-Ditemi, voi l’amate? - chiese il ragazzo.
-Ma che domanda impudente! - rispose la donna - Certo che lo amo! Presto ci sposeremo!
-Oh, perdonatemi. Non avrei dovuto... il fatto è che… che…
-Che sembra mio padre? Non preoccuparti, lo pensano in molti… Lui è più grande di me, questo è vero. Ma non è mai stato un problema. Dal primo momento in cui ci siamo visti abbiamo capito che non ci saremmo mai lasciati. E così è stato. L’amore, credimi, non guarda a certe cose e per dirla tutta io non mi sono mai trovata bene con i miei coetanei, per questo a scuola sono sempre stata molto sola. Incontrare e conoscere Albert è stata una liberazione per me, finalmente potevo essere me stessa! E lui è così caro con me. È stato l’unico a capire subito la mia vera natura, la mia vocazione. E mi ha supportata in tutto… Se ora sono una ballerina lo devo a lui.
-Una ballerina?
-Sì, una ballerina. Perchè ti stupisci tanto?
-Perché è la prima cosa che ho pensato quando l’ho vista entrare in albergo e…
-E ... ?
-Era il mio sogno da bambino… La vita purtroppo ha deciso diversamente per me. Mio padre non ha mai voluto sentir parlare di queste cose, mia madre, poverina, lei sì, ha cercato come ha potuto di spalleggiarmi. Purtroppo, è morta due anni fa, all’improvviso. Da quel momento le cose per me sono cambiate. Mio padre mi ha fatto immediatamente capire che senza di me, l’albergo non sarebbe andato avanti. E io non ho voluto tradirlo. Oggi però so di aver tradito me stesso. E me ne pento… Oh, mi scusi, la sto annoiando con le mie storie… mi dica di lei, piuttosto, la prego, mi racconti com’è la vita di una vera ballerina…
-Dimmi Jan, ma tu quanti anni hai adesso?
-Sedici anni signora Erika.
-Sedici anni! Tu puoi fare ancora tutto! Tu puoi cambiare completamente la tua vita! Se ancora lo desideri puoi diventare un balleri…
In quel momento si udirono dei passi di qualcuno che stava salendo al piano superiore.
-Erika sei qui?
Si udì una voce severa di uomo.
-Sì, Albert! Sono qui, sto scendendo.
-Non farmi aspettare, sai che alle sette io amo mettermi a tavola…
-Arrivo, caro... arrivo - esclamò la donna lanciando un’ultima occhiata al ragazzo prima di congedarsi.
La stagione quell’anno sembrava promettere, la neve si era sciolta prima del tempo e quello, per i vecchi, era segno che l’estate sarebbe stata buona. Jan stava osservando il grande ghiacciaio dalla terrazza del piccolo albergo dove viveva insieme al padre Hans. Era stato il padre a costruire con le sue mani la grande casa in legno intuendo le potenzialità turistiche di quella remota valle montana. Jan era nato lì e conosceva ogni cima e ogni albero della zona. Per volere del padre era diventato guida alpina. Ultimamente però aveva dovuto rinunciare alle belle arrampicate di un tempo perché la gestione dell’albergo assorbiva tutte le sue energie.
Se lo ricordava bene il giorno in cui quei due erano arrivati. Una strana coppia, aveva pensato, scorgendoli al mattino nell’atrio dell’albergo, tutti accaldati e pieni di valigie. Lui un uomo anziano dal portamento sgraziato, forse a causa di una giacca dal taglio antiquato, lei visibilmente più giovane, spigliata ed elegante nei modi, sempre sorridente. Parevano padre e figlia. Di gente ne passava parecchia da lì, soprattutto in quel periodo dell’anno, ma si trattava di una fiumana di persone senza volto, nella quale nessuno, alla fine, sembrava spiccare. Quei due lì invece erano diversi, soprattutto lei era intrigante con quella sua bellezza magnetica e misteriosa.
-Ci vorremmo fermare per il fine settimana, forse un giorno in più... ma non abbiamo prenotato… - aveva esordito lui, rivolgendosi alla giovane addetta alla reception, mostrando una certa sicurezza.
