Tante volte abbiamo guardato un film di Woody Allen senza sapere che stavamo leggendo un romanzo di Dostoevskij. Il nevrotico e ipocondriaco regista americano è infatti un grandissimo fan della letteratura russa e soprattutto di questo autore. Può sembrare assurdo perché i suoi film sono quasi tutte commedie, mentre il romanziere di Mosca ci ha sempre narrato tragedie ambientate nella fredda e ostile San Pietroburgo, eppure gli omaggi sono tanti (delle volte pure espliciti) e numerosi.
In Amore e guerra (1975), una vera e propria parodia dei romanzi russi del XIX secolo, c’è una scena in cui il protagonista parla con il proprio padre. Il dialogo è costituito unicamente da titoli di opere russe:
Padre: Ricordi quel bravo ragazzo nostro vicino, Raskol’nikov?
Boris: Sì.
Padre: Ha ucciso due signore.
Boris: Ma che brutta storia.
Padre: A me lo ha detto Bobik. Lo ha saputo da uno dei fratelli Karamazov.
Boris: Atti inconsulti di ossessi.
Padre: Non aveva né guerra né pace.
Boris: O forse era solo un idiota.
Padre: Aveva una faccia da umiliato e offeso.
Boris: Io sapevo che era un giocatore.
Padre: Potrebbe essere il tuo sosia!
Boris: La realtà romanzesca!
Il film è un capolavoro di comicità, anche se l’omaggio alla cultura russa è più formale che contenutistico. Allen ha riservato ad altri film il compito di far parlare di nuovo Dostoevskij, portandolo per le strade di Manhattan e Londra, facendocelo (ri)conoscere.
Il primo film che ci interessa è Match Point (2005) nel quale troviamo una vera e propria dichiarazione di intenti da parte del regista, infatti in una scena il protagonista legge proprio Dostoevskij. È la storia di Chris, un istruttore di tennis, ambizioso e opportunista, che sposa la ricca Chloe e si sistema nell’azienda di famiglia del suocero. Tutto sembra perfetto finché l’amante di Chris, Nola, resta incinta e pretende che lui molli tutto per lei ed il bambino. A questo punto Chris diventa un personaggio di Dostoevskij: inscena una rapina finita male nella quale uccide la vicina di casa di Nola e poi lei. Chris getta nel Tamigi i gioielli rubati, ma la fede dell’anziana donna urta il muretto e cade a terra, facendoci credere che Chris in qualche modo verrà scoperto. Nel giro di poche ore, nella stessa zona si svolge una rapina per mano di un tossicodipendente che viene accusato del duplice omicidio perché trovano nella sua tasca la fede lanciata da Chris, evidentemente trovata in strada, per caso, dall’uomo. Chris è dunque salvo, per lui non è arrivato il castigo dopo il delitto, ed è condannato a misurarsi con i sensi di colpa.
Che cosa ci ricorda questa trama? Ovviamente Delitto e castigo. Allen ricalca quasi alla perfezione la storia di Raskol’nikov, un giovane indigente di San Pietroburgo che, sollecitato da alcune riflessioni ardite, decide di uccidere un’anziana usuraia (a suo dire inutile per il mondo) per testare i limiti morali dell’uomo. Da questo momento in poi iniziano i tormenti di Raskol’nikov che alla fine del romanzo confessa i suoi delitti ed è condannato ai lavori forzati in Siberia. Egli vede nell’omicidio un’occasione di riscatto dalla la sua vita fatta di miseria e anonimato. Si sente potente, un superuomo che ha compiuto un gesto che lo ha posto oltre i limiti umani. Ma le cose non vanno come devono perché Raskol’nikov si fa travolgere dal rimorso, che non aveva calcolato, e si inabissa in un turbine di deliri, angoscia, tormenti, solitudine e paura di essere scoperto. La sua vera condanna, il castigo, non è la Siberia, ma l’orrore nel quale è sprofondato. Per Raskol’nikov, a differenza di Chris, dopo il delitto arriva il castigo. Dunque un finale diverso, Raskol’nikov è colpevole, Chris è innocente, per puro caso.
