Laureata in Farmacia all’Università Statale di Milano, ha sempre operato in farmacie private e tutt’ora lavora in zona Sempione a Milano. Ha frequentato, presso la fondazione Muralti, il corso di formazione in omeopatia. Per i suoi interessi personali segue alcuni corsi di EFB (Emotional Freedom Psychobiology) una metodologia che coniuga terapie innovative ma rigorose e scientificamente validate con interventi sulla persona nella sua interezza di corpo, mente, anima e contesto socioambientale ed esistenziale.
Ho sempre nutrito un reale interesse verso le altre persone, dettato anche dalla curiosità che provo per tutti gli aspetti della vita. Spesso per esperienze di vita personale mi sono trovata a vivere situazioni nelle quali ho imparato a comprendere i bisogni degli altri, a sentire le loro emozioni, le loro paure, è una cosa che mi viene spontanea e mi ha portato anche ad occuparmi di loro. Anche nell’ambito del mio lavoro ho messo a frutto queste mie capacità che hanno unito le mie competenze tecnico-scientifiche alle mie capacità relazionali.
Perchè si sceglie di fare il farmacista? E la sua motivazione personale?
Ho scelto di fare Farmacia un po’ di getto finito il liceo scientifico, ero interessata alle scienze, avrei voluto fare biologia, perchè ero molto affascinata dalla cellula e i suoi segreti, dal corpo umano e i suoi misteri, ma Farmacia mi avrebbe dato più sbocchi a livello lavorativo, avrei potuto fare la biologa o lavorare nell’industria o in farmacia. Appena terminato l’esame di stato sono stata contattata da due farmacie, ai tempi i farmacisti erano molto richiesti e facilmente trovavamo lavoro!!! Quindi ho iniziato subito a lavorare in farmacia anche spinta dal mio desiderio di stare a contatto con la gente invece di chiudermi in un laboratorio.
La professione di farmacista sembra essere in equilibrio instabile tra l’aspetto terapeutico e quello commerciale: come si possono conciliare?
L’aspetto commerciale indubbiamente è presente, ma questo non preclude dall’aspetto terapeutico se si lavora con coscienza e onestà.
Quale rapporto si instaura tra il cliente-paziente e il farmacista terapeuta-venditore?
È un rapporto che va oltre la semplice vendita o la risoluzione di un problema, è una relazione di aiuto che, se gestita bene da parte del farmacista, crea fiducia e rispetto reciproco. Nella mia esperienza lavorativa ho creato tante di queste relazioni anche perché la farmacia è un luogo aperto al pubblico dove le persone hanno libero accesso e siamo operatori sanitari a cui può essere rivolta quella domanda che non si riesce a fare al medico per mancanza di tempo, puoi avere quelle informazioni che chiariscono gli eventuali dubbi; in farmacia si viene anche per fare la chiacchierata mentre si va a fare la spesa, la farmacia è un luogo dove le persone vengono anche semplicemente per dirti se stanno meglio o peggio, cosa che è molto più difficile fare con il medico di base, che rispetto ad una volta riesce a dedicare meno tempo ai pazienti.
Esiste, anche nell’ambito delle farmacie, la minaccia che grandi catene e grande distribuzione possano mettere in crisi quelle indipendenti?
Sì, esiste, anzi è una realtà, molte farmacie sono state acquistate da grandi catene che ovviamente hanno la possibilità di avere prezzi molto competitivi quanto meno sul parafarmaco, gli integratori e la cosmesi, anche qui penso che quello che può fare ancora la differenza è il rapporto che sei riuscito ad instaurare col cliente-paziente.
Quali sono stati i maggiori problemi della sua professione nell’era del Covid?
Noi siamo sempre rimasti aperti anche durante il lockdown, eravamo tra i pochi operatori sanitari ai quali la gente poteva rivolgersi. Abbiamo avuto momenti difficili anche perché mancava tutto: non avevamo nemmeno le mascherine per noi, lavoravamo con una visiera di plexiglass sulla faccia. La gente ci prendeva d’assalto e il telefono suonava in continuazione. Sembrava di essere in guerra, mancavano prodotti che in farmacia ci sono sempre stati come l’alcool o la vitamina C o la Tachipirina, anche le informazioni che ricevevamo dal nostro ordine o dalle istituzioni sanitarie erano confuse e contraddittorie, perché era una realtà che nessuno si sarebbe mai immaginato in questa epoca storica. Ci siamo fatti una cultura sulle varie mascherine, sui vari gel igienizzanti, sui guanti, su spray disinfettanti e chi più ne ha più ne metta, ma non sapevamo dire quasi nulla di questo virus che invadeva tutto il mondo e nessuno sapeva come curarlo o debellarlo. Col passare dei mesi la situazione è un po’ evoluta e qualche risposta in più da dare sulle cure o sui vaccini l’abbiamo avuta, ma le difficoltà ci sono ancora in vari ambiti e non sappiamo quando finirà.
Dalla sua ottica professionale come considera il peso di Big-Pharma nel lancio e nella distribuzione di nuovi prodotti?
Sicuramente non si può ignorare che in un mondo globalizzato come quello in cui viviamo le multinazionali hanno una presenza dominante dovuta al fatto che sono una potenza economica in grado di affrontare i costi della ricerca scientifica per nuovi farmaci, cosa impossibile per piccole industrie farmaceutiche. Questo è appena accaduto con il vaccino anti-Covid, dove il monopolio dei colossi farmaceutici è stato totale.
In che modo si approccia il pubblico all’omeopatia e alla medicina alternativa?
Dipende, ci sono persone che amano molto l’omeopatia, che si fanno seguire da medici omeopati e quindi sono sempre ben disposti all’intervento omeopatico anche in farmacia, altre che invece non credono all’omeopatia e quindi hanno un netto rifiuto nei suoi confronti. C’è comunque una buona predisposizione alle cure naturali e la gente apprezza quando si propongono integratori o prodotti fitoterapici da affiancare alla medicina tradizionale al fine di migliorare lo stato di salute e benessere.
Esiste ancora come in passato, la figura del farmacista, che accanto al medico condotto, il notaio, il sindaco del piccolo paese, era un punto di riferimento per i cittadini?
In una realtà come quella di Milano è un po’ difficile però sicuramente all’interno di un quartiere il farmacista è ancora una figura di riferimento alla quale ci si rivolge con fiducia.
La farmacia moderna è ancora in grado di inserirsi nel tessuto sociale di un quartiere?
Sì, anche perché la farmacia non è più solo dispensatrice di farmaci, ma è anche erogatrice di “servizi” correlati alla salute e alla prevenzione, anche attraverso la collaborazione con altre figure sanitarie al fine di migliorare sempre di più la gestione del cliente-paziente nel territorio.
Immagini che Milano sia un suo cliente-paziente, che farmaci le consiglierebbe per stare meglio?
Milano è una città che avrebbe bisogno di tante cure, ma se dovessi scegliere penso ci vorrebbe una medicina in grado di migliorare la “medicina sul territorio,” che si creino più realtà in grado di aiutare le persone che hanno bisogno con competenza, professionalità e disponibilità, quello che è mancato durante la situazione del Covid e dovremmo partire da questa triste esperienza per migliorare.