da Amerigo Vespucci a partire dal 1497; in virtù di ciò, si imputa ufficialmente (ed erroneamente) al nome di battesimo di quest'ultimo il nome dato al Nuovo Mondo, così come testimoniato nella carta del 1507 di Martin Waldseemüller.
In realtà l'intero impianto pittorico della Sala della Creazione rimanda alle conoscenze dell'ambito fiorentino sviluppate dall'Accademia Neoplatonica, un polo culturale creato nel 1459 a Firenze attorno alle figure di Marsilio Ficino, Andrea Poliziano, Pico della Mirandola, Cristoforo Landino, Leon Battista Alberti, Paolo dal Pozzo Toscanelli e molti altri, tra i quali i fratelli Giuliano e Lorenzo de' Medici e lo stesso Leonardo da Vinci.
Anche il rimando succitato del Salomon alle Figure del Vecchio Testamento con versi toscani dovrebbe indurre in tal senso più di una riflessione, tanto più se si considera che analoghe rappresentazioni a quelle del ciclo della Sala della Creazione si trovano già sulla Porta del Paradiso del Battistero di Firenze, realizzata tra il 1425 e il 1452 dal Ghiberti e dunque pienamente compatibili con la datazione del 1459 suggerita dal planisfero che ha orientato i miei studi iniziali.
A propendere per quest'ultima riflessione, del resto, e cioè il carattere originario della rappresentazione pittorica, si consideri il fatto che nella sala valtellinese sono presenti una quantità di scelte iconografiche originalissime che non trovano poi corrispondenza in nessun'altra sala affrescata al mondo, risultando così l'espressione di una conoscenza assai profonda che la classifica come l'opera di un artista di primissimo piano di quell'ambito culturale e artistico fiorentino.
Tra queste rappresentazioni, che includono spartiti musicali e corpi sottili di luce, indubbiamente figura quel planisfero a me tanto caro e da cui prese spunto il mio intero percorso di studi, ed in calce al quale, incisa, possiamo trovare una scritta alquanto emblematica, che riporto rispettosamente degli spazi realmente presenti tra le varie parole:
TERRA AUSTRALIS ANNO 1459 SED NONDUM PLE NE COGNITA.
Testualmente: “la Terra Australe nell'anno 1459 come non ancora pienamente conosciuta”.
Se, come penso e sostengo ormai da diversi anni, la matrice di quest'opera è neoplatonica - e quella data apposta in calce (1459) lo comproverebbe - l'anacronismo che questa rappresentazione geografica include andrebbe esteso anche alla rappresentazione delle Americhe in essa contenuta.
Un anacronismo di almeno 33 anni, posto che basti una data di sbarco per giustificare la piena mappatura di un intero continente, cosa che ovviamente non può essere.
Sta di fatto che di rappresentazioni equiparabili a questa ne esistono una infinità, già a partire dai primi anni del XV secolo, ad opera dei più grandi artisti dell'epoca: Pisanello, Piero della Francesca, Botticelli e altri. Una circostanza, quest'ultima, che rendere questa mia considerazione una tesi anziché un assunto.
A parte quest'ultima considerazione, il cui approfondimento è qui impedito per una questione di spazi e modalità e per cui rimando all'opera in costruzione, voglio portare la vostra attenzione su alcuni particolari inclusi nel planisfero di Palazzo Besta e nella Weltkarte di Vopelius; da questi si evince chiaramente come, in realtà, l'ordine cronologico relativo a queste due opere sia stato volutamente ribaltato dall'uso strumentale di alcune informazioni, col chiaro intento, non so se volontario o conseguente a una scarsa conoscenza della storia e della storia dell'arte, di alterarne un rimando temporale che altrimenti minerebbe l'intera ricostruzione storica e l'impalcatura accademica di riferimento.