-Dovremmo ancora avere una stanza... È quella con la vista migliore - aveva replicato la ragazza - c’è un piccolo sovrapprezzo perché c’è il bagno privato - aveva aggiunto.
-Ah, non facciamo questioni di prezzo - aveva risposto l’uomo. Sono sicuro che la camera sarà perfetta per noi, vero cara? - volgendo lo sguardo alla donna che gli era accanto e già da qualche minuto lo stava guardando fisso, quasi in adorazione.
-Dove sono? - aveva chiesto allarmato Jan - Li avete visti uscire?
-Hanno detto che avrebbero passato la giornata sul ghiacciaio - disse prontamente Greta, la giovane addetta all’accoglienza degli ospiti.
-Ma erano adeguatamente attrezzati? - chiese Jan tradendo una certa apprensione.
-Non so, non li ho guardati mentre uscivano. Però ho sentito che lui raccontava a lei di alcune sue esperienze giovanili in alta montagna. Se non fosse più che esperto non si avventurerebbe lassù, non credi? Per di più con sua figlia…
-Non è sua figlia! - disse Jan visibilmente agitato...
-E tu come lo sai? - chiese maliziosamente la ragazza.
-Me lo ha detto lei stessa.
-Sono sicuro che tuo padre non gradirebbe sapere che tu hai questa confidenza con le clienti...
-Stai zitta e fatti gli affari tuoi - aggiunse il ragazzo, bruscamente.
-Ahhh... ho capito cosa sta succedendo... ti sei innamor…
-Non hai proprio capito un bel niente - replicò Jan, zittendola. E scomparve oltre la porta della cucina.
Approfittando dell’assenza del padre, Jan decise di seguire la coppia e si incamminò verso il ghiacciaio. Conosceva molto bene quel sentiero e con passo sicuro salì senza sforzo il primo grande dislivello raggiungendo in breve tempo l’ampia conca morenica. Da lì lo sguardo poteva spaziare fino alle cime più alte. Un ghiacciaio gigantesco, immenso come una candida cattedrale, apparve improvvisamente all’orizzonte. Alla sua base, Jan vide in lontananza i due escursionisti e istintivamente si nascose dietro a una roccia.
E se avessero notato la sua presenza? Pensò. E se lo avessero riconosciuto? Cosa avrebbero pensato di lui? Quel pedinamento pareva improvvisamente inopportuno...
Rapito dai suoi stessi pensieri Jan non udì i primi richiami della donna. Ci fu proprio in quel momento una grossa frana il cui frastuono rimbombò a lungo nella valle - un fenomeno piuttosto consueto nella stagione estiva - forse anche per quello Jan spostò la sua attenzione verso la parte superiore del ghiacciaio cercando di capirne l’origine. Quando però rialzò lo sguardo e non vide più i due, si allarmò. Fu allora che udì distintamente le urla disperate della donna e senza indugiare, affrettò il passo. Quando giunse sul posto trovò Erika in lacrime, inginocchiata tra le rocce. Appariva trasfigurata e pallida e continuava ad indicare con la mano un profondo crepaccio posto di fronte a lei. Solo dopo essere stata confortata, con voce rotta dal pianto, disse qualcosa: è finito lì dentro, è finito lì dentro… è molto profondo, non riesco a vederlo, Jan, per favore aiutami…
Jan ebbe per un attimo un sentimento per il quale provò vergogna: sperò in cuor suo che quel’uomo fosse morto. I singhiozzi crescenti della donna lo fecero però immediatamente ravvedere spingendolo a provvedere all’opera di salvataggio. Conficcata la picozza nel ghiaccio e aiutato da due chiodi a vite, Jan fissò saldamente la corda e cominciò la discesa nella profonda fessura di ghiaccio. Appena fu dentro e poté abituarsi alla penombra nel crepaccio, riuscì ad intravvedere la sagoma dell’uomo che appariva riverso, immobile, incastrato tra due pareti. Jan provò a chiamarlo ma non ebbe risposta…
Si svegliò urlando e si ritrovò in un bagno di sudore. La vista degli oggetti familiari attorno a sé lo aiutarono a calmarsi. Cosa era successo? Vide la luce accesa della piccola lampada accanto al letto e si ricordò di essersi disteso per rilassarsi dopo una dura giornata di lavoro. Evidentemente, si era addormentato…
Guardò l’ora, erano le cinque del mattino. Provò a distendersi di nuovo e fu a quel punto che udì la voce del padre dietro alla porta.
