Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Darya Ershad (Shiraz, Iran 1983).
I nodi che ricrei nel presente sono quelli che da sempre desideri sciogliere. L’arte può essere una pratica terapeutica. Evocare ferite lenisce il dolore e può portare a guarirle. Restare bambine in qualche stanza della nostra memoria per riordire le trame della nostra storia, può essere fondamentale per tracciare una nuova strada. Nessuna donna deve mai dimenticare le proprie radici, perché quelle radici sono il patrimonio con cui costruire la propria vita.
La memoria della propria terra, dei propri affetti, dei luoghi in cui si è cresciuti, dei colori e dei profumi. La memoria che tinge i percorsi della vita e modella la propria vocazione, è il patrimonio più prezioso. Darya è cresciuta tra i colori, gli odori, i tessuti dell’Iran e pur vivendo in Italia da diversi anni, ha portato dentro di sé, nello scrigno dei suoi ricordi e nelle maglie della sua sensibilità, questo diverso universo visivo e olfattivo. Una ricchezza che ha fatto di lei un’artista eclettica capace di muoversi tra teatro, moda, pittura e performance. Darya realizza oggi opere bidimensionali con tessuti stratificati, ricamati, annodati. Opere che evocano la ferita di una femminilità ancora troppo costretta e negata in quei luoghi dove sono le sue radici. In Medio Oriente alle donne sono negati ancora troppi diritti. E questa verità nel cuore di Darya continua a pulsare. Darya colleziona tessuti di ogni tipo, li accarezza, li corteggia, riflette sui loro colori, su quanto le evocano. Poi li lascia lì. Nella sospensione di una attesa. Oppure li cuce, scuce e ricuce. Come nel tentativo di conoscere, per poi sanare, una antica ferita.
Il lavoro di Darya è un delicato caleidoscopio in cui il corpo, la stoffa, il colore, la musica e la verità, si muovono contaminandosi o alternandosi. In un linguaggio femminile pregno di universalità.
Darya Ershad vive e lavora a Milano dal 2008. Questa è la sua voce creativa per voi:
Chi sei e quale è stato il tuo percorso?
Sono nata a Shiraz nel 1983. Dopo aver completato la mia laurea in pittura presso l’Art & Architecture University di Teheran ho deciso di trasferirmi a Milano, dove ho continuato a studiare moda, anche se la mia vera passione era soprattutto il teatro, perciò ho iniziato ad avvicinarmi al mondo degli spettacoli teatrali. Colori, tessuti, musica e movimenti sono ben intrecciati nella mia natura. Avverto dentro di me un forte legame tra loro. Una parte di me è molto legata alla mia infanzia e da tre anni circa realizzo anche creazioni per bambini o, per essere più precisa, per bambini intrappolati nel corpo di adulti. Sono creazioni piuttosto lontane dai miei soliti lavori ma è una parte di me che assolutamente non posso nascondere. Perciò posso dire di essere un'artista con due lati molto diversi.
Il colore della tua infanzia?
Sono due: giallo ocra e blu cobalto.
Cosa ti manca dell’Iran?
Dipende dal momento. Alcune zone, strade, case, bazar per me hanno profumi, ricordi, sentimenti che mi mancano sempre. E poi mi manca parlare e sentire parlare la mia lingua. Qui devo ancora concentrarmi molto prima esprimermi in italiano. Ci sono, per esempio, dei momenti in cui per mancanza di una parola italiana mi blocco e mi dico: “Oh mio dio come vorrei parlare il farsi”.
Sei una danzatrice… ci racconti qualcosa al riguardo?
Devo dire che più che la danza mi piace creare coreografie. Di solito, quando sento una musica che mi piace, immagino i passi e i movimenti. Mi basta chiudere gli occhi e lasciarmi andare... Qualche volta nella mia mente tutto si crea già nella sua completezza: movimenti, luce, costumi... come un piccolo teatrino che mi vive nella testa. Il teatro lo amo davvero, è la mia grande passione. Negli anni passati ho realizzato spettacoli e performance con diversi musicisti.
I tessuti e le stoffe ti hanno affascinato fin da piccola… ma da dove arriva questa fascinazione?
Avevo due zie sarte, la loro casa per me era un frammento di paradiso. Mi lasciavano i pezzettini di stoffe con cui potevo realizzare le composizioni o le bambole. Ancora sento l'odore di quelle stanze: un miscuglio tra olio di macchina da cucire, tessuti, fibre, lana... A distanza di anni ricordo ancora benissimo tutto, ed ora ovunque mi capiti di andare cerco stoffe e materiali tessili. Ho un micro magazzino di stoffe a casa mia. Qualche volta non le utilizzo per niente, le guardo e le tocco solamente. Al momento giusto prenderanno nuova vita.
Come inizia, invece, la tua carriera da costumista?
La mia carriera è cominciata subito dopo l'accademia. Avevo svolto una tesi sui costumi teatrali e i copricapi. Da sempre ero affascinata dai costumi di scena. Ho cominciato a decorare i costumi nell'atelier Brancato e poi ho collaborato con diversi teatri e atelier di moda.
Dove passeggeresti per ore a piedi nudi?
In mezzo alla natura. Se fosse possibile sul fondo degli oceani o sulle montagne, dove si vede l'orizzonte. Può essere ovunque...
Ci parli della tua linea di abiti orientali?
