Credo che avere la Terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.
Con queste parole Andy Warhol esprimeva tutta la sua dedizione e attaccamento nei confronti del nostro amato pianeta Terra, protagonista nel mese di aprile, come ogni anno, del più grande evento ambientalista, la Giornata Mondiale della Terra, meglio conosciuto come Earth Day.
Istituita negli Stati Uniti il 21 marzo del 1970 dal senatore e ambientalista statunitense Gaylord Nelson per sottolineare l’importanza di acqua e aria pulita, in seguito alla fuoriuscita di petrolio del 1969 a Santa Barbara, in California, oggi questa manifestazione vede il coinvolgimento di 193 Paesi che puntualmente dibattono su tematiche ecologiche prioritarie, quali la crisi climatica, l’inquinamento atmosferico e la deforestazione.
Dall’inizio dell’emergenza Covid, le emissioni di CO2, a livello globale, sono nuovamente al di sopra dei livelli pre-pandemia, risulta quindi necessario, ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2030, se si vuole mantenere il surriscaldamento globale entro l’1,5 °C. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il 75% delle malattie dell’uomo emergenti proviene da animali e ciò accade perché l’uomo sta eccedendo con gli allevamenti intensivi, con il consumo di animali selvatici, con la deforestazione, l’urbanizzazione e il consumo selvaggio del suolo. Occorre quindi rieducare la popolazione alla sostenibilità e alla salvaguardia del nostro Pianeta, attraverso manifestazioni, meeting ed eventi. Nel mondo del fashion system, sono molti gli imprenditori e gli stilisti che hanno creato delle capsule collection, utilizzando materiali e tessuti ecosostenibili.
Sara Cavazza Facchini, creative director del brand Genny, ha realizzato una capsule di accessori in pelle vegana dove a far da protagonista è la pochette logata dalla forma a busta, creata con il riciclo di scarti di mela.
Sostenibilità: cosa rappresenta per te questa tematica come stilista, come donna e come mamma?
Sostenibilità per me significa da sempre lavorare con consapevolezza all’interno di tutta la filiera produttiva e risvegliare nel nostro consumatore la consapevolezza che il capo che sta indossando è stato prodotto secondo principi non solo estetici, ma valoriali quali, la scelta e utilizzo di tessuti sostenibili attraverso la produzione degli stessi a km zero, riducendo così l’impatto sull’inquinamento atmosferico. I capi Genny sono Made in Italy: che significa sia sartorialità e DNA tutto italiano, ma anche che vengono rispettate le condizioni di lavoro dei professionisti impegnati durante la filiera produttiva.
Nel suo brand quali materiali eco sostenibili utilizzate e da quanti anni?
Dal 2016 ho inserito nelle mie collezioni la seta organica Gotz, ottenuta seguendo il Global Organic Textile Standard (GOTS) che è lo standard di lavorazione tessile leader a livello mondiale per le fibre organiche. Ma anche tessuti in lana riciclata, cotoni naturali e in particolare un tessuto in denim bianco che limita l’utilizzo d’acqua impiegata nella sua produzione. Rispettare l’ambiente significa anche non inquinare l’atmosfera grazie a una produzione a km zero. Per tutelare l’ambiente e soprattutto la bellezza storica delle città che caratterizzano l’Italia, da alcuni anni ho deciso di sostenere l’associazione “Angeli del bello”, il cui scopo è ripulire gli edifici storici aventi valore culturale e internazionale, dagli imbrattamenti, comportamenti poco civili e dall’inquinamento. Tutto questo grazie all’aiuto di volontari. Tutti devono poter godere del meglio della cultura artistica italiana sia per chi la vive sia per chi la visita.
Anche lo storico brand Plinio Visonà, da sempre legato, per tradizione e per cultura, al concetto di borsa timeless, capace di durare nel tempo così da essere tramandata di madre in figlia, utilizza la pelle come materiale d’elezione, partendo dagli scarti di lavorazione dell’industria della carne. Abbiamo chiesto a Mara Visonà, CEO del brand qualche dettaglio in più.
Come cercate di valorizzare i materiali ecosostenibili all’interno del vostro processo di produzione?