Se guardiamo la Weltkarte di Caspar Vopelius, infatti, non possiamo non notare alcune macroscopiche quanto insostenibili evidenze, la cui analisi porta a ribaltare completamente l'ordine cronologico delle due rappresentazioni. Sotto alla mappa di Caspar Vopelius, infatti, la scritta incisa sul planisfero di Palazzo Besta si trasforma come segue:
TERRA AUSTRALIS RECENTER INVENTA ANNO 1499 SED NONDUM PLENE COGNITA.
Approfittando dei vuoti della scritta incisa sotto al planisfero di Teglio tra AUSTRALIS e ANNO, nella mappa di Vopelius è stato inserito un "RECENTER INVENTA", mentre la data è stata modificata da 1459 in 1499.
La dicitura completa, inclusiva delle aggiunte posteriori che ne stravolgerebbero completamente il senso di quella originale, diviene dunque: “la Terra Australe recentemente scoperta nell'anno 1499 come non ancora pienamente conosciuta”.
Il cambio della data è probabilmente in linea con la volontà dell'autore (o più facilmente del committente) di contemplare nella rappresentazione, sotto un aspetto meramente temporale, i primi viaggi di Amerigo Vespucci, che però alla data del 1499 si limitarono all'isola di Cuba e al Venezuela (così chiamata perché avrebbe ricordato una piccola Venezia).
Sebbene sia innegabile che sotto un profilo politico questo cambio di data risulti estremamente funzionale e vantaggioso (tra l'altro alla famiglia Vespucci è legata una rappresentazione sottintesa delle Americhe da parte del Ghirlandaio nella cappella di famiglia nella chiesa di Ognissanti in Firenze, ufficialmente datata 1476-7, espressamente nella forma del velo della Madonna della Misericordia sotto al quale si riuniscono esponenti della famiglia Vespucci col Vescovo Antonino Pierozzi e Lucrezia Tornabuoni), la correzione della data da sola non giustificherebbe però il fatto che l'intera rappresentazione includa le coste occidentali delle Americhe (come di fatto non sono giustificate nella mappa del 1507 di Martin Waldseemüller, la prima mappa in cui compare il nome AMERICA), in quanto la circumnavigazione di Magellano oltre il Capo di Buona Speranza risale soltanto al 1522.
Ancora una volta, però, sono i particolari di quella scritta apposta sotto alla mappa di Vopelius a suggerire più di una criticità.
Partiamo dalla prima parte della scritta incriminata: "Terra Australis RECENTER INVENTA anno 1499".
Assumiamo pure, anche se solo per un attimo, che la mappa originale sia la Weltkarte di Vopelius, e dunque la datazione di riferimento sia il 1545 - come sostiene la tesi accolta dal Polo Museale della Lombardia secondo la tesi avanzata da due studiosi anni fa2 - e non 1459 come suggerito dall'affresco della Sala della Creazione di Teglio e da me sostenuto ormai da diversi anni.
In base a ciò dovremmo pensare che poco prima del 1545 qualcuno ha scoperto (e ovviamente mappato) il continente Antartico.
Al di là del fatto che un territorio ampio come l'Antartide necessita di qualche "annetto" per essere mappato con gli strumenti dell'epoca (particolare con cui nessuno fa mai di conto quando si tratta di queste rappresentazioni cartografiche, accontentandosi di una superficiale congruenza cronologica o nominale), per farlo correttamente le sue coste avrebbero eventualmente dovuto essere prive dei ghiacci per essere rilevate. Circostanza che storicamente è comprovato non essersi verificata.
Questa è un'osservazione oggettiva, quindi ritengo che nessuno possa avere qualcosa da obiettare. A questo si aggiunga il fatto tutt'altro che marginale che, ufficialmente, l'Antartide viene scoperta solo nel 1820 da un equipaggio russo3, sebbene la stessa sia inclusa in una moltitudine di rappresentazioni rinascimentali, e non certo per un mero fattore estetico.
Questo particolare non è di poco conto, in quanto renderebbe tutte le rappresentazioni antiche di fatto anacronistiche, indipendentemente che l'Antartide sia stata rappresentata con la coltre dei ghiacci che la ricopriva o meno.
