Finché pensi che la causa del tuo problema sia "là fuori" - finché pensi che qualcuno o qualcosa sia responsabile della tua sofferenza - la situazione è senza speranza. Significa che sei per sempre nel ruolo di vittima, che stai soffrendo in paradiso.

(Byron Katie)

Laura ribatte: “Tanto lo so che poi non mi ascolteranno…” incalzando con “…quindi significa che tutto il lavoro che ho fatto fino adesso non è servito a nulla? ...se pensate che io non vada più bene per questo progetto, metteteci pure qualcun altro… tanto qui sembra tutto fatto alla carlona senza né struttura né procedure, comunque va bene così.”

Laura lavora in una grossa società di consulenza e Mario, il manager che supervisiona il team di Laura, pensa tra sé e sé, “ecco ci risiamo un’altra drammatizzazione di Laura”.

Laura, sebbene sia una collaboratrice zelante e leale, purtroppo si è costruita nel tempo una cattiva reputazione il suo vittimismo tossico e il suo approccio passivo-aggressivo.

Laura è una collaboratrice molto costosa in termini emozionali per la continua attenzione che ricerca e i “drammi” quasi giornalieri che propone, che sottraggono tempo prezioso che potrebbe essere dedicato a servire meglio i clienti e a contribuire all’armonia nel team.

Mario è disperato, dopo tanti anni di lavoro insieme, Laura sembra aver di poco modificato il suo atteggiamento da vittima al lavoro, cosa che le ha messo contro quasi tutti gli altri membri del team e che mina profondamente anche la sua produttività e crescita come professionista e come persona.

Si confida Mario, dicendomi: “Spesso ho la sensazione che l’80% delle energie di Laura siano devolute a combattere contro il mondo e contro i suoi colleghi e solo il 20% delle sue energie sia dedicato a far funzionare le cose al lavoro.”

George del gruppo musicale Culture Code cantava in Victims, “le vittime che conosciamo così bene”.

E sì che le conosciamo, anche perché non si è una vittima, si fa la vittima.

E a chi non è capitato di farlo?

Io in primis, da piccolo e spesso da adolescente, avevo deciso inconsapevolmente che dare le colpa delle mie sfortune o insuccessi alle circostanze o alle persone era una strategia produttiva. In realtà serviva solo ad allontanare le altre persone e a farmi sentire solo, impotente e contro tutti.

Lo psicologo William James diceva che ci sono tante parti di noi quante sono le persone con cui entriamo in relazione. E il grande psichiatra italiano, pioniere nel campo della psicologia umanistica e transpersonale nonché fondatore della Psicosintesi Roberto Assagioli parlava delle tante sub-personalità presenti dentro di noi, come se al nostro interno albergasse un gruppo di persone molto diverse tra loro.

Una delle sub-personalità che abbiamo dentro di noi è quella della vittima.

C’è chi la riconosce e la sa tenere a bada, e c’è chi come Laura ne diventa ostaggio inconsapevole tanto che la sub-personalità della vittima informa in maniera altamente disfunzionale la maggior parte della sua vita lavorativa e non solo. Anche perché la vittima rientra a casa dal lavoro alla sera con Laura, insomma la porta sempre con sè.

Recenti studi hanno concluso che vedersi come una vittima può effettivamente essere un aspetto distinto e stabile della personalità. La mentalità della vittima si basa su tre convinzioni chiave:

  • le cose negative accadono e continueranno ad accadere;
  • la colpa è di altre persone o delle circostanze;
  • qualsiasi sforzo per creare un cambiamento fallirà, quindi non ha senso provarci.

Le persone che fanno le vittime tendono a sentirsi frustrate e arrabbiate con un mondo che sembra contro di loro, senza speranza che le loro circostanze cambino mai, ferite quando credono che i loro cari o i colleghi e capi non si preoccupino di loro e risentite con le persone che sembrano felici e di successo. Quest’ultimo tratto le rende estremamente competitive in azienda, non nel senso di creare innovazione e successo attraverso una competizione positiva con i colleghi, ma nel senso di una competizione tossica e velenosa dove cercano di sminuire, ridicolizzare e sabotare i colleghi e colleghe che appunto vedono come rivali che potrebbero portare loro via l’attenzione e il sentirsi speciali.

