L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
(Italo Calvino, Le città invisibili)
Ci sono luoghi, anche quelli più cari, quelli dove ci sentiamo a casa, che vediamo cambiare, forse lentamente ma inesorabilmente. L'inferno di scelte non nostre li trasforma fin nella loro essenza e ci sottrae una parte di serenità, uno spicchio del nostro mondo, un frammento di ciò che, per noi, inferno non è. Perché il degrado spesso è subdolo e latente, non agisce solo attraverso eventi eclatanti e veloci, come una montagna che frana o un bosco che brucia. Così, con la lentezza di un ghiacciaio che si scioglie, dalle campagne stanno sparendo i fiordalisi.
Può sembrare poco ma non lo è. Viene in mente il principio della rana bollita di Noam Chomsky, che nuota placidamente nell’acqua sempre più calda di un pentolone e, quando si accorge della sorte che l'aspetta, oramai non ha più forze per saltare fuori e salvarsi. Le ingiustizie hanno sempre avuto bisogno della nostra distrazione e della nostra rassegnazione, per compiersi. Così, può darsi che prima si cominci a veder sparire i fiordalisi e alla fine, sparisca il campo intero sotto i nostri occhi.
In passato questi fiori riempivano le campagne, mescolandosi al grano e ai papaveri. Si annoveravano, infatti, tra le specie commensali, quelle che si dividono il nutrimento con altre piante. In primavera il colpo d'occhio era inconfondibile: un mare ondeggiante di spighe punteggiato di rosso e di azzurro. Oggi, soffocato da pesticidi e diserbanti, quell’azzurro si sta estinguendo, è diventata una rarità relegata sul ciglio di un pendio o sugli argini di un canale.
Tranne in qualche caso, come a Castelluccio di Norcia. Cancellare i fiordalisi dai campi di questa piccola frazione dei Monti Sibillini, famosa per la coltivazione delle lenticchie e per la straordinaria fioritura policroma che ogni anno, nella stagione tra fine maggio e metà luglio, illumina col suo spettacolo la piana distesa ai piedi del monte Vettore, sarebbe come togliere una fascia di colore all’arcobaleno.
Scriveva Constantijn Huygens: “Un fiordaliso è di troppo in un campo di grano, eppure chi può negare che è da questo fiore che il campo prende tutto il suo splendore?” È vero, infatti che, una volta, quando questi fiori erano diffusi in grandi quantità, i contadini li raccoglievano per fare spazio al grano, ma è vero altrettanto che non si trattava di una lotta impari e definitiva, contro natura.
Non li avvelenavano, non li annientavano. Li trattavano istintivamente con buon senso, utilizzandoli in cucina per condire zuppe e frittate, insieme ad altri fiori selvatici, oppure per preparare infusi e decotti come rimedio per le infiammazioni. Dietro quest’uso in realtà si nascondeva una leggenda legata al mondo della mitologia greca: Chirone, figlio di Crono, era ritenuto il più sapiente dei centauri, esperto nelle scienze e nella medicina; per le sue doti aveva ricevuto da Zeus il dono dell’immortalità, cosicché, quando fu colpito da una freccia avvelenata scagliata da Ercole, non potendo vivere ma nemmeno morire, riuscì a guarire grazie una pozione miracolosa di fiordaliso. Per questo, per i botanici, il fiore acquisì il nome scientifico di Centaurea cyanus.
Così i vecchi agricoltori, fino a pochi decenni fa, quando mettevano a macerare le corolle dei fiordalisi nell’acqua bollente, ripetevano, senza nemmeno saperlo, gesti di una tradizione antichissima.
Del resto erano tempi in cui, di norma, le cose si conservavano a lungo, spesso per una vita intera, o si riciclavano, nel tentativo di non gettare via niente. Meglio che gettare via tutto ed essere condannati poi a soffrire di mancanza e nostalgia.