Qualche settimana fa, Patrizia Boi ha scritto una meravigliosa fiaba, La donna scheletro, prendendo spunto dalla raccolta Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estès. L’autrice del libro, laureata in psicologia etno-clinica e specializzata in psicologia analitica, da sempre è impegnata nel sociale, occupandosi del sostegno psicologico a tutti coloro che subiscono traumi (un esempio, il massacro alla Columbine High School), e dall’11 settembre 2001 lavora con i sopravvissuti e i familiari della costa occidentale e orientale degli Stati Uniti. È inoltre la fondatrice della Guadalupe Foundation, un'organizzazione che, tra le altre cose, trasmette via radio delle brevi storie che aiutano le popolazioni africane a conoscere problemi inerenti salute e igiene.
Ma il motivo per cui ci interessa Clarissa Pinkola Estès è il modo in cui, studiando su base analitica tutto il materiale che è riuscita a “scovare” dalle fiabe, dai miti e dai racconti popolari, ha enucleato una serie di archetipi necessari per indagare la parte più repressa del femminino la cui naturalità è stata addomesticata, resa timorosa e non autosufficiente, priva di iniziative e di autostima, facendole perdere i contatti tra la psiche individuale e l’anima. Sviluppare la difesa dagli inganni, rifiutare l’educazione alla passività considerando i fattori culturali e familiari che indeboliscono le donne è la teoria di base di questo insieme di saggi. Ma prima di entrare nel merito della raccolta e delle sue fiabe, vorrei fare un piccolo inciso riguardo lo schema seguito dall’autrice nello scrivere le sue fiabe e sul significato delle stesse.
Clarissa Pinkola Estès ripropone in Donne che corrono coi lupi lo schema di Propp, l’antropologo russo che studiò le origini storiche della fiaba nelle società tribali e nel rito di iniziazione, e ne trasse una struttura che propose anche come modello di tutte le narrazioni. Ma cos’è la fiaba? La fiaba è una narrazione originaria della tradizione popolare caratterizzata da racconti medio-brevi e centrati su avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti…) coinvolti in storie con a volte un sottinteso intento formativo o di crescita morale. La fiaba e la favola sono due generi ben distinti: la favola è un componimento estremamente corto (della durata di poche righe) e vede come protagonisti animali o esseri inanimati, la trama è condensata in avvenimenti semplici e veloci, con un fine allegorico e morale molto esplicito, a volte indicato dall'autore stesso come postilla al testo; la differenza sostanziale tra favola e fiaba è la presenza o meno dell'elemento fantastico e magico, caratteristica peculiare della fiaba e completamente assente nella favola, basata invece su canoni realistici.
Le fiabe non venivano narrate solo per i bambini ma anche mentre si svolgevano lavori comuni, per esempio mentre si filava la lana, lavoro fatto di gesti sapienti, ma in qualche modo automatici, che non impegnavano la mente. Essendo lavori particolarmente femminili, la maggior parte dei narratori era femminile, anche perché spettava alle donne il compito di cura e intrattenimento dei bambini. Le fiabe in fin dei conti erano un piacevole intrattenimento per chiunque, e "davanti al fuoco" erano gradite ad adulti e bambini di entrambi i sessi.
Vladimir Propp nel suo scritto Morfologia della fiaba propose lo schema con 31 funzioni (Sequenze di Propp) inalterabili dell’ordine che compongono il racconto; ogni funzione rappresenta una situazione tipica nello svolgimento della trama di una fiaba, riferendosi in particolare ai personaggi e ai loro precisi ruoli dando più importanza per esempio a quello che fa il personaggio piuttosto al chi è il personaggio stesso. Lo schema generale di una fiaba è basato sull’equilibrio iniziale (l’esordio), sulla rottura dell'equilibrio iniziale (movente o complicazione), sulle peripezie dell'eroe e sul ristabilimento dell'equilibrio (conclusione).
Riprendendo la nostra fiaba, in particolare, con l’analisi dell’archetipo della donna selvaggia, Pinkola Estès intende aiutare tutte le donne che sono alla ricerca di se stesse, e con la storia narrata, la meditazione, il canto, la scrittura, la pittura o l’educazione musicale può riprendere contatto con l’anima (la donna selvaggia sepolta nella parte più profonda), che esce dalla sua dimora utilizzando l’energia mentale per realizzare quello stato di solitudine necessario per ritrovare l’essenza femminile, un essere naturale che possiede “la creatività passionale e un sapere ancestrale”.