Nel monologo iniziale di Match Point si parla proprio di questo, mentre l’immagine si ferma su una pallina da tennis in aria: “Chi disse ‘Preferisco avere fortuna che talento’ percepì l’essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro e per un attimo può andare oltre o tornare indietro. Con un po’ di fortuna va oltre e allora si vince. Oppure no, e allora si perde”, esattamente come la fede lanciata da Chris.
Woody Allen ci invita a pensare. Quanto conta la fortuna nella vita? C’è un altro film, Irrational man (2015), nel quale la situazione è la stessa. Un tenebroso Joaquin Phoenix interpreta il bizzarro e depresso professore di filosofia Lucas (altro lettore di Dostoevskij) che, proprio come Raskol’nikov, decide di dare un senso alla propria vita compiendo un omicidio, dopo aver origliato la conversazione di una sconosciuta sul punto di perdere l’affidamento dei figli a causa di un giudice corrotto. Niente di meglio: ora il mondo è un posto migliore senza quel giudice (come l’usuraia di Delitto e castigo), il professore non si sente più un intellettuale passivo, ha agito, ha compiuto l’azione.
Lo slancio vitale del professore dura ben poco però, perché la sua compagna lo ha scoperto e lui deve uccidere anche lei. Nel tentativo di buttarla nel vano dell’ascensore, per caso, appoggia il piede su una torcia caduta dalla borsa di lei durante la colluttazione, scivola e muore. Un altro episodio in cui il Caso ha agito, decidendo chi vince e chi perde.
Così come Chris e Lucas, anche Judah, un personaggio di Crimini e misfatti (1989) si trova salvato dal Caso. Judah è un oculista ricco e di successo che rischia la tragedia quando trova in casa la lettera della sua amante destinata alla moglie. Non ha altra scelta: assolda un killer e fa uccidere la sua amante. All’inizio ha molti rimorsi (“Dico, qui si parla di un essere umano, lei non è un insetto, non lo schiacci e amen”), è sul principio di una crisi di coscienza, come Raskol’nikov, ed è sul punto di confessare. Ma quando vede che non succede nulla e che la sua vita continua ad essere perfetta, si rende conto che i sensi di colpa non servono a nulla.
Raskol’nikov, Chris, Lucas, Judah. Cos’hanno in comune? Essi uccidono e devono fare i conti con le conseguenze delle loro azioni. Hanno in comune il caso: Judah evita che la lettera dell’amante arrivi alla moglie, Lucas muore per una torcia caduta dalla borsa, Chris è salvo grazie alla fede che non finisce nel Tamigi. Ma è giusto parlare di Caso o c’è una Provvidenza che agisce? Perché l’unico a redimersi è proprio il personaggio di Dostoevskij? Il punto di partenza è lo stesso, il finale è sempre diverso.
In Dostoevskij c’è redenzione, perché è cristiano e vuole dare un’ultima possibilità all’uomo per essere migliore di quello che è. Woody Allen è ateo, non crede in una redenzione, per i suoi personaggi non c’è un giudizio divino, non c’è una giustizia morale, esiste solo il puro e semplice caso.
Judah, nel mezzo della sua crisi di coscienza, torna con la mente a una vecchia discussione di due suoi parenti sull’omicidio: secondo il primo un assassino in un modo o nell’altro viene sempre punito, non necessariamente dalla legge ma dalla coscienza (“sboccerà un fiore immondo”), il secondo invece dice che il segreto è non farsi affliggere dalla morale e continuare a vivere (“sarà in un ventre di vacca”). Ed è quello che scelgono di fare Chris, Lucas e Judah, cioè non lasciarsi trascinare dal turbine dei sensi di colpa, perché non esiste alcuna punizione, la loro vita continua come prima, perché hanno avuto la conferma che l’universo è solo una “vuota astrazione” privo di una struttura morale.
