Il 2021 è l'anno del bicentenario dell'Indipendenza della Grecia, nazione a suo modo sorella dell'Italia, sia per l'ingombrante retaggio delle glorie antiche sia per il travagliato percorso di riscatto fra Otto e Novecento. Senza dubbio è un anniversario che si presta a più chiavi di lettura, andando a coincidere, verosimilmente, con la tanto sospirata fine dell’emergenza pandemica.
A maggior ragione in una cornice così particolare, è quindi alquanto probabile che un ruolo di rilievo nell'ambito delle celebrazioni spetti a un protagonista e testimone di più della metà della recente storia greca: attraccato al porto di Falero, infatti, fa bella mostra di sé l'incrociatore corazzato Georgios Averof, già nave ammiraglia della flotta e formalmente ancora di ruolo dopo 110 anni di servizio quasi ininterrotto.
Divenuta da subito il terrore della Marina ottomana poiché al suo esordio era la più moderna, veloce e potente nave da guerra dell’Egeo, la Averof nel 1912 contribuì alla vittoria nella Prima Guerra Balcanica; nel 1919 entrò trionfalmente nelle acque di Costantinopoli, salvo poi, 3 anni dopo, prodigarsi nello sgombero dei profughi dalla Ionia; nel 1941 si sottraeva alla cattura da parte dei Tedeschi riparando fortunosamente a Suda e ad Alessandria d’Egitto, per poi riportare in patria dall'esilio il governo nel 1944.
Impiegata per l’addestramento dei cadetti a Poros dal 1956 al 1983, fu successivamente destinata a museo e dal 2017, a seguito di una radicale revisione, è di nuovo in grado di affrontare il mare aperto purché trainata.
Ciò premesso, fa alquanto specie ricordare che questo vero e proprio mito greco della contemporaneità, mosso da turbine francesi e armato con cannoni britannici, abbia origini italiane: la Averof infatti fu costruita nel 1910 dai cantieri Orlando di Livorno come terza unità della classe di incrociatori Pisa; a lavorazioni avanzate però la Regia Marina si vide costretta da difficoltà di bilancio a rinunciare alla commessa, lasciando subentrare il governo greco che invece fu in grado di pagare la nave grazie alle cospicue donazioni ricevute da parte del magnate Georgios Averof, al quale il vascello fu doverosamente intitolato.
In definitiva quindi questo incrociatore detiene il primato di longevità non solo per la Marina ellenica ma anche per la cantieristica italiana, eppure non risulta che la Averof sia mai tornata nei luoghi d'origine: oltre a Livorno infatti si potrebbe annoverare, per estensione, Genova, dove fu costruita la gemella Amalfi.
Il bicentenario dell'Indipendenza greca allora potrebbe essere l'occasione per una trasferta inedita nonché carica di ulteriori significati: è bene ricordare che nel 2021 cade anche un altro anniversario, stavolta decisamente meno piacevole, ovvero l'ottantesimo dell'occupazione italo-tedesca della Grecia, evento che, lungi dall’immagine edulcorata del Mediterraneo di Salvatores, nella memoria popolare greca è ancora oggi sinonimo sia di specifici fatti di sangue come l’eccidio di Domenikon, sia di “Grande carestia”, un vero e proprio disastro umanitario dovuto alla politica di rapina degli occupanti che provocò circa 300.000 morti su 7 milioni di abitanti dell'epoca, e che nei decenni successivi ha gettato un’ombra sugli stessi rapporti tra le due nazioni.
Invitare in Italia una nave simbolo per la Grecia quale è la Averof potrebbe quindi assumere anche il significato, a livello intergovernativo, in mancanza a suo tempo di processi a carico dei responsabili, di un gesto riparatore e di riconciliazione da tanto tempo atteso e mai arrivato sull’altra sponda dello Jonio.