Prima della donna scheletro, nel suo libro incontriamo Barbablu, “l’uomo nero nei sogni delle donne” che rappresenta il predatore della psiche femminile, che causa quel malessere che a livello conscio la donna non risente perché abituata a obbedire ciecamente, tanto da non capire che spesso il rifiuto può aiutarla a salvarsi. In questa fiaba tutto ruota intorno alla chiave della porta che la donna non deve aprire pena la morte (colpevolizzazione e castigo per la disobbedienza), perché usare quella chiave sarebbe per lei la conoscenza, la sua consapevolezza, ed è la stessa autrice a dire che l’aspetto più interessante dell’autoconoscenza è che "nei misteri eleusini la chiave era nascosta sotto la lingua, a significare che il nodo (...), l’indizio, la traccia si trovano in un insieme di parole, di domande-chiave". E quindi: "L’uccisione di tutte le mogli curiose da parte di Barbablù è l’uccisione del femminino creativo…”.
Ma torniamo alla storia del pescatore e della donna scheletro, dove una serie di eventi ci coinvolgono in una sorta di magia dall’inizio alla fine. Il primo “evento” ci porta al rapporto con il padre, per il quale tante donne hanno cambiato se stesse per compiacerlo, per sentirsi amate e accettate, e le prime ferite che si pensava essere state rimosse ecco tornare a galla… E quindi c’è il pescatore che rappresenta l’innamorato nella sua fase iniziale che pensa di aver trovato la compagna perfetta e non accetta i problemi, le difficoltà che il rapporto porta obbligatoriamente, anche nei confronti di se stesso. Si fugge sempre di fronte alla paura che il cambiamento possa modificare tutto il bello che abbiamo creato nella nostra storia, ma le zone d’ombra ci rincorrono, il filo della lenza è il legame che inconsciamente ci portiamo dietro perché vogliamo conoscere la verità, anche se nessuno è mai pronto alla trasformazione che di conseguenza è costretto a subire in se stesso e nel rapporto con l’altro.
Il “non bello” dell’amore è appunto il riconoscere che non tutto è “rose e fiori”, luci e suoni… La donna scheletro rappresenta la natura Vita/Morte/Vita del rapporto a due, solo vedendo il lato peggiore dell’altro, “sbrogliando” il filo intorno allo scheletro, non si muore ma ci si apre a nuova vita, fatta di nuove conoscenze, basata su altri presupposti e con legami sempre più intimi e saldi. Quando la notte il pescatore piange la sua lacrima che viene bevuta dalla donna scheletro, inizia la nuova fase: è la donna che viene a contatto con il dolore e le ferite che l’uomo non deve più affrontare da solo e di cui non deve più vergognarsi. E le apre il suo cuore e quindi l’accetta in tutte le sue forme: la donna scheletro si ricopre di carne e capelli, cioè rinasce a donna vera e completa, capace di amare ed essere amata, senza avere più paura di essere giudicata. E questo non è che il primo passo del ciclo di Vita/Morte/Vita che si percorrerà insieme nel cammino di crescita.
A Patrizia Boi, che mi ha fatto conoscere questa fiaba vorrei chiedere se anche per lei, come per ogni altra donna che ha letto il libro di Clarissa Pinkola Estès è iniziato il viaggio alla ricerca di se stessa, della propria anima…
Direi che sono una trentina d’anni alla ricerca della mia anima, a partire da quando ho letto Il Tempo Ritrovato di Marcel Proust, e poi ho proseguito stimolata continuamente da varie letture. Dieci anni fa, quando è nata mia figlia, avevo annullato totalmente me stessa per correre dietro ai bisogni della piccola. In quel momento ho letto la fiaba della Donna Foca nel libro Donne che corrono coi lupi. Sono scoppiata in un pianto irrefrenabile e da quel giorno ho capito che essere una buona mamma non significava rinunciare completamente alla propria natura, ma che era vitale immergersi di nuovo nel proprio oceano. Con l’aiuto di mia figlia ho continuato così il mio percorso di scrittura dedicandomi prevalentemente alle fiabe. Quindi la lettura e la spiegazione delle fiabe in chiave junghiana della Pinkola Estès mi ha instradata sulla via della fiaba e contemporaneamente mi ha consentito di approfondire la ricerca di me stessa come se fosse un nuovo inizio. Naturalmente questa scoperta sarà ancora molto lunga e sempre aperta a nuovi dubbi…