Solitamente prendo ispirazione dalla natura e dalle mie origini medio-orientali: la loro influenza è presente in tutti i miei lavori. Ho attinto ai colori ed ai profumi dei “Giardini Persiani”, che mi hanno sempre affascinato tanto.
La tua ricerca artistica si basa sull’uso di tessuti e pigmenti, ci descrivi il processo creativo che è alla base delle tue opere?
Sperimentare col teatro ed essere a contatto con diverse stoffe, fibre e materiali mi ha aiutato a indirizzarmi sulla mia strada. Il tessuto come materiale mi dà la possibilità di pensare in modo tridimensionale. Anni fa dipingevo tanto, ora con le stoffe è solo cambiato il mezzo di espressione per me. Metto strati trasparenti su quelli grezzi. Li ammorbidisco, li accarezzo… ne studio i significati per trovare il miglior utilizzo, la modalità più funzionale ai miei progetti. Tingo spesso le stoffe coi colori naturali, e poi comincio a ricamare. Inoltre, utilizzo tanto i nodi nelle mie opere, sono i miei tentativi di sciogliere i nodi pesanti del passato. Guardo il mio tessuto e lo scucio e ricucio. Cerco di liberarmi dalla trama fatta di quei pregiudizi innescati nel mio passato e mi impegno a riordire il tessuto con una nuova trama.
Quanto contano le tue origini nella tua ricerca artistica?
Sicuramente contano tanto, soprattutto nell'approccio iniziale, per poi farsi meno evidenti durante la realizzazione dell'opera. Anche se penso che alla fine qualche traccia delle origini rimanga sempre. Penso, ad esempio, ai nodi che uso nei miei lavori tessili, i quali derivano anche dai tappeti iraniani. Per creare un tappeto ci vogliono migliaia e migliaia di nodi. Di solito le donne cantano mentre fanno questi nodi, come se fosse un rito sacro, e mi accorgo che lo è anche per me.
Che ruolo ha la memoria nel tuo lavoro?
Più passa il tempo e più mi accorgo che la memoria ha un ruolo sempre più importante nei miei lavori. È fondamentale.
È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?
Molto spesso sì, ma non necessariamente.
Il colore della privazione?
Un grigio neutro.
Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?
Venendo da un Paese in cui la censura ha avuto un ruolo piuttosto pesante nella mia vita di gioventù, penso che il compito di noi donne artiste sia quello di riuscire ad oltrepassare la spessa coltre della censura per riuscire ad esprimerci liberamente.
Sono assolutamente d’accordo con te. Quel che hanno da dire le donne è solo delle donne e può esser detto solo dalle donne. Secondo te una donna libera è pericolosa?
Dal mio punto di vista assolutamente no, anzi una società sana ha bisogno di donne libere e indipendenti. Ma è un discorso molto ampio: io vengo da una parte del mondo (Medio Oriente, Iran) dove ancora oggi le donne devono purtroppo combattere per veder riconosciuti i propri diritti, perché secondo una certa mentalità una donna libera è considerata davvero pericolosa.
Il colore della libertà?
Bianco trasparente.
Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?
Lacrime. In questa opera ho ricamato lacrime di diversi colori; nere, rosse e bianche. Per me sono lacrime di rabbia, tristezza e felicità nello stesso momento. Forse mi piace perché in questo lavoro mi ci rivedo particolarmente, in sono una persona che si commuove piuttosto facilmente, ed il risultato è quello che avevo nella testa, non ho aggiunto e né tolto niente. Era esattamente quello che sentivo.
Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?
Le poesie mi danno sempre grande ispirazione. Ci sono tanti poeti che mi piacciono. Federico García Lorca è uno dei poeti da cui ho attinto di più per i miei lavori.
Segnalaci tre opere che a tuo avviso riassumono totalmente la tua poetica.
Le ali inchiodate, 2020, lana, cotone, filo, acrilico.
Cenere dei ricordi, 2020, lino, cotone, seta, filo, acrilico, caffè, inchiostro.
Senza titolo, 2021, seta, organza, filo di cotone, caffè, matita, inchiostro.
L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?
Ammiro le opere di Chiharu Shiota. Forse The crossing è quella che gli invidio di più.
Un o una artista che avresti voluto esser tu.
Devo dire che non ho voluto mai essere un’altra artista, ma ci sono tanti artisti in diversi settori che mi hanno dato ispirazione.
Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.
Notevole, complesso, multiforme.
Work in progress e progetti per il futuro.
Poco dopo che è nata mia figlia è esplosa la pandemia da Covid. Avevo appena cominciato una nuova esperienza: essere mamma! Ma poi è cambiato tutto: le giornate chiuse tra le mura domestiche con una creatura tra le braccia a cui badare non sono state semplici… La pandemia ovviamente ha influenzato tanto il mio lavoro e la mia vita. Le esperienze vissute in questi due anni difficili, unite all’esperienza unica di essere una “neo mamma” sono stati gli ingredienti principali del mio nuovo e futuro progetto che si intitola La finestra. E ancora una volta la vita vera, la vita vissuta, è diventata materiale artistico.
Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.
C'è una poesia di Margot Bickle (poetessa tedesca) che da sempre mi sta a cuore e me la ripeto tante volte:
Love begets love,
Love creates life,
Life cultivates suffering,
Suffering whispers fear,
Fear accompanies courage,
Courage carries confidence,
Confidence whispers hope,
Hope gives life,
Life invites love, love begets love.