L’unica differenza fra i tre è la morte di Lucas. Potremmo pensare che abbia avuto quello che si merita, che allora esista una giustizia morale e che chi compia un’azione orribile prima o poi venga punito. Il discorso assume un senso se ci limitiamo a questo film, e non valutiamo Match Point e Crimini e misfatti, nei quali invece gli assassini la fanno franca. Non basta la morte di Lucas per farci prendere in considerazione l’esistenza di un qualche tipo di giustizia nella visione di Allen, è solo il caso a governare. Allora cosa ci resta? A cosa serve vivere, darsi da fare, se poi siamo in balìa del caso? “Siamo noi, amando, a dare un senso all’universo indifferente […] noi siamo comunque determinati dalle scelte che facciamo” ci dice Allen negli ultimi minuti di Crimini e misfatti.
Ci basta questa spiegazione? Una risposta più soddisfacente arriva da Match Point, quando i fantasmi di Nola e dell’anziana vicina appaiono a Chris per chiedergli spiegazioni e lui risponde: “Non è stato facile. Ma, quando è arrivato il momento ho premuto il grilletto. Uno impara a nascondere lo sporco sotto il tappeto e va avanti. Devi farlo, altrimenti vieni travolto”. Per quanto riguarda l’uccisione dell’anziana, Chris si giustifica così: “Qualche volta gli innocenti vengono trucidati per un disegno più grande. Lei è stata un danno collaterale”. Ma il dialogo con i fantasmi non è ancora concluso, Chris si confessa: “Sofocle ha detto: Non venire mai alla luce può essere il più grande dei doni”. Allen qui si mostra in tutto il suo pessimismo ed ateismo. Quando Nola allude al fatto che lui voglia essere inconsciamente scoperto, Chris le dà ragione: “Sarebbe appropriato che io venissi preso e punito. Almeno ci sarebbe un qualche piccolo segno di giustizia, una qualche piccola quantità di speranza di un possibile significato”.
Allen si è sempre dichiarato ateo, eppure questa scena ci racconta tutt’altro. Abbiamo incontrato uomini come Chris e Judah che si sono macchiati di crimini orrendi e che, non avendo il coraggio di costituirsi, hanno sperato inconsciamente in una giustizia divina o laica, perché erano terrorizzati dal fatto che davanti ai loro crimini non ci fosse alcuna punizione. Raskol’nikov ha avuto paura di sé stesso e di Dio, nel quale Dostoevskij credeva profondamente, fino al punto da confessare. Da una parte un uomo che teme Dio, dall’altra uomini che temono un mondo senza Dio, perché la libertà di scelta li ha fatti sentire smarriti. Allen ha voluto liberare Raskol’nikov da un grosso peso, ma lo ha gravato di un altro fardello, quello della mancanza di peso.
Siamo vicinissimi alle parole dostoevskiane del Grande Inquisitore, che nel quarto capitolo de I fratelli Karamazov, fa incarcerare Cristo che è appena tornato sulla Terra quindici secoli dopo la sua morte e ha appena compiuto un miracolo:
Non c’è per l’uomo rimasto libero una cura più assidua e tormentosa che quella di cercare un essere dinnanzi a cui inchinarsi. […] Il segreto dell’esistenza umana infatti non sta solo nel vivere, ma in ciò per cui si vive. Senza un concetto sicuro del fine per cui dover vivere, l’uomo non acconsentirà a vivere e si sopprimerà piuttosto che restare sulla Terra. Invece di impadronirti della libertà degli uomini, tu l’hai accresciuta! Avevi forse dimenticato che la tranquillità e persino la morte è all’uomo più cara della libera scelta fra il bene e il male? Nulla è per l’uomo più seducente che la libertà della sua coscienza, ma nulla è anche più tormentoso […] e hai agito come se tu non li amassi per nulla, e chi mai ha fatto questo? Colui che era venuto a dare per essi la sua vita! Invece di impadronirti della libertà umana, tu l’hai moltiplicata e hai per sempre gravato col peso dei suoi tormenti sulla vita morale dell’uomo. Ma non avevi pensato che, se lo si fosse oppresso con un così terribile fardello come la libertà di scelta, egli avrebbe finito per respingere e contestare perfino la tua immagine e la tua verità? In tal modo preparasti tu stesso la rovina del tuo regno […] L’uomo è stato creato più debole e più vile di quanto tu non credessi! Stimandolo tanto, hai agito come se avessi cessato di averne pietà, perché troppo pretendesti da lui, e chi ha fatto questo? Colui che lo amava più di sé stesso.