La presidenza del prossimo G20 spetterà a Mario Draghi. Il G20 rappresenta il 60% della popolazione mondiale e l'80% del Pil. Non è però, formalmente, un'Istituzione quella che l'Italia si presta a presiedere.
Fu la Francia, nel 1975, a dar inizio ad incontri informali per “parlare del mondo”. Invitò Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna e USA. I sei grandi. Nel 1977 venne aggiunto il Canada e l'anno seguente la Russia dando vita al G8.
Ora, parlare del mondo, senza il mondo e quindi senza l'UE e Cindia (Cina + India) era un po' riduttivo. Nel 1980 fu invitata l'UE e solo nel 2005, su iniziativa di UK, arrivarono le “allora economie emergenti” come Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica.
Non casualmente a Washington si ratificò che il G20 andava a sostituire il G8.
Come possiamo vedere la costituzione non si tratta né di una istituzione permanente e né di una rete che rappresenta i diversi continenti (assente l'Australia) o i diversi mondi. Chi rappresenta i 200 milioni di nigeriani? Però, politicamente, conta. Eccome.
Gli Stati sono pronti a sborsare denari per questi meeting, anche straordinari, mentre sono restii a consolidare la casa comune che è L'ONU. Eppure, se vogliamo rispondere alle questioni in agenda al G20 abbiamo bisogno di più ONU e non meno ONU. Rifugiati (UNHCR), clima (UNEP), pandemia (OMS).
Ma l'ONU viene fatta passare dal Quarto Potere (informazione) degli stessi Stati (che gli riducono le finanze) come l'istituzione inefficiente e, quindi, inaffidabile. La sommatoria è meno della somma della forza dei singoli Stati.
Il Consiglio di sicurezza dell'ONU è composto da 5 membri permanenti + 10 a rotazione. Una sorta di G15 che dovrebbe essere il fulcro delle decisioni politiche ma così non è. L'uscita dall'Afghanistan fu decisa a Bruxelles e non a New York. In sede Nato e non in sede ONU. Laddove v'è il potere vero; quello militare e non quello crocerossino relegato a New York che ha il compito di curare le ferite e poco più.
Ma andiamo a vedere cosa sta succedendo sul campo da parte dei cinque permanenti al Consiglio di Sicurezza. Gli USA, in sede Nato, ha chiesto, dopo 20 anni, di uscire dal pantano di Kabul. La GB si oppose ma, in cambio di un appoggio a stelle e strisce per la presidenza Nato a Theresa May, si è allineata con la posizione di Washington. Parigi ha gli stessi timori di Londra perchè perdere l'Afghanistan significa un ritorno degli attentati in Europa che, lo ricordiamo, colpirono soprattutto Inghilterra e Francia ed a seguire Spagna e Germania.
Al tavolo di Bruxelles non siedono Cina e Russia che invece son presenti a New York. Qui abbiamo un doppio gioco, un doppio volto e una doppia agenda. Mentre a New York dimostrano tutto il loro dispiacere per la vittoria dei talebani e rispondono al telefono con i leader europei garantendo ogni tutela alla libertà anticipando ad inizio settembre il G20 straordinario … in realtà stanno riscrivendo una nuova storia dissotterrando la falce e il martello. La Russia è stanca del predominio Nato sia sui paesi dell'ex cortina di ferro che in Medio Oriente ma non oserà toccare l'Afghanistan dove si era impantanata decenni fa mentre la Cina che è rimasta sin d'ora fuori dai giochi farà l'“asso piglia tutto”. È infatti interessata alla supremazia commerciale, all'estrazione mineraria e poco o nulla alla salvaguardia dei diritti umani che è una concezione tipicamente occidentale o alla geopolitica. Quella viene post invasione commerciale.
Non sarà quindi facile per Mario Draghi, che ospiterà formalmente il prossimo G20, districarsi in questo groviglio in quanto lui stesso ha contribuito più all'intreccio che alla dipanazione. Appena eletto premier, infatti, fece una dichiarazione palese pro alleanza atlantica e contro la Cina. Attaccò frontalmente Pechino per la violazione dei diritti umani e per l'inquinamento della terra (un 30% a fronte di un 7% di UE e 7% di USA). Cosa che ha stupito non poco le cancellerie dedite alla mediazione. Non solo; il nostro premier è contro la “Via della Seta” e i progetti che Di Maio firmò con Conte 1 e 2. Però Draghi che gode senza pari di prestigio internazionale sia in Italia che in Europa sa abitare le istituzioni internazionali e saprà districarsi da buon “padrone di casa” incrociando le diverse agende cercando di trovare, negli interstizi, degli spazi di dialogo per far passare alcune risoluzioni che saranno più o meno coraggiose a seconda del clima e del momento storico.
Poi le risoluzioni necessiteranno di fondi statuali che dovranno esser gestiti da agenzie specializzate. E provate ad indovinare dove la Comunità Internazionale le trova? All'ONU; giusto. La stessa ONU alla quale gli Stati hanno decurtato fondi permanenti e che saranno disponibili a dare fondi per questioni d'emergenza. In questo corto circuito sarà l'emergenza ad occupare l'agenda internazionale e non la politica che si basa su progetti di medio e lungo termine. Il paradosso è che questi sono banditi soprattutto dalle democrazie che hanno le elezioni a breve e devono rendicontare ai propri cittadini e un po' meno dalle democrature come Turchia, Cina e Russia che oramai hanno abolito le elezioni e sono più sulla via imperiale che repubblicana.