Nel novembre del 1999 sono stata a Parigi a visitare la meravigliosa personale di Jean-Baptiste Chardin: ho intrapreso quel viaggio appositamente per visitare la sua mostra al Grand Palais, che mi ha fatto amare una volta di più questo grande artista del passato: e non ne sono rimasta delusa! Anzi! Tornata a casa ho dipinto sei delle sue opere, facendone la copia: a quei tempi ci ho lavorato davvero molto, ma ora mi ritrovo una cucina che pare un museo! Le sue opere non mi stancano mai!
Jean-Baptiste Chardin nacque a Parigi nel 1699 nel celebre quartiere di Saint-Germain-des-Près e morì a Parigi in un appartamento del Louvre, ove abitava, nel 1779, all'età di 80 anni. Era figlio di un ebanista, costruttore di biliardi al servizio del re.
Deludendo le aspettative del padre, il quale avrebbe voluto che il figlio continuasse il proprio lavoro ormai affermato, scoprì l'inclinazione artistica verso il disegno e la pittura: all'età di 18 anni riuscì a convincere il padre, che lo fece entrare nella bottega del pittore di corte Pierre Cazes, autore di grandi quadri a soggetto sacro. Cazes lo costrinse a lungo a copiare incisioni dei grandi maestri del passato.
Chardin ne soffrì e più tardi ebbe a lamentarsene, criticando questo tipo di insegnamento, perciò si trasferì presso il pittore Antoine Coypel, che gli stimolò l'interesse per la natura morta, chiedendogli di dipingere dal vero un fucile.
A 25 anni era ormai uno specialista di nature morte. Iscrittosi all'Accademia di S. Luca, meno impegnativa dell'Accademia Reale, ottenne nel 1724 la licenza professionale e fu contattato dal pittore di corte Van Loo, che lo chiamò come aiutante nel restauro degli affreschi naturalistici del Primaticcio di Fontainebleau.
Chardin nel 1723 si era fidanzato con Marguerite Saintard, conosciuta ad un ballo: ma le nozze furono celebrate solo nel 1731 a causa delle sue precarie condizioni finanziarie, poiché la fidanzata apparteneva ad una famiglia più agiata della sua, che tuttavia ebbe un tracollo finanziario e Marguerite si vide la dote ridotta di un terzo rispetto a quanto pattuito.
Nacquero presto un figlio, Jean-Pierre e una bimba, Marguerite, ma sia la moglie che la bimba morirono poco dopo, nel 1735.
Chardin non viveva nel lusso, benché abitasse nella casa di famiglia, quindi era deciso ad emergere nonostante trattasse la natura morta, considerato un genere minore rispetto alla pittura storica, mitologica o sacra.
Infatti al livello più basso della considerazione degli accademici c'era proprio questo genere, si preferivano scene di guerra, ritratti, opere storiche, mitologiche: più prestigiosa era la storia sacra, poiché si riteneva più difficile rappresentare ciò che non si vedeva, piuttosto di ciò che si poteva vedere. Era convinzione comune che solo i pittori più capaci fossero degni di rappresentare, nelle loro azioni più nobili, l'uomo, i santi e Dio.
Un medico che apprezzava i suoi lavori gli commissionò l'insegna del suo studio: gli attirò i primi ammiratori.
Espose all'Exposition de la Jeunesse, per artisti esordienti, il suo dipinto La razza, che fu molto apprezzato e gli fu consigliato di presentarlo all'esposizione dell'Accademia Reale.
Chardin, astutamente, collocò quest'opera in una saletta, si nascose e attese il passaggio degli accademici che davano giudizi sui quadri appesi. Davanti ai suoi lavori i professori dissero che si doveva trattare di un artista fiammingo: Chardin si fece avanti e ottenne il riconoscimento di essere accolto all'Accademia Reale. Vi fu ammesso come pittore di animali e di frutta.
Verso il 1730 cominciò ad avere un certo successo, nonostante il suo stile diverso dalla corrente principale della pittura francese del tempo. Inoltre, dal 1733 allargò la sua conoscenza anche alla figura, non ritenendo che la natura morta fosse abbastanza apprezzata e per una sfida nei confronti di un altro pittore che l'aveva tacciato di essere un minore, che non poteva pretendere compensi elevati.
