Caro lettore, ti racconto un’esperienza che probabilmente risuonerà in te come ha fatto con me durante una seduta di Floriterapia con una persona che seguo da diversi anni.
I fiori più significativi la aiuteranno ad evolversi per sostenere la capacità di esprimersi e di aprire il suo cuore per togliersi una delle tante maschere, che tutti noi, volenti o nolenti ci infiliamo come sistema di difesa.
Quel giorno, uno tra tanti dei primi giorni di aprile, apparentemente tranquillo, avevo appena terminato una consulenza: l’aria primaverile entrava riscaldata dal sole e ricordo piacevolmente quel profumo di fiori mescolato al traffico della città.
Entra lei, una donna carismatica, una di quelle persone che apparentemente sa cosa fare, sa cos’è meglio per lei, che apparentemente dà l’idea di essere consapevole di ogni sua scelta, di ogni suo passo. Una donna forte, una tigre bianca, comunque un felino.
Mi saluta con il suo solito sguardo, si siede composta e si sistema i capelli arruffati, ricci, scomposti e mi dice: “Doc aiuto ho bisogno di un consiglio”. Pensavo, anzi, speravo fosse uno dei classici disturbi da donna, magari quelli di pre-ciclo oppure un calo energetico stagionale ma percepivo qualcosa di più, qualcosa di diverso, di profondo.
Abbasso le tendine oscuranti dello studio, accendo la lampada di sale e avviso in segreteria di non essere disturbata per almeno un’oretta: volevo dedicarmi ad ascoltarla perché sapevo sarebbe stata un’esperienza notevole anche per me.
Rilassata iniziò, come un fiume in piena, a raccontarmi che aveva un nodo alla gola, erano anni che manteneva, come in uno scrigno , i pensieri e le sensazioni verso un uomo conosciuto molti anni prima con il quale visse una delle più sconvolgenti e coinvolgenti storie d’amore fisico, chimico, platonico e poi ancora fisico, poi amore folle, follie, negazione, energia, due amanti che non volevano innamorarsi ma forse, e lei non lo sa ancora, si innamorarono e poi si lasciarono ma poi si rincorrevano per lasciarsi nuovamente.
Un uomo dall’animo puro e diabolico, dalle mani magiche, dalle parole dette per riempire il suo lato animale per poi sciogliersi quando incrociava lo sguardo di lei perché anche lui non poteva gestire quelle reazioni automatiche naturali, le emozioni primarie, le stesse che fanno arrossire e non si è in grado di controllare.
Mi descrisse a fondo quella sensazione di percepirlo a distanza, molto più di una telepatia, una percezione che le era entrata nel sistemo nervoso, nella linfa, nel sangue… ovunque , in ogni parte del corpo e la attraversava quasi ogni giorno: lei, una donna particolare , dalle “aperture energetiche e sensoriali” fuori dalla norma accresciute dopo un intervento chirurgico, lo stesso che quelle mani magiche di quell’uomo avevano attivato.
Pensai ad un “transfer”, spesso capita tra terapeuta-cliente o tra medico-paziente. Invece no, non era un transfert, avevano fatto tutto per bene, aspettato i tempi e lasciato che crescesse tutto un po' alla volta.
E pensare che rimasero due amanti per molto tempo, due animali selvaggi che tentarono in tutti i modi di tenersi lontani per non complicare le cose, come se amare e aprire il cuore fosse una condanna.
Distesa sul lettino sorrideva e le lacrime le scendevano dagli occhi: lo “sentiva”, sentiva quando lui la pensava, lo sentiva nella cicatrice dapprima, poi nella pancia, la sua zona diventata sensibile e dove maggiormente somatizzava i malesseri. Non sapeva definirmi se fosse un male per lei, amava quest’uomo, in ogni sua forma, in ogni ricordo e lo voleva nella sua vita. Lo percepiva così forte energeticamente che non le bastava averlo distante, sentirlo di tanto in tanto. Lo voleva nella sua vita.