La scritta apposta in calce alla mappa di Vopelius, dicevo, aggiungendo qualcosa che nel planisfero di Palazzo Besta non c'è, rappresenta un evidente tentativo di voler far rientrare artificialmente la mappa del cartografo tedesco nell'ortodossia cronistorica accettata e condivisa.
E nessuno pare obiettare il senso anacronistico di ciò che quella affermazione sta a indicare, e cioè il fatto sensazionale che l'intero continente (inaccessibile a motivo dei ghiacci che lo avvolgono) lì rappresentato interamente sarebbe stato scoperto poco tempo prima e non ancora del tutto conosciuto (il che, tra l'altro, significa implicitamente ammetterne persino una parziale frequentazione).
Una affermazione assai contorta e sibillina, ammetterete, che oltretutto farà poi capolino in tantissime rappresentazioni cartografiche dell'epoca, rendendole di fatto tutte quante anacronistiche, o improbabili, secondo quella che dovrebbe essere secondo gli accademici la cronistoria delle scoperte cartografiche.
Il che apre legittimamente le porte ad un interrogativo alquanto legittimo: a quando risalirebbero effettivamente tutte quante le rappresentazioni cartografiche rinascimentali, e conseguentemente le conoscenze nella disponibilità dell'uomo circa la completezza delle terre emerse sul nostro pianeta?
In conseguenza di questo interrogativo, oltretutto, cadrebbe ogni considerazione più o meno speculativa su chi per primo approdò nelle Americhe, ponendo così fine alla ricerca di un primato senza senso e fondamento.
Una stucchevole pruderie del mondo occidentale che sinceramente lascia il tempo che trova se solo si avesse l'onestà intellettuale di riconoscere che le Americhe erano abitate da tempo immemore da persone con una propria cultura e dignità assolute.
Certo, molto diverse da quelle del mondo occidentale, ma non per questo meno legittimate. Anzi, incentrandosi su una Legge Naturale e Astronomica, propenderei per il senso contrario.
Del resto, basterebbe confrontare la rappresentazione della terra nel planisfero di Teglio all'anno 1459 con una moderna rappresentazione cartografica della Terra per rendersi immediatamente conto della puntualità assoluta con cui l'Antartide vi è stata rappresentata, a certificare il fatto che il cartografo o il pittore che l'ha rappresentata avevano una conoscenza reale del globo terrestre ben più completa di quanto siamo educati a pensare.
Un ulteriore motivo per stabilire un ordine cronologico tra la mappa di Teglio e quella di Caspar Vopelius riguarda il fatto che le due parole aggiunte, RECENTER INVENTA, presentino una linearità grafica rispetto al resto della scritta che si imposta, invece, su una linea curva. Anche questo indizio lascia intendere come siano state apposte in un secondo tempo.
Allo stesso modo la data 1499, che risulta essere più grande rispetto alle altre lettere, quasi a evidenziarla.
Oltretutto nel planisfero di Palazzo Besta le scritte originali sono incise e in posizioni diverse rispetto a quelle chiaramente sovradipinte in un secondo tempo riprendendo quelle riportate nella Weltkarte.
Ho già ampiamente dimostrato in altre sedi come le conoscenze geografiche nella Firenze medievale e rinascimentale risalgano agli anni a cavallo tra il XIV e il XV secolo, principalmente grazie all'opera dell'umanista bizantino Manuele Crisolora, il quale nello Studium Fiorentino tradusse l'Almagesto di Tolomeo per conto dell'Imperatore Sigismondo d'Ungheria.
In virtù di ciò, non è da escludersi che il nome America sia stato dato al continente americano proprio per celebrare il nome del figlio del primo Re Cattolico d'Ungheria Stefano I, che si chiamava appunto Emmerich (Amerigo).
L'opera di Crisolora fu completata nel 1410 da Jacopo Angeli da Scarperia e data poi alle stampe per la prima volta solo dopo il 1475.