Riuscì a creare raffinati capolavori, trattando soggetti di genere: piccole e umili scene della vita quotidiana del popolo parigino, al quale lui stesso apparteneva. Sono dipinti che raffigurano donne al lavoro in cucina, bambini che giocano tranquilli, madri che servono a tavola, semplici scene senza drammi e senza svolazzi emotivi che riproduceva con dignità e umanità.
Gli intenditori e i collezionisti cominciarono ad apprezzarli e ad acquistarli: i suoi lavori divennero popolari e prepararono il campo ai nuovi valori della Rivoluzione.
Il suo successo in queste opere di genere, in tutto una quarantina, era dovuto anche al fatto che le donne vi si riconobbero nei valori, nei gesti, negli umori dei figli, negli arredi, nelle vettovaglie e negli abiti. Ma fu anche apprezzato dagli aristocratici, di cui dipinse spesso i figli adolescenti e fu lo stesso Luigi XV e altri nobili che cominciarono ad apprezzarlo, acquistando i suoi dipinti migliori.
Fino a quel momento, pur non mancando del necessario, Chardin tuttavia aveva difficoltà finanziarie: questo fino al 1744 quando sposò una ricca vedova, Françoise-Marguerite Pouget, da cui ebbe una bimba, che morì anch'essa in tenera età. Le sostanze della moglie migliorarono il tenore di vita della famiglia: Chardin lavorava con molta lentezza, al massimo produceva due lavori al mese, ma con impegno e costanza, meticoloso e preciso, per cui la sua fama era in continuo aumento, tanto che nel 1743 fu eletto dal Re Cancelliere dell'Accademia Reale e nel 1775 Tesoriere, anche se non fu mai nominato docente, titolo riservato ai pittori di soggetti storici. Il Re acquistò molte sue opere, nel 1752 gli accordò una pensione e nel 1757 gli assegnò anche un appartamento al Louvre, dove visse con la moglie fino alla morte.
Chardin, alla fine degli anni ‘40 tornò a dipingere esclusivamente nature morte, anche a causa dell'indebolimento della vista: questa fase vide intensificarsi la sua indagine sul rapporto tra i colori e sulle variazioni degli effetti della luce sugli oggetti, così da ottenere nuove forme di luminosità, accarezzanti gli oggetti immersi in un'atmosfera di contemplazione e in una consistenza sempre più sfumata.
Nel 1761 ricevette l'incarico dal Re di organizzare il Salon. La sua fama in quegli anni oltrepassò i confini nazionali e alcune sue opere furono acquistate da Caterina II di Russia per arricchire l'Accademia di Belle Arti di San Pietroburgo.
Negli anni della vecchiaia ebbe i calcoli al fegato, perse progressivamente la vista, fu accusato di ripetere sempre gli stessi soggetti, gli venne ridotta la pensione, fu sostituito nella carica di Direttore delle Manifatture Reali. Si dedicò allora ai pastelli, a causa del calo della vista, ma non ebbero la stessa accoglienza dei lavori precedenti. La sua fama continuò a declinare e solo nel diciannovesimo secolo fu riscoperto dai fratelli Goncourt che si occupavano dell'arte del ‘700: fu da loro considerato il pittore più originale della sua generazione.
Chardin non ebbe una vera formazione accademica, unico della sua generazione. ma trovò il suo stile quando comprese che l'arte poteva scaturire dal mondo circostante e prese a modello oggetti della sua cucina che accostava in base a criteri solo compositivi, senza intenti simbolici, non rappresentò infatti mai la vanitas, non ebbe intenti educativi, né morali. Volle unicamente esprimere il piacere estetico che gli oggetti gli procuravano, non c'era in lui alcuna ridondanza barocca, presente nei suoi contemporanei.
Riscosse notevole successo con le scene di genere, che sono capolavori di serena perfezione, sempre calme, mai ridondanti.
Sapeva ritrarre i piccoli avvenimenti quotidiani con veridicità e immediatezza come pochi. Egli dipingeva sulla tela senza disegnare prima, copiando dal vero con un lavoro lento e meticoloso perchè mirava alla resa autentica del soggetto.
Per lui i dettagli non erano importanti e si perdevano nel suo denso impasto: usava in modo bilanciato toni e colori preparando la tela con un composto di biacca e con un colore bruno-rossiccio per ottenere un fondo scuro su cui dipingeva zone più chiare e poi arricchiva i colori accostando alle parti brillanti zone più scure.
Alla fine ripassava il dipinto per fondere meglio i toni per cui gli elementi venivano unificati da tocchi di colore che collegavano ciascun oggetto a quello vicino. Il rosso di una fragola veniva ripreso in un altro punto: otteneva così una piacevole naturalezza.