Le chiesi se queste “parole non dette” le avesse mai pronunciate: no, non aveva neppure il coraggio di ammetterle a se stessa, forse non aveva bisogno di una delusione, forse le sarebbe piaciuto avere una conferma da quest’uomo che tutto ciò che lei provava e sentiva fosse contraccambiato.
Un pensiero al giorno era dedicato a quest’uomo ma rispettava il suo silenzio e il suo spazio, una canzone la poteva riportare a certi ricordi come un libro, una frase scritta o un film.
Lei si era ricreata una vita con un’altra persona, che amava, con il quale stava bene ma quell’uomo era lì, sempre lì e pur quanto si sforzasse per “chiudere i canali”, si sforzasse per non pensarci, il suo sistema richiamava naturalmente l’attenzione alle percezioni come una droga.
Mi raccontò che dopo tanti anni, l’aveva incontrato pochi giorni prima e si ritrovò disciolta sulla sedia, completamente disarmata: un nodo alla gola così forte che non le permise di lasciarsi andare. Di dire solo il necessario, piena di imbarazzo e di dolcezza.
Appena arrivata nella sala d'attesa, sapeva già dove l'avrebbe incontrato, una magia questa che con lui si ricreava spesso, il sapere senza conferma: aspettava tranquilla il suo turno, apparentemente mi racconta di non essersi sentita tremendamente pulsante come negli anni passati, anzi quella sensazione non l'aveva più provata. Uno sguardo e la congelò. Sprofondò sulla sedia, arrossendo come una ragazzina e nascondendosi il viso con i capelli per non farsi vedere dalle altre persone.
Sorrise, la faceva ridere.
Arrivato il suo momento lo incontrò. Non si era agghindata, era tremendamente semplice, jeans, maglia e tacco. Un filo di trucco e capelli scomposti, come sempre. Congelata sui tacchi, la temperatura del corpo era arrivata ai suoi massimi storici, e davanti lui, sempre uguale, carismatico, la voce, le mani, il silenzio erano avvolgenti. Penetranti.
Uno di fronte all’altro. Disciolti. Sì anche lui bellissimo e imbarazzato. Li descrisse come “due occhi profondi come l’oceano che mi inondarono di sole”. La sensazione era come quando la pelle sa di sole, se si chiudono gli occhi si percepisce il profumo d’estate, la pancia è in subbuglio dall’emozione e l’animo in pace: tutto è perfetto così com’è.
Non durò molto l'incontro, voleva restare, sarebbe restata più tempo, qualcosa però, forse proveniente da quell'uomo, sentiva, una chiusura, sentiva un freno. Di lui o di lei? Si sentì così svuotata per non esser riuscita a dirgli quelle "parole che non ti ho detto" che distolse lo sguardo da un semplice e cauto saluto di quell'uomo che probabilmente l'avrebbe voluta salutare diversamente.
Si pentì. Divisa a metà, avrebbe così tanto voluto tornare indietro, riprendere l’ascensore e tornare indietro per abbracciarlo. Solo abbracciarlo. “Era mancato quello” mi dice. Lo vuole nella sua vita, non sa in che forma, ma lo vuole.
Che dire cari lettori, durante quell’ora ricordo di essermi emozionata più volte e ciò che posso dire è quello di non reprimere le proprie sensazioni, di esprimere ciò che si prova, di esprimerlo con la voce, la creatività, con ogni forma possibile.
L’amore può prendere varie forme a mio avviso, non per forza bisogna legarsi sentimentalmente con una persona in una relazione: l’amore può essere creare materialmente parlando, scrivere i propri pensieri, scolpire un progetto lavorativo con una persona. A mio avviso questo è amore incondizionato.
Il corpo non dimentica ciò che l’anima prova e queste due persone, se vogliamo essere romantici, solo legate da sempre e per sempre.
Le consigliai di riconsiderare l’amore da un altro punto di vista per poter esprimerlo senza reprimerlo; le diedi una miscela di fiori australiani per quietare il suo animo, per esprimersi, per ritrovare la pace e ricreare il suo territorio personale.
Sono curiosa di rivederla e sapere come andrà a finire. E voi?