-Jan, tutto bene?
-Sì, padre. Ho solo fatto un brutto sogno.
-Ecco, guarda di non addormentarti che tra un’ora arriva Michael a portare il latte e devi aprire il magazzino…
-Sì, padre, lo so. Non mancherò.
Jan rimase ancora per un po' immobile a letto, poi si alzò. Quando cominciò a vagare nella stanza alla ricerca di una camicia pulita si accorse di aver dormito completamente vestito. Era tanto tempo che non sognava di Erika. Molti anni erano passati ormai dal loro incontro. E dal quel brutto incidente sul ghiacciaio. Alla fine però il vecchio si era salvato - pensava Jan tra sé e sé. E dopo una breve convalescenza quei due se ne erano tornati in città. Là Erika aveva continuato la sua sfolgorante carriera di ballerina...
Come faceva Jan a sapere queste cose? Dai giornali e dalle riviste che di anno in anno i clienti dimenticavano nelle camere dell’albergo. Scoprì così anche che Albert, in qualità di suo agente personale, riuscì a farla conoscere nel mondo. Il nome di Erika comparve ben presto nel cartellone dei principali teatri europei. Quello che Jan non seppe mai però fu che Erika per esigenze di lavoro ad un certo punto si trasferì negli Stati Uniti. Là, Albert, premuroso come sempre le regalò una casa. Ma le cose cominciarono a non funzionare. La loro vita iniziò a farsi frenetica, un turbillon di viaggi, feste e incontri che piano piano deteriorò il loro amore. Fino al giorno in cui venne fuori che Albert aveva un’altra donna, una giovane ballerina per giunta. Quell’episodio fu l’inizio della fine.
L’ascesa di Erika nel firmamento della danza mondiale continuò nonostante tutto ancora per qualche anno. Il suo nome, molto conosciuto, venne dato a numerose scuole perché sinonimo di qualità, di alto livello e di genuina vocazione.
Jan, dal canto suo, non si mosse dal luogo in cui era nato. A parte qualche rara puntata in paese per sbrigare piccole commissioni, rimase fisso a lavorare all’albergo. Il padre, sempre più anziano, lo costrinse ad occuparsi di mansioni ogni volta più complesse e la responsabilità e l’impegno crebbero di pari passo.
Nel tempo libero però Jan coltivò la passione per la montagna. Fu quella la sua salvezza. I grandi spazi gli permisero di sognare e liberare tutta la sua fantasia. Lassù riuscì perfino a danzare. Lo fece fisicamente, creando solitarie performance di movimento ispirate dalle rocce e dagli alberi. Ma soprattutto lo fece fantasticando attraverso la contemplazione della natura attorno a sé. Un occhio abituato ed attento come il suo fu capace di captare lo spirito della danza ovunque: nel corteggiamento dei grandi ungulati, nel volteggiare delle aquile, nello scorrere delle nuvole multiformi nei cieli primaverili. Anche la pioggia e la caduta delle foglie in autunno, tutto fu per Jan, sempre, danza, movimento, vita.
Passarono molti anni ancora... cadenzati ritmicamente dal passaggio delle stagioni. Pareva che nulla dovesse cambiare. Jan divenne un uomo maturo. Forte di una fedeltà più simile ad un presentimento che a una vera speranza, Jan rimase solo. In molte, tra le giovani della zona, alla festa annuale dell’alpeggio, puntarono al bel Jan. Le più ardite addirittura fecero finta di capitare all’albergo per caso, sperando di avere così una occasione per rivederlo. Lui però fu sempre sordo al canto di quelle sirene silvestri. Il destino aveva in serbo altro per lui.