I pellami sono assolutamente protagonisti, parlano da soli! Il “Buy and Jump” non è proprio il nostro approccio, i nostri prodotti hanno la mission di durare nel tempo, sono fatti con cura e attenzione. La scelta dei fornitori è un altro tema importante, selezioniamo con attenzione chi ci fornisce i pellami. Abbiamo introdotto l’uso della vacchetta vegetale ovvero una pelle di alta qualità̀ lavorata con la tecnica naturale della concia al vegetale, un procedimento antichissimo praticato da millenni in Toscana. Questo processo è garantito per lo più dal tannino, il più antico segreto della magia della concia al vegetale. Impiegato nella lavorazione delle pelli, i tannini - estratti naturali derivanti esclusivamente da fonti vegetali come il legno di castagno e di quebracho - regalano colori caldi, profumi di bosco. Inoltre, dove non possibile utilizzare pellami con concia al vegetale ci riforniamo da concerie che prediligono tecniche conciare avanzate e che consentono un notevole risparmio di energia ed acqua.
Secondo te, quali sono i nuovi modelli di ruolo sostenibili a cui la moda dovrebbe prestare attenzione?
La cultura della sostenibilità passa sicuramente attraverso l’attenzione per le persone, sono loro che “fanno e producono materialmente capi o accessori, da qui la cura per i propri dipendenti e per i clienti, l’attenzione per preservare la parità di genere e la sicurezza. Tutta la filiera produttiva va tutelata e protetta, basti pensare anche alle maestranze che sono pilastri fondamentali nelle nostre aziende. Producendo borse totalmente made in Italy siamo estremamente sensibili al tema.
Più che sensibile al tema è il designer inglese Patrick McDowell che, in collaborazione con il brand Pinko ha realizzato la capsule collection Reimagine, ispirata alla tematica del recupero e riutilizzo.
Che cosa significa per te “Re-immaginare”?
Re-immaginare per me è ripensare e ricircolare. Significa infondere nuova vita all'abbigliamento e sperimentare la moda in un modo che dimostri come la sostenibilità può elevare la posizione del marchio e aggiungere un prodotto di valore superiore all’ offerta. Per questa collezione, insieme a Caterina Negra, creative director di Pinko, abbiamo selezionato alcuni capi di rimanenza di magazzino, e abbiamo recuperato più di 4000 metri di tessuto che altrimenti non avremmo utilizzato in nessun altro modo, smontando e riassemblando ogni pezzo per circa 6-12 ore.
Come nasce l’idea di un capo eco-sostenibile? Avete utilizzato strumenti digitali?
Per me si tratta di esaminare olisticamente le tematiche nel loro complesso e cercare attraverso l'istruzione e la sperimentazione di risolvere i problemi che stiamo vedendo. Con Pinko, abbiamo utilizzato tessuti e finiture di abbigliamento dead stock e abbiamo chiamato artigiani italiani per reinventarle. Durante il lockdown nel 2020 abbiamo creato uno show interamente digitale, ed è stato affascinante lavorare in questo nuovo modo, penso che il futuro della moda stia nel vestire digitale mentre spostiamo le nostre vite in realtà virtuale ed esperienze digitali immersive. Per la produzione digitale inizi con una cucitrice digitale e crei pezzi molto simili a te nella vita reale, ma attraverso lo schermo, i risultati possono essere sorprendenti.
Creatrice di abiti sartoriali su misura, anche la designer Cettina Bucca, fondatrice dell’omonimo brand, utilizza filari e tessuti naturali, nel rispetto dei principi di responsabilità sociale, culturale, etica e ambientale.
L’economia circolare si basa sul riuso, sulla maggiore efficienza dei processi e sulla maggiore durata dei prodotti: quale approccio privilegia maggiormente nella produzione del brand?
Privilegiamo tutte e tre le linee. Per il riuso ci siamo attrezzati acquistando tessuti prodotti anche negli anni precedenti appoggiandoci a progetti di questo tipo che rivalorizzano il “tessuto dimenticato”, sia trasformando i nostri scarti in bamboline da dare in beneficienza così le stoffe rinascono a nuova vita. Prediligiamo tessuti 100% ecologici, naturali e innovativi, derivati da fibre organiche, primi fra tutti il cotone, la seta, il lino e la lana ma anche piante non usuali come l’ortica e la ginestra. In Calabria, ad esempio, usano quest’ultima già da tempo filando le lunghe fibre che si ottengono dalle ginestre essiccate e si filano negli antichi telai per produrre biancheria per la casa, coperte e indumenti.
L’economia circolare presuppone un modo di pensare sistemico, che non si esaurisce nella progettazione di prodotti destinati a un unico scopo. È un’economia che non solo protegge l’ambiente e permette di risparmiare sui costi di produzione e di gestione, ma produce anche degli utili. Pensa che nella moda sia cambiato negli anni la maniera di produrre utili?
