Quando il diavolo ci mette lo zampino, le prove da affrontare sono sicuramente ardue, difficili. La storia del Castello di Galeazza è testimone muta di questa ingerenza luciferina.
Naturalmente sto scherzando, prendo una licenza per introdurre un luogo che mi sta particolarmente a cuore, a cui mai avrei augurato una fine così ingloriosa.
Il castello, o meglio la torre, parte più antica della proprietà, fu fatta costruire da un condottiero, Galeazzo Pepoli, alla fine del 1300. Protagonista dalla vittoriosa battaglia di Marino del 1379, dove aveva difeso il Papa Urbano VI dalle mire bretoni che volevano sul soglio di Roma il loro Papa Clemente VII, diventa persona di spicco nelle vicende politiche del centro della penisola.
Dopo una vita passata a difendere il miglior offerente, decide di ritirarsi a vita privata con la moglie Anna Boschetti e dà ordine di costruire una possente torre in uno dei suoi possedimenti.
Romantico aneddoto è che la moglie battezzò la torre con il nome dello sposo, al che Galeazzo fece costruire una torre più snella e aggraziata partendo dalla sommità di quella originaria chiamandola con il nome dell’amata moglie.
La storia ci porta rapidamente fino al 1870: la torre, il parco e vari annessi vengono acquistati da Alessandro Falzoni Gallerani, un gentiluomo di Cento, persona famosa per il suo gusto e per l’amore per le arti. Qui decide di costruire, per la numerosa famiglia, una residenza estiva, un castello in stile neogotico appoggiato all’antica torre. Bellissima la pianta a U che crea una corte naturale davanti al castello, al centro l’accesso al meraviglioso parco di quattro ettari.
All’interno, ampi saloni affrescati, scale monumentali verso i piani nobili, tanti spazi comuni danno l’idea del lusso e dello sfarzo che Falzoni Gallerani ricercava. Il suo importante cognome è legato a doppio filo con la città di Cento, tanto che a lui sono state intitolate scuole, vie, mostre ecc.
Il castello è arrivato fino ai giorni nostri in buono stato di conservazione, grazie alla cura dei proprietari e, dal 2003, anche per l’amorevole attenzione della Reading Retreats in Rural Italy, associazione culturale fondata da Clark Lawrence, eclettico americano innamorato dei libri, della musica classica e delle bellezze dell’Italia. Con una biblioteca di più di tremila volumi allietava i soggiorni dei soci dell’associazione, soci che arrivavano da tutto il mondo con la voglia di leggere, riposarsi e dedicarsi alle più svariate arti. Famosi i concerti organizzati, le attività culturali erano diventate punto di riferimento anche per gli abitanti delle zone vicine.
Insomma, tutto sembrava andare per il meglio, persone felici che si godevano il castello, proprietari attenti alle esigenze di quelle antiche mura. Il sogno di Galeazzo Pepoli era sicuramente in buone mani.
Tutto fino alla notte del 20 maggio 2012, quando un terremoto di magnitudo 5.9 scuote la zona. L’epicentro è a pochi chilometri. Il castello viene gravemente ferito, crollano alcuni solai, le pareti si aprono. La torre sembra reggere, alla fine però la torre Anna crolla, il simbolo d’amore di Galeazzo per la sua sposa rovina a terra con un boato. Ulteriori crolli ci saranno durante le scosse del 29 maggio, cedono le torrette di ingresso al parco, il castello diventa totalmente inagibile.
All’interno rimangono le librerie sghembe affacciate sul vuoto, i vestiti e gli effetti personali di chi è dovuto fuggire velocemente, mobili e suppellettili violentati dal terremoto. Clark e i suoi collaboratori si precipitano nei giorni successivi cercando di salvare il più possibile della preziosa biblioteca, giorni concitati e poi, definitivamente, il silenzio.
Il silenzio, per chi frequenta luoghi abbandonati, è una costante, quasi una colonna sonora che accompagna i tuoi passi. Un conto però è visitare un posto abbandonato da sempre. Lì il silenzio è greve, rassegnato. Le mura hanno perso negli anni la loro funzione, nemmeno più si ricordano perché sono state fondate. La noncuranza dell’uomo le ha condannate per sempre all’oblio.
Diverso, come in questo caso, è il silenzio che si percepisce al castello, qui è un silenzio quasi rabbioso, che non si rassegna all’avversa sorte. Se si tende l’orecchio ancora arrivano indistinte le voci degli ospiti, il tintinnare delle tazzine, gli accordi dei pianoforti, echi di vita troncati rapidamente da un destino ostile.
Così Clark e la sua banda di lettori si sono spostati più su, sulle rive del Mincio, mentre i proprietari del castello rimangono lì ancora sopraffatti dall’accaduto, consapevoli di non avere le forze per ristrutturare e riportare a nuova vita questo pezzo di storia. Nella politica del cemento ci dimentichiamo sempre di chi questo cemento se lo è visto sgretolare sotto gli occhi, non siamo capaci di attuare politiche di ricostruzione efficaci. Le ferite del nostro Paese non ci hanno insegnato niente, ancora vediamo lo scempio dell’Irpinia di 41 anni fa, L'Aquila non ancora ricostruita, l’immobilità nel terremoto che ha interessato il castello e le parole al vento di Amatrice. Dalle avversità dovremmo imparare sempre una lezione, uscirne più forti e consapevoli. Chissà quanti terremoti serviranno per cambiare!