Durante un inverno particolarmente rigido, morì suo padre.
La primavera seguente, in una mattina soleggiata e tiepida, arrivò lei, Erika.
Quel giorno casualmente Jan non era in albergo. Lo videro rincasare nel tardo pomeriggio. Appena entrato udì alle sue spalle la voce di Frida, l’anziana guardarobiera.
-Buonasera signor Jan, c’è una sorpresa per lei di là, nella sala da pranzo…
-Ah sì? - rispose lui incuriosito - Di cosa di tratta?
-È una nostra cliente. Una persona che la conosce bene. Ha chiesto di lei…
-Vado subito a vedere! Esclamò Jan, eccitato da un presentimento...
-No! Non lo faccia! Sussurrò la donna... facendosi scudo con la mano sul viso, per non farsi sentire…
-Cosa dite? Non capisco…
-Dico che forse sarebbe meglio se il signor Jan si facesse una doccia prima di… - aggiunse Frida con una espressione divertita.
-Ah, certo! Voi avete ragione. Dopo una giornata di lavoro sono impresentabile…
Quando Jan entrò nell’ampia sala da pranzo fu investito da un fascio di luce dorata. Era l’ultimo raggio di sole della giornata. Tutta la cerchia di montagne che chiudeva la valle si stava tingendo di viola e di blu, i colori del crepuscolo. Nonostante questo grandioso spettacolo naturale la sala appariva desolata per la quasi totale assenza di avventori.
Tra i presenti Jan riconobbe il prof. Gruntz, habitué da oltre vent’anni e la signora Specht, anche lei puntuale ospite di inizio stagione, sempre seduta al tavolo accanto a quello del professore. La loro passione segreta era diventato da tempo il pettegolezzo preferito del personale dell’albergo. Non si capiva come mai la signora Specht, dopo tanti anni, ancora non fosse riuscita a dichiararsi. E come il professor Gruntz riuscisse a rimanere impassibile di fronte alle velate avanches di quella donna. Eppure, tutti nell’albergo sapevano di loro avendone udito le conversazioni. L’amore - pensò Jan guardandoli - a volte segue percorsi così misteriosi che è difficile comprenderli.
-Jan? Sei tu?
Si udì una voce provenire dall’esterno. La porta a vetri che dava accesso alla terrazza era rimasta aperta. Jan si voltò e la vide. Erika indossava un foulard multicolore che le copriva interamente la testa e alle orecchie portava un paio di orecchini d’argento, molto semplici. Il viso aveva conservato ancora molta della sua freschezza, i suoi occhi erano vispi e curiosi come allora. Lei che era stata per lungo tempo una di quelle ragazze che non usavano truccarsi, sfoggiava ora un vistoso rossetto rosso vermiglio.
-Erika!
-Cosa aspetti ad abbracciarmi! Esclamò lei...
-Quanto tempo... quanto tempo… - disse lui stringendola a sé timidamente...
-Devo dirti che venendo su all’albergo pensavo di non trovarti. Speravo di non trovarti… speravo di saperti in qualche teatro a danzare...
-Invece eccomi qua! - esclamò Jan, sorridendo un po' imbarazzato.
-Sono molto felice di rivederti, sai? - aggiunse prontamente lei.
-Oh, non sai quanto anch’io… però mi sento in colpa per non averti mai scritto una…
-Ssstt! Non dire niente. È andata così. Va bene così. Anch’io non l’ho fatto. Anche se in questi anni ti ho pensato spesso. Mi sei mancato...
-E Albert? Come sta?
Chiese Jan, cercando di cambiare discorso per allentare la tensione...
-Albert è morto un anno fa, all’improvviso.
-Ahi, mi dispiace…
-Non eravamo più insieme da tempo. Vivevamo in due città diverse… Uno strano destino il nostro…
-Vi ricordavo felici… come mai?