Fu controcorrente nella sua epoca non piegandosi in alcun modo alle mode del tempo, ma più che un autodidatta fu un sovversivo. La sua arte tuttavia fu molto semplice, facile da capire perchè i suoi soggetti erano banali, anche se nello stesso tempo originali.
Ai suoi tempi i grandi pittori sapevano dipingere: la loro abilità è riconosciuta da tutti. Essi l'avevano appresa nelle varie accademie, sempre in concorrenza con i grandi maestri romani, toscani e veneziani, cercavano di catturare i movimenti, le espressioni del viso, le attitudini delle mani: sapevano raccontare, avevano il senso della recitazione, amavano il piacevole, il distraente, l'elegante, il grazioso, la superficialità: non si prendevano sul serio perchè la regola era ridere o sorridere.
Il pennello di Chardin non aveva nulla di ciò, in lui si sentiva la fatica di dipingere: lottò per superare la mancanza del dono naturale e cercò la perfezione, senza esserne mai soddisfatto. Sapeva che per lui era difficile rendere l'azione, dipingere il movimento, ma fece della sua debolezza la sua forza e trasformò l'assenza di facilità di espressione in una originalità che fu unica nel suo secolo. Si consacrò infatti al mondo inanimato e lo dipinse come lo vedeva. I suoi oggetti non si lasciavano raccontare, lui solo nel suo tempo non volle raccontare, non volle alludere all'attualità, alla morale, alle ideologie, non sorrise mai: la sua fu un'arte seria. Persino i suoi bambini non sorridono mai.
I suoi modelli non si guardavano, dimenticando lo spettatore. Esprimeva un animo casto, pudico, che dipingeva bambini, adolescenti, donne intente in svariate attività domestiche, senza mai esprimere quella sensualità nel secolo famoso per le allusioni civettuole e sensuali.
I suoi modelli erano raccolti e concentrati, sognanti e assenti, non vi era in loro alcun risveglio sessuale, nessuna perversione in un mondo innocente, serio, assorto e silenzioso.
In un secolo appassionato e rumoroso, con i corpi nudi coperti da drappi malandrini, Chardin si distingue per il raccoglimento con cui dipinse l'espressione dei suoi modelli. Il suo era un mondo di pace e di silenzio, non quello degli intrighi dell'alcova.
La sua non fu mai un'arte intellettuale: sapeva appena leggere e scrivere il suo nome. Ma aveva la grande capacità di farsi capire per la sua singolare forza di espressione che rifiutava qualsiasi interpretazione, e non fu mai allegorico.
Egli riduceva tutto all'essenziale, cercava la verità: e si nascondeva per dipingere, non voleva allievi perchè i suoi lavori gli costavano molta fatica: l'opera era più ammirevole se più nascosta e segreta.
Questo il prezzo della sua perfezione: in questo sforzo immane scoprì la semplicità, l'armonia tra le persone e gli oggetti che usavano. Sapeva come guidare lo sguardo del fruitore e descrivere gli stati d'animo di un istante. Senza averlo voluto sfuggì al suo tempo aprendo una porta alla modernità. Amava tanto i suoi soggetti da farne parecchie copie, e li riprendeva anche a distanza di 30 anni.
Lo spazio di Chardin sembrava caricato di tattilità, tutto era pulito e lindo, la biancheria era ben stirata: ne risultava una grande intimità in cui non vi erano eccessi, ma perfetta compenetrazione tra oggetti e persone che venivano trasportati, attraverso un gioco di luci e gesti eroici, nel quadro della vita domestica e nella natura morta. Egli voleva dare la sensazione dell'istantaneo perchè aveva capito come veniva percepito il mondo.
In questo suo meraviglioso quadro d'insieme il ruolo delle ombre era fondamentale per la tridimensione: scoprì che le ombre proiettate avevano gradi diversi di sfumature: Chardin in questo si staccò decisamente dalle soluzioni olandesi per darci un vero pensiero pittorico sulla percezione delle ombre e nel secolo successivo gli Impressionisti fecero tesoro delle sue scoperte, facendo delle ombre il loro cavallo di battaglia. Proprio da lui iniziò un processo di allontanamento dall'accademismo, in favore di un maggiore adeguamento alla realtà.
Lo ritengo il più grande pittore di nature morte del suo tempo: nessuno è riuscito a creare l'atmosfera di sospensione delle sue opere!