Santa Maria in Trastevere è forse il primo edificio cristiano aperto a Roma, certamente il primo dedicato al culto della Vergine. Fu fondata da San Callisto (217-222) e terminata da San Giulio (337-352); riedificata da Innocenzo II (1130-1143) ebbe successivamente decorazioni e restauri, tra i quali, consistenti, quelli voluti da Clemente XI, che fece realizzare il portico nel 1702 e da Pio IX nel 1870. Tuttavia, la chiesa attuale, nonostante le modifiche, mantiene ancora l’impronta romanica del dodicesimo secolo: le alterazioni non furono sostanziali.
Il motto inciso nello stemma della basilica e Fons Olei, a ricordo di una sorgente di olio minerale, scaturita improvvisamente nel 38 a.C. nei pressi della romana taberna meritoria, ritenuta miracolosamente annuncio della nascita di Cristo. L’ubicazione della sorgente è localizzata a destra del presbiterio della chiesa.
Le iniziali fasi costruttive
Nell’anno 38 a.C., a Trastevere, accadde un fatto straordinario, che così venne riportato:
Alla taverna meritoria del Trastevere scaturì l’olio dalla terra e continuò a scorrere per tutto un giorno senza interruzione, significando la grazia di Cristo che sarebbe venuta alle genti.
(Cronaca di San Gerolamo, IV secolo)
Studiosi moderni hanno potuto correttamente interpretare il fenomeno che è di origine vulcanica: si trattò cioè di una modesta eruzione di petrolio accompagnata dal caratteristico odore acre. Ma i molti ebrei che allora abitavano il Trastevere, interpretarono l’accaduto come un segno premonitore della venuta del Messia, e tale aspettativa l’ebbero pure, successivamente, i cristiani, i quali nell’olio miracoloso videro il preannuncio della grazia del Cristo che avrebbe salvato le genti.
Di qui nacque l’esigenza di edificare una chiesa, Santa Maria in Trastevere, sul luogo del miracolo che, come accennato, si manifestò alla taberna meritoria, luogo ove convenivano i milites emeriti, cioè i soldati in congedo, o in pensione, dopo una lunga ferma. L’iscrizione Fons Olei a destra del presbiterio della chiesa, starebbe a testimoniare il luogo ove avvenne l’improvvisa eruzione d’olio. In realtà, nella zona esisteva un primitivo luogo di culto (forse un putealia, una domus, un “ricordo”) costruito da papa Callisto il quale era solito raccogliervi la prima comunità cristiana del Trastevere. In questo luogo, successivamente, papa Giulio I edificò una grande chiesa, la prima di Roma dedicata a Maria.
Alcuni studiosi hanno tuttavia avanzato un’altra ipotesi, che metterebbe in relazione la fuga di olio e gas con un fons oletus, cioè una fontana probabilmente già esistente in altra forma in epoca romana nella piazza di Santa Maria in Trastevere, alimentata dall’acqua Alsietina, maleodorante e malsana.
Tuttavia, è plausibile fare un’ulteriore ipotesi, molto vicina alla prima, nella ricerca dell’originaria collocazione di Santa Maria in Trastevere: nella taberna meritoria sarebbe dapprima sorta una ecclesia domestica e successivamente la chiesa.
Sul finire del VI secolo appare per la prima volta in un documento la dizione titulus Sanctae Maria. Sotto Adriano I (772-795) si ha notizia di un restauro e di un ampliamento della chiesa che si ottenne con l’erezione delle navate laterali. Papa Leone III (795-816) l’arricchì di suppellettili e di doni, tra cui candelieri, turiboli e tessuti.
I lavori di Gregorio IV
Ma fu Gregorio IV (827-844) a fare una operosam decoramque reconstructionem. I molti lavori da lui fatti realizzare possono così sintetizzarsi: sopraelevazione del presbiterio; collocazione dell’altare maggiore sul presbiterio (precedentemente era in basso nella navata centrale); ciborio di copertura per l’altare; escavazione della cripta per custodirvi le spoglie mortali dei martiri Cornelio, Calisto, Calepodio, Quirino e Giulio, venerati dai fedeli attraverso la fenestrella confessionis volta ad oriente; installazione di un Presepe simile a quello che già si trovava in Santa Maria Maggiore (l’attuale cappella del Presepe è opera barocca del Raguzzini); realizzazione di un monastero; posizionamento dei banchi del clero lungo il muro dell’abside; innalzamento della schola cantorum; apertura di un matroneo.
Leone IV (847-855) restaurò l’abside, mentre Benedetto III (855-858) restaurò il portico, il battistero, la sacrestia, l’abside e fece collocare vetri colorati alle finestre.
La riedificazione di Innocenzo II
Dopo Benedetto III seguì un lungo periodo di mancanza di manutenzione, fino a quando Innocenzo II (1130-1143) Papareschi, che aveva larghi possedimenti nel Trastevere, non decise di riedificare completamente la chiesa. Quella che lui trovò era una fabbrica notevolmente dissestata: Cum moles ruitura vetus foret, è detto nella iscrizione dei mosaici da lui ordinati.