Non è quindi impensabile che i cartografi fiorentini vi fecero riferimento, compreso Paolo dal Pozzo Toscanelli che nel 1474 fece diverse menzioni, sia scritte che grafiche, alle terre nel mezzo dell'Oceano Pacifico.
Addirittura egli fa specifica menzione a un piccolo gruppetto di prelati portoghesi che si sarebbe insediato nell'Isola di Antilia nell'VIII secolo4, poi ripresa anche da Behaim nel planisfero che replica quello di Toscanelli5.
Non è dunque difficile pensare che, come il resto degli impianti pittorici dell'intera sala, anche quel planisfero fu ispirato da quelle conoscenze neoplatoniche che invasero Firenze agli inizi del XV secolo, dando poi vita a quel movimento di rilancio delle arti che passa sotto il nome di Rinascimento.
La stessa "forma a cuore" della cornice della Weltkarte, che si vorrebbe essere uno degli indizi per cui stabilire una dipendenza del dipinto di Teglio dalla carta di Vopelius e che riprenderebbe il manto della Madonna della Misericordia del Ghirlandaio in precedenza richiamato, era nella disponibilità del mondo accademico neoplatonico fiorentino di metà XV secolo, tanto che anche Leonardo la rappresentò come proiezione piana di un mappamondo nei suoi codici.
In quest'ottica, appare decisamente più attendibile della matrice neoplatonica toscana del XV secolo il fatto che il planisfero di Palazzo Besta risulti sovrapponibile a un disegno dell'Area Mediterranea contenuto in uno dei tanti codici lasciatici da Leonardo da Vinci, con una puntualità nella ripetizione di alcuni errori macroscopici che non lascia spazio ad alcun dubbio (come l'anomalia della Puglia o un'apertura eccessiva sullo stretto del Bosforo).
A tal proposito, permettetemi un peccato campanilistico. Nel 1502 Leonardo fu interpellato dal sultano Bayezid II per progettare di progettare tra la Punta del Serraglio e Pera (proprio là dove la mappa di Teglio presenta quell'anomalia presente anche nel disegno di Leonardo) un ponte che avrebbe dovuto utilizzare principi geometrici e architettonici ben noti: l'arco centinato, la curva parabolica e la chiave di volta.
Il risultato sarebbe dovuto essere un ponte6 ad unica campata lungo circa 220 metri e largo 24, ma il sultano non approvò il progetto leonardesco, che rimase nascosto nell'archivio del Topkapi dove solo qualche anno fa è stato rintracciato.
La nota campanilistica è la seguente: diversi ponti sono stati costruiti nel tempo sul Bosforo. L'ultimo in ordine di tempo è il cosiddetto Ponte dei Martiri del 15 luglio, all'epoca considerato il quarto ponte sospeso al mondo per la lunghezza della campata; fu completato nel 1973 su progetto degli ingegneri Roberts e Brown con la collaborazione dell'italiano Almerico Meomartini. Uno dei due piloni in acciaio che sorreggono il ponte è stato realizzato dalla ditta Antonio Badoni Lecco, la mia città natale, ma la città che fa da sfondo alla Gioconda, in cui di nuovo fa capolino un ponte reso celebre proprio dal dipinto: il ponte Azzone Visconti.
A parte questa parentesi campanilistica, alla luce di tutte queste risultanze (e di quanto da anni vado studiando e producendo), è evidente che la questione storica non può essere chi ha scoperto le Americhe per primo, stante che quelle terre erano abitate da millenni e probabilmente anche già mappate in epoche assai remote (altrimenti non si giustificherebbe la presenza dell'Antartide in quasi tutte le rappresentazioni rinascimentali e la mancanza di un Polo Artico come, ad esempio, nella mappa presente nella casa degli Atellani a Milano, già casa Landi all'epoca della rappresentazione geografica riportata nel Planisfero presente in Casa degli Atellani a Milano, a ulteriore testimonianza del fatto che ci fu un tempo in cui i poli vennero ritratti e probabilmente frequentati per la mancanza temporanea dei ghiacci).