-Ah sì! Lo siamo stati! Lui che tanto si è speso per farmi diventare una stella della danza, quando ciò si è avverato, è cambiato. Sembrava che non riuscisse a sopportare tutto quel clamore attorno a me. Era diventato ossessivo. Insopportabilmente geloso. Ho dovuto allontanarmi da lui per poter vivere. E lui non ha mai veramente accettato la nostra separazione. È diventato vecchio, noioso, irriconoscibile… Anche il mio incidente non l’ha trattenuto dal torturarmi per mesi.
-Incidente? Non so nulla, scusa. Quale incidente?
-Ah, già. Come potevi saperlo? Sono stata investita da una automobile. È successo a New York, quattro anni fa. Ho subìto numerosi interventi per cercare di ricostruire la caviglia ma è stato tutto inutile. Vedi questo? - disse indicando un sottile bastone ortopedico - è il mio fidato compagno da qualche tempo. Inutile dirti che la mia avventura con la danza si è bruscamente interrotta. All’inizio mi sembrava di impazzire. Non riuscivo a capacitarmi che la mia vita fosse cambiata così di colpo.
-Erika! Ma quanto mi dispiace - disse Jan guardando con la coda dell’occhio la vistosa cicatrice sulla caviglia della donna.
-E tu caro amico? Tu cosa hai fatto in tutti questi anni? Racconta! Perchè non hai preso il volo?
Il volto di Jan, nell’udire quelle parole, si rabbuiò.
-Tu mi hai tradito Erika, forse è utile che te lo ricordi - disse improvvisamente Jan, con durezza.
-Io non…
-Tu mi hai illuso e poi abbandonato - sapendo benissimo quante speranze albergavano in me in quel momento, anche rispetto alla danza… Perchè tu per me non eri solo Erika, tu per me eri La Danza…
-Jan ti prego non dire così... io ero con Albert… io…
-Lasciamo stare Erika, questo discorso è troppo imbarazzante. Se vuoi ho un’altra versione… Una versione più morbida. Almeno per te. Diciamo allora che ho avuto paura. La responsabilità è solo mia. Per anni ho disprezzato mio padre perché lui non ha fatto altro che opporsi strenuamente a qualsiasi progetto che non fosse il lavoro qui, nell’albergo. Poi ho capito che quello era il suo modo per mettermi alla prova, per misurare l’intensità della mia passione… La mia risposta, sempre troppo intermittente, non mi ha permesso di rompere gli indugi… di fare il salto. Quando mi guardo indietro però sono contento di quello che è stato. E della mia vita oggi. Non ho rimpianti. Doveva andare così. Così anche l’incontro con te, l’illusione che mi hai regalato e subito dopo il tradimento e l’abbandono. Non sto scherzando Erika, tu mi hai forgiato e in qualche modo restituito a me stesso… non so se capisci cosa intendo dire... Ti ho odiata profondamente ma anche amata. Ti ho sempre amata...
-Oh Jan, le tue parole mi commuovono, mi curano. Colmano una voragine dentro di me, un senso di colpa così grande e lacerante che non mi ha permesso di rivolgermi a te in questi anni. Ho scelto Albert ma non è stato facile rinunciare a te, credimi. Ho sofferto per mesi e ripensato a noi nonostante questo apparisse assurdo, contraddittorio, paradossale. Ma l’amore deve poter contenere tutto e quello per te, mio tenero Jan, anche se fugace, è stato amore. Sono venuta qui per dirtelo.
-Erika…
-Effimera... effimera ma non per questo meno reale è stata la mia ambizione, me ne rendo conto solo ora. Comprensibile ma distorta e folle è stata la mia attrazione e la mia dipendenza da Albert. Ma lascia che ti dica quanto straziante è stato il rimpianto per quello che avrebbe potuto essere la nostra vita insieme. Tu non sai quante volte ho guardato i cieli e le montagne pensando a te. O sognato di vederti comparire tra le schiere di giovani promesse della danza che incontravo nelle scuole… Io spero tu possa accogliere questa mia tardiva espressione d’amore. Se non dovessi farlo, avrai però tutta la mia comprensione…
-Erika... Erika, ci sono tante cose che vorrei dirti ma le emozioni in questo momento mi sovrastano. Riusciamo a vederci in un altro momento? Tu quanto ti fermi?