Il pontefice rinnovò quindi l’abside, aggiunse un transetto e fece risarcire tutte le travature lignee, restaurò la cappella del Presepe con lo stesso materiale del nono secolo, dedicandone l’altare. In dieci anni, dal 1138 al 1148, la chiesa fu completamente rinnovata, utilizzando anche materiali provenienti dalle Terme di Caracalla: colonne, capitelli e basi.
Una innovazione rivoluzionaria apportata da Innocenzo II fu quella dell’aggiunta del transetto: per questo l’abside che prima si doveva staccare dall’arco trionfale sulla grande navata centrale, venne ora a sporgere più indietro, dalla parte posteriore del transetto. Innocenzo II morì prima che la chiesa venisse completamente risistemata, ma lasciò i fondi per poter terminare l’ardita operazione. La consacrazione la fece Alessandro III (1159-1181) il 22 maggio di un anno che non conosciamo: è un problema ancora insoluto.
La basilica quindi assunse quasi l’aspetto attuale, a tre navate, sostenute da ventuno colonne monoliti di granito, dieci a destra e undici a sinistra, più le due che reggono l’arco trionfale della navata centrale: queste colonne provengono dalle Terme di Caracalla e hanno dei capitelli ionici, nelle cui volute vi erano insegne di culti egizi, oggi in parte abrase. I capitelli dell’arco trionfale e le testate dei pilastri all’estremità dei colonnati sono corinzi.
Tra i due pontefici, Innocenzo II e Alessandro III, si colloca Eugenio III (1145-1153) che fece innalzare il campanile.
I mosaici di Pietro Cavallini
La tribuna dell’abside, tra il 1290 e il 1310 fu arricchita, per volontà del cardinale Bertoldo Stefaneschi, dai famosi mosaici di Pietro Cavallini, che riproducono gli episodi salienti della Vita della Vergine, con una impostazione artistica all’avanguardia tale da riuscire ad influenzare anche Giotto.
Il Vasari nelle sue “biografie” accenna a restauri compiuti al tempo di Niccolò V (1447-1455) ad opera di Bernardo Rossellino. Nel 1489 vi fu un furto sacrilego, che privò la basilica di croci, candelabri, patene e turiboli.
Alla fine del Cinquecento, soprattutto sotto i pontificati di Sisto V (1585-1590) e Clemente VIII (1592-1605), furono apportate molte innovazioni. In particolare, il cardinale Marco Sittico Altemps fece costruire, a sinistra dell’abside, la cappella della Madonna della Clemenza (oggi Altemps); si aprirono nuove cappelle; si demolì la schola cantorum; si realizzò il soffitto del transetto per ordine del cardinale Giulio Antonio Santori e si restaurarono mosaici e decorazioni.
La cappella Altemps
La cappella Altemps fu eretta intorno al 1584-85 dal cardinale omonimo, titolare della basilica e nipote di Pio IV, a ricordo del Concilio di Trento. Progettata dall’architetto Martino Longhi, accoglie pitture sulla volta e sulle pareti di Pasquale Cati da Jesi (1588). In questo luogo viene custodita la venerata icona della Madonna della Clemenza, dipinta a cera su tre tavole di legno di pino, forse dell’VIII secolo.
Nel Seicento continuarono le trasformazioni edilizie. Il cardinale Pietro Aldobrandini, nel 1617, fece rinnovare il soffitto della navata centrale, posizionandone uno nuovo, in legno intagliato e rivestito di oro zecchino, su disegno di Domenichino (1581-1641), a cui si deve pure l’Assunta, tavola di bronzo e rame, che troneggia al centro.
La cappella di Strada Cupa, il portico, i restauri ottocenteschi
Sempre in età barocca si aprì la cappella a destra del transetto, chiamata del Coro d’inverno o di Strada Cupa, realizzata su disegno del Domenichino. Nel 1624 vi fu trasportata una miracolosa immagine della Madonna rinvenuta in una vigna della strada Cupa sotto il Gianicolo: si tratta di un affresco cinquecentesco di Perin del Vaga.
Nel 1680 si aprì la cappella d’Avila, fantasiosa architettura realizzata da Antonio Gherardi, e si ottenne la definitiva sistemazione delle cappelle. Queste sono complessivamente undici: quattro nella navata laterale destra; cinque nella navata laterale sinistra; due, le più grandi, ai lati del transetto.
Clemente XI nel 1702 fece aggiungere a Calo Fontana il portico, con cinque robusti cancelli divisi da colonne di granito e ornato in alto da quattro statue raffiguranti San Calisto, San Cornelio, san Giulio, San Caledopio. Pio IX (1846-1878) affidò all’architetto Virginio Vespignani l’esecuzione di grandi lavori di restauro: questi interventi interessarono la facciata, il pavimento della navata che venne abbassato rimettendo in luce le basi delle colonne; le finestre della navata centrale, i gradini che conducono al transetto.