Con grande difficoltà e con passi lenti ma i cambiamenti stanno avvenendo. E se prima si procedeva a rilento, adesso sempre più lo sguardo del mondo è rivolto in ogni campo all’attenzione per ciò che di naturale ci circonda e che a tutti i costi deve essere protetto. Ci stiamo avviando, a mio parere, verso il grande cambiamento, verso la trasformazione. I produttori di tessuti dovrebbero concentrarsi sull’uso di tessuti sostenibili acquistando fibre biologiche o naturali, quali cotone, seta, lana, canapa, bambù, lino anziché fibre sintetiche a base di petrolio come amianto, rayon, poliestere, spandex e nylon. L’uso di coloranti naturali o tecniche di tintura a secco o processi di concia vegetale, che non prevedono l’uso di sostanze chimiche aggressive quali il cromo, alla fine consentirà alla stessa pelle usata per il prodotto di diventare biodegradabile, così come l’uso di tecniche di biomimetica come la creazione di prodotti simili alla pelle attraverso l’utilizzo dei rifiuti della raccolta della soia, funghi, ananas e foglie.
Leader tra i brand ecosostenibili del momento, The House of Dagmar ha vinto, durante la Fashion Week di Copenaghen, il premio Sostenibilità di Zalando, la celebre piattaforma di moda online che, in occasione della settimana della moda danese, ha creato la Zalando Greenhouse, per poter interagire in digitali con collezioni di moda ecosostenibili. Abbiamo fatto alcune domande a Karin Söderlind, co-founder and CEO di The House of Dagmar.
Che cosa significa per il vostro brand aver vinto il Premio Sostenibilità?
Ci sentiamo ispirate e motivate a fare ancora di più: in un anno come quello che abbiamo alle spalle questa è la motivazione della quale abbiamo bisogno per continuare ad andare avanti. Siamo così entusiasti di ricevere riconoscimenti per i nostri sforzi e di essere sotto i riflettori sulle questioni della sostenibilità: questo è ciò che facciamo da più di quindici anni. Poiché la moda e la sostenibilità non sono un gioco o uno sport in cui un solo marchio può vincere, riteniamo di voler condividere questo riconoscimento con così tanti dei nostri colleghi del settore. Noi del team House of Dagmar accettiamo questo premio con una mente umile. Come squadra stiamo davvero facendo del nostro meglio in materia, ma abbiamo ancora molta strada da fare per raggiungere i nostri obiettivi. Questo ci dà una spinta per continuare a fissare obiettivi ancora più alti.
Che rapporto avete con la natura e qual è il vostro impegno per l’ambiente?
Ci prendiamo cura dell'ambiente e della crisi climatica in corso. L'accordo di Parigi stabilisce che un aumento di 1,5 °C avrà un impatto devastante sul nostro pianeta. Vogliamo quindi agire e contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici fissati dalle Nazioni Unite e assumerci le nostre responsabilità come marchio di moda. Per House of Dagmar, la sostenibilità non è mai stata trattata come una tendenza o un progetto separato. È stata integrata nella filosofia e nella mission del marchio fin dall'inizio del 2005. Dal 2017 abbiamo misurato l'impronta dell’impatto ambientale in fibra di tutti i capi che produciamo. Il nostro obiettivo è quello di offrire collezioni sostenibili al 100%. Per arrivarci, misuriamo la nostra impronta di fibra ogni anno in modo da prendere decisioni che portino a un cambiamento effettivo in modo efficace e trasparente.
Con l'adesione al piano d'azione europeo per l'abbigliamento (ECAP), abbiamo iniziato a misurare il nostro uso di acqua e anidride carbonica, nonché la quantità di rifiuti che produciamo. I calcoli includono di tutto, ad esempio, come viene coltivato il cotone al capo finito e cosa succede quando l'articolo non viene più utilizzato. Queste cifre ci guidano nella progettazione di nuovi prodotti e nel prendere decisioni che supportano il nostro obiettivo di diventare un business di moda circolare. Ad esempio, uno dei nostri risultati è che il 71% del nostro ingombro totale di CO2 2017 proviene dalla fase di produzione delle fibre. Nella nostra ultima collezione il 90% dei capi portava la nostra etichetta "good choice", il che significa che il 50% del tessuto in ogni prodotto deve essere realizzato con materiale sostenibile. Speriamo che il fast fashion cambierà il modo con il quale operano i loro modelli di business e si assumerà le proprie responsabilità, andando verso la creazione di una durata più lunga per il prodotto o assicurandosi che si produca con l'ambizione di salvare il Pianeta per i nostri figli.