Il deserto del Sahara non è solo una distesa uniforme di dune. Bizzarri e imponenti paesaggi di roccia, gole e profondi canyon contengono tesori inestimabili. Basti pensare alle pitture rupestri del Tassili, il massiccio montuoso del Sahara algerino, diventato Parco Nazionale e Patrimonio dell'Umanità UNESCO per la sua arte neolitica e primitiva. Come pure alle misteriose figure antropomorfe, alle splendide scene di caccia, di pastorizia e di vita quotidiana che circa diecimila anni fa, quando il Sahara era una verde savana, un popolo di cacciatori-raccoglitori, e più tardi di pastori nomadi, ha scolpito in Libia sulle rocce del Messak e del Tadrart Acacus. E che dire della bellissima incisione di bovini risalente a 6000/8000 anni a.C., nominata la “vacca che piange”, che si trova in Algeria nel Oued Djierat, vicino a Djanet.
Il deserto del Sahara è anche costellato da antichi templi e rovine di città leggendarie come in Sudan (Nubia) la Necropoli Reale di Meroe, con le sue 40 e più piramidi.
Le sue oasi, che sono state create dal paziente lavoro dell’uomo sfruttando la falda acquifera, riservano sorprese incredibili.
In Mauritania, nelle oasi di Chinguetti, Guadane, Tichitt, Oualata, dichiarate nel 1996 Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, si trovano nelle biblioteche islamiche antichi e preziosi manoscritti risalenti al Medioevo e che le grandi famiglie Mauri si trasmettono da generazioni. L’esploratore francese Théodore Monod li ha scoperti negli anni Trenta.
Proprio questo mi ha incuriosito e Chinguetti è stata la meta del viaggio in quel Paese.
La Mauritania è l’unico Paese sahariano che si affaccia sull’oceano Atlantico con scenari del deserto del Sahara che raggiungono la sua costa.
Il suo nome deriva dalle antiche tribù berbere dei Mauri e dal loro regno, la cui zona settentrionale divenne nel 33 d.C. parte della provincia romana della Mauretania che comprendeva anche i territori dell’attuale Marocco e Algeria. Con la caduta dell’Impero Romano arrivarono i Vandali che attraverso la Spagna invasero l’Africa e la Mauritania fu il primo stato oggetto della loro occupazione non pacifica. Poi ci furono i Bizantini ed infine arrivarono gli Arabi. La loro dominazione permase per molti secoli, finché le tribù berbere si ribellarono e li scacciarono e iniziò un lungo periodo in cui lo Stato subì l’influenza del Marocco.
La Francia, attratta dalle sue ricchezze naturali, lo occupò e nel 1904 divenne un suo protettorato; dal 1920 fece parte dell’Africa Occidentale Francese.
Il 28 novembre 1958 diventò Stato Autonomo in seno alla Comunità Francese: due anni dopo ottenne l’indipendenza e si proclamò République Islamique de Mauritanie.
Arrivata, con i miei compagni di viaggio, a Nouakchott capitale e principale città della Mauritania, situata sulla costa atlantica del deserto del Sahara, non abbiamo indugiato e il giorno successivo, al levar del vento lieve ma freddo che anticipa il sole, siamo partiti diretti a Chinguetti.
Lasciato l’abitato, con un percorso articolato di asfalto e terra battuta, abbiamo superato ambienti scenografici di dune che variavano dal rosa al giallo e di rocce erose dal vento. Villaggi di pietra, nello stupore dei suoi abitanti, hanno dato spazio alle nostre tende che, illuminate dalle fiamme del fuoco e sotto cieli stellati, creavano un’atmosfera ancestrale riconducibile alla vita dei nomadi.
Nella sosta all’oasi di Terji, prezioso luogo di riposo e rifugio delle carovane, ho partecipato al rito del tè verde alla menta allo zampillare delle cascatelle delle fonti termali.
Abbiamo poi raggiunto Atar, capoluogo della regione di Adrar, che è spuntata ai piedi di una massiccia barriera rocciosa tagliata da una pista che sale all’alto passo dell’Amojjâr. Nei pressi del passo ci siamo imbattuti in una curiosità: il Fort Saganne, costruito negli anni Ottanta per l’omonimo film, che il tempo fa apparire autentico.
Nomadi Mauri, che stavano abbeverando i loro cammelli ai pozzi, ci hanno indicato la direzione per Chinguetti che ci è apparsa con le sue tipiche abitazioni in pietra e argilla parzialmente sommerse dalla sabbia dell’erg Ouarâne le cui dune avanzano spostate dall’Harmattan, il vento del Sahara.
Raggiunta la settima città santa dell'Islam, abbagliata dal giallo della sabbia a cui faceva da contrasto l’azzurro intenso degli abiti femminili, mi hanno colpito le persone intente a spalare la sabbia ammassata contro le pareti delle loro case. Altri gruppetti stavano per terra aspettando non si capiva che cosa. Immagini che poco rimandavano a una Chinguetti mosaico di culture, di commerci, transito di carovane, e di scuole celebri in tutta l’Africa e nel bacino del Mediterraneo.
“La regina dell’Adrar”, fondata nel 777 d.C. con il nome di Aber “piccolo pozzo”, era un centro importante che contava 12 moschee e 24 biblioteche fornite di corani miniati vergati nello stile mushafi che nel Medioevo arrivavano con gli intellettuali o che i mercanti facevano arrivare a dorso di dromedario insieme a mercanzie varie.
Nella città vecchia - separata da un wadi, grande letto di sabbia, da quella più moderna - vicino alla moschea più antica, un vicolo stretto mi ha condotto alla Biblioteca Habott. Fondata da Sidi Mohamed Ould Habott (1776-1876) ospita all’incirca millequattrocento testi redatti sulla pelle di gazzella, avvolti da quella di capra e finemente decorati, con colori naturali, da miniature. Fra questi c’è il commento al Corano del poeta e linguista al-Askari, redatto un millennio fa in bella calligrafia orientale su carta proveniente dalla Cina e un importante manoscritto del XVI secolo dov'è trascritta una delle opere complete del medico cordovano Averroè, scritta con piuma di struzzo su carta di provenienza italiana. Gli argomenti delle opere, testimoni della circolazione del sapere e della cultura nel Sahara, come mi ha riferito il custode, spaziano dalla religione all’astronomia, alla medicina, alla filosofia, al diritto e alla matematica.
Il mio rammarico è stato vedere che queste preziose opere erano conservate in bacheche dai vetri rotti e il nostro ospite per mostrarcele vi passava una mano sopra per togliere la sabbia. Situazione che non so se sia migliorata a seguito del riconoscimento dell’UNESCO.
L’altra biblioteca che ha attirato il mio interesse, con i suoi 500 manoscritti, è stata la Ahmed Mahmoud segnalata da un’insegna posta nel centro della città vecchia con un pensiero dello scrittore maliano Amadou Hampâté Bâ:
La conoscenza è una fortuna che non impoverisce chi la offre.