Il museo Anima Mundi nei Musei Vaticani, è custode di un patrimonio di oltre 80.000 opere, rappresentative delle culture dei popoli di tutto il mondo. Un bene inestimabile, tangibile e intangibile che deve essere trattato con cura, non semplicemente perché delicato, prezioso o antico, ma, soprattutto come segno di rispetto per le culture e i popoli che lo hanno prodotto. Gli oggetti non sono inanimati, raccontano una storia, e dietro ogni storia ci sono popoli e singoli individui, la memoria collettiva, patrimonio vivente della madre terra e dell’umanità.
I dipinti su corteccia degli aborigeni australiani, il copricapo in piume della Papua Nuova Guinea, i dipinti su seta di Cina e Giappone, le maschere in legno e fibre vegetali dall’Africa, le sculture in legno dell’isola di Mangareva, in Oceania, i calchi dei bassorilievi del Tempio indonesiano di Borobudur. Non solo Michelangelo e Raffaello, dunque, sono i Musei Vaticani, ma anche le delicate ceramiche degli Shipibo o degli Hopi, gli ornamenti in piume dell’Amazzonia o degli Indiani delle Praterie, le maschere rituali dell’Alaska o della Terra del Fuoco, insieme ai capolavori delle civiltà precolombiane.
In stretta collaborazione con il curatore p. Nicola Mapelli, il Laboratorio di Restauro Polimaterico, coinvolge da anni studiosi e laboratori che nel mondo operano a tutela di questo patrimonio, mettendoli in connessione e permettendo loro di confrontarsi sul tema dell’etica nella conservazione per contribuire positivamente alla diffusione di un metodo nuovo, più inclusivo e attento al principio della valorizzazione delle diversità culturali con la prospettiva di promuovere la questione etica anche nell’ambito della formazione interculturale delle nuove generazioni di restauratori.
Le molte attività promosse negli anni, ci hanno permesso di attivare una rete di cambiamento, attiva e partecipata, di documentare gli approcci alla conservazione di molti laboratori di restauro nel mondo che hanno messo a disposizione la propria conoscenza, condividendo interessanti e innovative strategie di tutela. Si tratta di esperienze e soluzioni accumunate dall’impegno professionale e umano per la conservazione e la tutela dei beni etnografici, intesi non soltanto come strumenti per guardare meglio al passato di un popolo, ma soprattutto come opportunità di conoscenza per vivere in armonia nel presente e nel futuro.
Particolare attenzione è riservata, allo studio e all’apprendimento delle tecniche tradizionali di realizzazione degli oggetti, tanto nelle fasi preliminari di identificazione dei materiali costitutivi, quanto in quelle successive di definizione delle corrette pratiche conservative, dal non intervento all’utilizzo di materiali di restauro autoctoni, naturali e biocompatibili.
Determinante per il futuro, è sempre più la partecipazione delle comunità indigene ai progetti di tutela, orientati alla trasmissione del patrimonio alle giovani e alle future generazioni. Una partecipazione, dunque, tanto nell’elaborazione delle scelte conservative quanto nella definizione dei criteri espositivi, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità per apprenderne le tecniche, ascoltarne i punti di vista e i suggerimenti. Siamo impegnate a trasmettere il patrimonio culturale materiale alle generazioni future assicurando loro condizioni di accessibilità pari alle nostre e rispettando il valore sociale e spirituale degli oggetti.
Mai, come in questo momento di isolamento forzato prodotto dalla pandemia, è stato importante mantenere e incrementare un contatto con la realtà internazionale della conservazione, anche attraverso la tecnologia digitale, un impegno da noi iniziato con i progetti internazionali di Sharing Conservation, dai quali è nato il manuale per la conservazione dei beni etnografici e polimaterici, Etica e pratica della conservazione. Un’etica della conservazione è possibile e si sintetizza in un’attenta analisi tanto del contesto di provenienza che di quello di “approdo” dell’oggetto etnografico nel dialogo con le comunità indigene contemporanee.
La nostra scelta per il cambiamento di prospettiva, è stata quella di entrare in contatto con la comunità internazionale della conservazione del patrimonio etnografico, mettendo in relazione l’esperienza e gli approcci con quelli di altri laboratori attivi nel resto del mondo, promuovendo lo spirito di collaborazione professionale. Oggi, cresce la consapevolezza che i restauratori possano sempre più partecipare alla creazione di contenuti e di pratiche dal valore sociale, facendo emergere nuove narrazioni, capaci di declinare il concetto di bellezza oltre i canoni estetici eurocentrici e occidentali e di fare apprezzare il lavoro creativo dell’Umanità tutta e le sue innumerevoli forme creative.
Si tratta di un cambiamento di paradigma locale, nazionale e globale che lancia sfide, professionali e umane a tutti gli operatori del settore culturale, sempre più coscienti che la nostra società contemporanea troppo poco attenta al benessere collettivo, può e deve diventare più solidale più inclusiva, anche attraverso l’educazione alla responsabilità etica delle risorse culturali.