-Non ho ancora deciso. A cosa stai pensando?
-Te la sentiresti di salire al ghiacciaio domattina? Riesci a camminare aiutandoti con il tuo bastone? Non capisco però quanto sia faticoso per te... Sarebbe bellissimo tornare al nostro posto... ancora una volta. Cosa ne dici? Possiamo salire piano piano.
-Non ho molta resistenza, Jan... Ma se tu ti armi di pazienza e non corri come tuo solito posso farcela. Sì, mi piace la tua proposta. Non avrei mai immaginato di poter tornare lassù... mi sorprendi ancora una volta...
-Avrò cura di te, non preoccuparti - rispose Jan - Le previsioni per domani sono ottime. Ora tu goditi la tua cena e il tuo vino io intanto vado a cercare un paio di scarpe adatte per te, robuste ma non troppo rigide. Prima però voglio abbracciarti… mia dolce Erika.
-Oh Jan... Jan…
-Domattina ti busserò all’alba. Possiamo fare una buona colazione insieme e poi andiamo su...
-Ma tu questa notte?... Noi… ?
-No tesoro, lasciamo le cose così. Siamo stati già molto fortunati per questo incontro. Non…
-Ok, capisco. Hai ragione.
-Buona notte Erika.
-Buona notte Jan, a domani.
La grossa radice di rododendro era ancora lì. Sotto un cielo terso molto simile a quello di trent’anni prima Erika era di nuovo accanto al ghiacciaio. Tutto le ricordava quel giorno. Ecco là la roccia dove lui si era ristorato contemplando le cime innevate e poco oltre la radice contorta che avrebbe tanto voluto portare a casa. “La nostra casa” aveva detto, quando ancora non si era parlato di vivere insieme. La memoria della sua voce che scandiva quella frase era ancora là, come cristallizzata ed Erika la poteva sentire e con essa ritrovare intatta l’emozione che aveva provato e tutto il desiderio per quell’uomo. La sua sicurezza virile l’aveva conquistata.
Proseguendo verso il ghiacciaio, in mezzo ad un paesaggio sempre più desolato, Erika e Jan era giunti in corrispondenza di una imponente morena sulla quale, a seconda delle stagioni, si aprivano spettacolari crepacci uniti tra loro da ponti di ghiaccio dai riflessi turchesi. Proprio tentando di attraversare uno di questi Albert era scivolato scomparendo nel vuoto. Erika ricordava bene quel terribile momento. E il suo urlo. Riusciva ancora a sentirlo quel suo urlo disperato, che era echeggiato a lungo nella valle. L’urlo di chi, improvvisamente, sta perdendo tutto. Erano trascorsi minuti così lunghi da sembrare eterni, poi piangente, si era arresa accasciandosi come un fantoccio senza vita nella pietraia.
Non poteva sapere che da lì a poco, sarebbe arrivato Jan. E lui l’avrebbe accudita, salvata. Lì, per la prima volta, si erano abbracciati.
L’operazione di recupero era stata alquanto complessa. Inizialmente mancavano punti sicuri per creare una solida base di appiglio per la corda. Jan, sceso una prima volta nel crepaccio, si era accorto subito che la lunghezza della corda non sarebbe stata sufficiente, ma ciò che era peggio aveva capito che Albert, non rispondendo alle sue sollecitazioni, non avrebbe collaborato al suo stesso recupero. Il rischio che andasse in ipotermia poi, diventava di ora in ora più reale.