Questo interrogativo, come ho detto, risponde più a una insaziabile voglia dell'uomo di prevalere da un lato e di ricercare un senso del mistero a tutti i costi dall'altro.
La domanda corretta, in questo caso, dovrebbe invece essere rivolta a indagare chi ha avuto la possibilità di mappare quelle terre in epoche assai remote.
Questo ci darebbe la possibilità di scoprire (a titolo puramente individuale, perché gli scienziati lo dicono da tempo) che il clima ha seguito un andamento ciclico nel corso dei millenni. In conseguenza di questo interrogativo, capiremmo che la questione del riscaldamento globale del pianeta così come ci viene posta in questi anni è un falso problema, teso a coprire un problema ben più ampio e grave, e cioè l'insostenibilità e l'inquinamento prodotto da un sistema capitalistico ormai giunto al capolinea e la volontà di governare una transizione economica e sociale.
Finché si accettano letture strumentali dei documenti storici oggi in nostro possesso, assecondando sovrastrutture culturali che nel corso dei secoli hanno inteso costruire una impalcatura sociale artefatta e corrotta nelle proprie fondamenta, rimarremo immancabilmente imprigionati nel vizio di fondo che colpisce l'uomo: stravolgere la realtà per giustificare fini speculativi propri.
Un vizio che ci porta a contraffare le fonti, inserire riferimenti mendaci e ricostruzioni di fantasie atte a supportare una narrazione che diviene strumentale per una ricostruzione storica di parte, in conseguenza della quale condizionare la conoscenza collettiva e indirizzare i comportamenti sociali, storici, culturali e politici.
Per questo motivo, oggi più di ieri, è importante non abbandonare uno spirito critico obiettivo, equidistante, imparziale, al fine di imparare dal passato ciò che nel passato è stato modificato per condizionare le nostre azioni presenti.
Solo conoscendo il nostro passato potremo comprendere il presente e costruire un futuro migliore.
Note
1 Galvano Fiamma, Cronaca Universalis, 1340. Prop. Privata, Stati Uniti. Questa la traduzione italiana del passaggio di Galvano Fiamma, scritto originariamente in latino: "I marinai che percorrono i mari della Danimarca e della Norvegia dicono che oltre la Norvegia, verso settentrione, si trova l’Islanda. Più oltre c’è un’isola detta Grolandia…; e ancora oltre, verso occidente, c’è una terra chiamata Marckalada. Gli abitanti del posto sono dei giganti: lì si trovano edifici di pietre così grosse che nessun uomo sarebbe in grado di metterle in posa, se non grandissimi giganti. Lì crescono alberi verdi e vivono moltissimi animali e uccelli. Però non c’è mai stato nessun marinaio che sia riuscito a sapere con certezza notizie su questa terra e sulle sue caratteristiche".
2 Claudio Piani e Diego Baratono, L’affresco geografico di Palazzo Besta di Teglio, Rivista Geografica Italiana, 2004, Firenze.
3 Il primo avvistamento confermato del continente si fa risalire al 1820 a opera della spedizione russa di Lazarev e Bellingshausen. Tuttavia, la scoperta venne quasi ignorata per tutto il XIX secolo a causa dell'inospitalità del continente. Il primo uso formale del nome Antartide in riferimento a un continente, risalente agli anni 1890, è attribuito al cartografo scozzese John George Bartholomew.
4 Scrivendo al Cardinal Martinez, Paolo dal Pozzo Toscanelli nel 1474 riporta: "Nell'anno di Cristo, 734, l'anno in cui l'intera Spagna fu conquistata dai Pagani dell'Africa, l'Isola di Antilia, chiamata anche delle Sette Città, fu popolata da un Arcivescovo di Porto, in Portogallo, accompagnato da sei Vescovi e un numero di Cristiani, uomini e donne, che avevano lasciato la Spagna coi loro beni e effetti personali. Nel 1414 un vascello Spagnolo approdò vicino a questa Isola."
5 Martin Behaim, Erdapfel, 1492.
6 Detto Ponte di Galata.