Manfred F.R. Kets de Vries, che insegna sviluppo della leadership e del cambiamento organizzativo presso l’università INSEAD, scrive nel suo articolo Sei vittima della sindrome della vittima?:

Le persone con una mentalità da vittima sono passive-aggressive nelle loro interazioni con gli altri. Lo stile passivo-aggressivo è un modo molto sottile, indiretto o dietro le quinte per ottenere ciò che si vuole ed esprimere la rabbia senza riconoscerla apertamente o affrontarne direttamente la fonte. Le persone che si sentono impotenti di solito ricorrono alla modalità passivo-aggressiva. Poiché hanno difficoltà a riconoscere direttamente la loro rabbia (dato il modo in cui si sentono con se stessi), sembrano superficialmente conformi ai bisogni degli altri, ma sono esperte nella resistenza passiva.

Con chi fa la vittima non possiamo mai essere del tutto sicuri di ciò che è stato detto o di ciò che ci si aspetta.

L’atteggiamento passivo-aggressivo e l’invio di messaggi contrastanti che colgono gli altri di sorpresa è solo una delle diverse strategie, perlopiù inconsapevole, che adottano.

Un’altra di queste strategie è l’apparente richiesta di aiuto da parte di chi fa la vittima, seguita dal rifiuto di ogni forma di aiuto argomentato da una serie di innumerevoli ragioni (tecnicamente “scuse”).

In realtà la richiesta di aiuto è una richiesta di attenzione e chi fa la vittima spesso non sembra aver nessuna intenzione di lasciare andare l’atteggiamento vittimistico che, in qualche modo, li fa sentire speciali.

Quindi cosa possiamo fare?

Prima di tutto partire dall’auto-consapevolezza e chiederci come e in quali occasioni della nostra vita tendiamo a comportarci da vittima?

Già solo esercitare questo tipo di attenzione può allenarci a scegliere atteggiamenti più produttivi e funzionali in quelle stesse occasioni.

Dopo essere partiti da noi stessi possiamo rivolgere la nostra attenzione verso le altre persone che fanno parte della nostra cerchia personale o lavorativa.

Il professor Kets de Vries propone la seguente lista di controllo per verificare dove la persona che state cercando di aiutare si colloca sulla scala della sindrome della vittima.

Più sono le risposte affermative alla lista, più è probabile che quella persona abbia una mentalità da vittima.

  • Per quella persona c’è spesso qualcosa va non va?
  • Quasi ogni conversazione finisce per essere incentrata sui loro problemi?
  • Ha la tendenza a giocare la carta del "povera me"?
  • Intrattiene discorsi negativi su se stessa?
  • Si aspetta quasi sempre il peggio?
  • Tende ad agire da martire?
  • Sente che è il mondo a “farlo a lei” e che non c'è nulla che possa fare?
  • Crede che tutti gli altri abbiano una vita più facile?
  • Si concentra quasi unicamente su eventi negativi e delusioni?
  • Non si sente quasi mai responsabile del suo comportamento negativo?
  • La sua infelicità è contagiosa e influenza lo stato d'animo degli altri?
  • Sembra ostaggio di infelicità, caos e dramma?
  • Ha la sensazione che il mondo sia contro di lei?

Una volta che abbiamo assodato che ci troviamo di fronte a una persona con la mentalità da vittima, abbiamo bisogno di elaborare una strategia di intervento, ricordandoci che si tratta di persone che hanno sviluppato una forte resistenza al cambiamento e a ricevere aiuto.

È importante qui fare la distinzione tra voler salvare le vittime, che non fa altro che perpetuare il loro gioco tossico, e lo scegliere di aiutarle a lasciar andare questa mentalità sabotante e controproducente.

Certo, ma come? Ci sono diversi approcci interessanti e validi per la risoluzione di questa mentalità e qui non abbiamo lo spazio per entrare in profondità.

Eccoti alcuni consigli.

Potreste usare un approccio basato sull’intelligenza emozionale con empatia, quindi riconoscete e restituite verbalmente le emozioni di chi fa la vittima senza per questo giustificarla. Sono sicuramente di parte e sembrerà che vi voglia appioppare i miei servizi, nel mio corso di negoziazione si imparano più di 7 strategie e tecniche di intelligenza emozionale con applicazione immediata. In fondo aiutare una persona che fa la vittima a uscire dal suo schema può essere considerato a buon diritto una forma di negoziazione.

Con rispettoso candore potreste dare un nome ai giochi della vittima, svelandoli, affinché se ne possa accorgere, meglio ancora se per farlo usate delle domande aperte poste con un tono pacato e morbido.

Potreste inoltre rendere il fatto di superare lo schema vittimistico uno degli obiettivi lavorativi e di crescita della persona con regolari (anche se brevi) incontri di valutazione dei progressi.

Come ci ricorda Paulo Coelho: puoi essere una vittima del mondo o un avventuriero in cerca di un tesoro. Tutto dipende da come vedi la tua vita.