Erika, tranquillizzata dal fatto di non essere più sola, aveva sentito nascere dentro di sé una profonda gratitudine per quel ragazzo così premuroso. E, con energia rinnovata, aveva ripreso a comunicare con Albert intonando canzoni e rivolgendogli parole di incitamento. Era stato proprio durante uno di questi tentativi che si era udita una flebile voce provenire dalla cavità di ghiaccio. E la speranza si era riaccesa. Calata prontamente dell’acqua, Albert aveva reagito. Jan, nel frattempo, unendo la sua corda a quella del malcapitato, era riuscito a creare un ingegnoso sistema di contrappesi e dopo averlo imbragato l’aveva riportato in superficie. La situazione si era così improvvisamente sbloccata, Albert, confuso e un po' ammaccato alla fine era stato portato in salvo miracolosamente illeso.
-Verresti con me in un luogo magico?
La voce di Jan ruppe improvvisamente il flusso di ricordi che stavano scorrendo nella mente di Erika. A cosa si riferiva Jan? Erika lo sapeva bene. Il luogo magico esisteva. Ed era un posto che loro due avevano visitato insieme. C’erano stati altri avvenimenti importanti accanto a quel ghiacciaio ed erano cose loro, senza Albert.
Era successo tutto nei giorni successivi all’incidente nel crepaccio. Albert ed Erika avevano deciso di prolungare il loro soggiorno in albergo per permettere a lui di riprendersi e Jan vedendo Erika un po' provata le aveva proposto una piccola escursione per svagarsi. Il tempo mite di quella primavera invitava più che mai a godere della bellezza delle montagne. Albert, normalmente gelosissimo non si era opposto, anzi era sembrato contento di rimanere un po’ da solo. L’eccessivo accudimento della donna - diceva - lo faceva sentire ancora più vecchio. Così i due giovani la mattina successiva si erano ritrovati di nuovo insieme, soli.
-Verresti con me in un luogo magico? - le aveva detto a un certo punto Jan creando in lei uno stato di eccitazione e curiosità.
-Portami con te - aveva risposto Erika sorridendo.
Che coppia perfetta avremmo potuto essere! Aveva pensato Jan spiando Erika, nella sua tenuta da escursionista con i capelli raccolti e un grande foulard colorato sulla testa. Qualcosa tra loro stava nascendo e sembrava quasi che non se ne rendessero conto. Tutto succedeva in modo inarrestabile ma graduale. Graduale come quell’ascesa verso le grandi altezze, là dove anche il colore del cielo mutava da una tonalità chiara a una più densa e scura.
Trent’anni dopo, in quegli stessi luoghi, Erika ripensava anche a quel giorno con Jan e ricordava con lucidità il turbamento di allora, quel sentimento che disperatamente aveva tentato di cacciare via, perché entrava in collisione con Albert e il loro amore appena nato. Per tutto il tempo della loro escursione non aveva perso di vista Jan. Quanto le piaceva la forma perfetta delle sue spalle, la nuca, le sue mani. Perfino l’odore del suo corpo accaldato - tutte le volte che si ritrovavano vicini - le procurava un piacere sottile.
Coglieva in quel ragazzo la freschezza di uno spirito giovane, molto simile al suo. E sentiva, prima ancora di esserne veramente consapevole, che con Jan la complicità avrebbe potuto essere totale. Una complicità impossibile invece con Albert.
Sarebbe stata capace di resistere alla seduzione di quel giovane? Ne era convinta. Nel frattempo, però il suo corpo le mandava ben altri messaggi, la sua mano cercava e stringeva spesso quella di Jan, il cuore sussultava ad ogni suo sguardo.
Oh sì, l’avrebbe seguito ovunque, pensava. Lui, nel frattempo, l’aveva invitata a scendere in uno stretto cunicolo di pietra e ghiaccio. Là, nella profondità della montagna, quando l’oscurità si era fatta pressoché totale, Jan aveva acceso una piccola torcia elettrica e come un mago con la sua bacchetta magica, tutta la volta della grotta si era improvvisamente riempita di stelle luminose: decine e decine di cristalli di tutte le misure e fogge coprivano il soffitto e le pareti della cavità, creando uno straordinario effetto di rifrazione. I riflessi di una miriade di minuscoli arcobaleni sembravano moltiplicarsi all’infinito...
-Wow! Sembra un cielo stellato! - aveva esclamato Erika.
-Ho lungamente sognato di poter venire qui con te…. sapevo che questo luogo ti sarebbe piaciuto.
-Oh Jan! È assolutamente meraviglioso.
Fu a quel punto che Jan la baciò e lei si abbandonò totalmente a lui. La torcia inavvertitamente cadde e si spense e il tempo acquistò un’altra dimensione. Chi li vide alla sera, sulla via del ritorno in albergo, non poté non notare il loro spirito allegro ed euforico. Ma il loro ritardo aveva creato anche una certa apprensione in qualcuno e già il personale dell’albergo si era allertato. Il padre di Jan, quando lo vide, quasi non gli rivolse un saluto. Erika poi, non fu degnata neppure di uno sguardo.
La notte stessa, Erika andò a bussare alla porta della camera di Jan. Fu quella la prima e unica volta in cui i loro corpi danzarono insieme. Lui si illuse fino all’ultimo che quella donna l’avrebbe liberato dalla sua prigione tra i monti. Lei, forse inconsciamente, sognò con Jan di potersi salvare e uscire dall’incantesimo che la destinava ad Albert.
Non avvenne nulla di tutto ciò. Erika e Albert lasciarono l’albergo due giorni dopo, senza avvertire nessuno. Sotto la porta della sua camera, Jan trovò una piccola busta turchese chiaro e dentro un biglietto con tre parole: perdonami sempre, Erika.
Quel giorno Jan crollò. Gli venne una febbre molto alta e non lavorò. Ciò gli permise di rimanere chiuso in camera, a piangere.
-Ricordi quella roccia laggiù? - disse Jan indicando un grosso macigno di granito dalla forma curiosamente a piramide…
-Certo...come potrei dimenticarla…
Scesero insieme lungo la pietraia punteggiata di chiazze di neve fino a raggiungerla.
Fu Jan il primo dei due a superarla e a piegare a sinistra in direzione del ghiacciaio ma subito si bloccò, senza voltarsi. Rimase così per qualche interminabile secondo ed Erika capì che era successo qualcosa. Sembrava che Jan stesse cercando…
-Jan… Jan… - disse.
-Non capisco - rispose.
-Che succede?
-Non vedo più l’accesso alla nostra grotta dei cristalli… me la ricordavo qui, a quest’altezza…
-Era a pochi passi dalla roccia a forma di piramide, me lo ricordo.
-Oh! Guarda laggiù! - esclamò allarmato… - Vedi anche tu quel grande crepaccio?
-Sì!
-Una volta era molto più in alto! Possibile che il ghiacciaio si sia spostato così tanto in pochi anni?
-Trent’anni non sono pochi...
-Ho paura che la nostra grotta non sia più accessibile… Temo che… che...
-Non la vedremo mai più?
-Ho paura di no - rispose Jan, lasciandosi cadere a terra sconsolato.
Quando giunsero all’albergo il sole stava tramontando. Era stata una di quelle rare giornate in cui il tempo era rimasto stabile dall’inizio alla fine. Avevano camminato per tutta la discesa rimanendo distanti, in silenzio. Giunti nell’atrio dell’albergo, come dei normali escursionisti, avevano deposto gli zaini nella grande rastrelliera. Lì, alla base della scala, imbarazzati, si erano scambiati un bacio frettoloso. Erika disse solo: “Sono molto stanca”. E con quelle parole si congedò. Anche Jan era stremato. Si sentiva completamente svuotato. Il sogno di una vita si era sfilacciato e dissolto in poche ore, un po' come certe nuvole estive, capaci di suggerire una forma meravigliosa e poi scomparire.
Quando passò davanti all’entrata della sala da pranzo, con la coda dell’occhio notò tra gli avventori anche il prof. Gruntz e la signora Specht… e vide che la signora Specht aveva una pettinatura diversa dal solito. * Ma ciò che lo colpì di più fu il fatto che fossero seduti per la prima volta allo stesso tavolo e che il prof. Gruntz tenesse la sua mano appoggiata sulla mano di lei.
Sorrise.